L’uomo di neve

L’uomo di neve

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Nonostante il ritmo sostenuto e il proliferare di indizi e personaggi, L’uomo di neve di Tomas Alfredson è un thriller scomposto, proprio come le membra delle vittime del suo serial killer.

Disintegrava i cumuli di neve

Investigando sulla scomparsa di una donna, avvenuta subito dopo la prima neve d’inverno, il detective Harry Hole teme che sia tornato a colpire un inafferrabile serial killer. Grazie all’aiuto di una brillante poliziotta appena trasferita, Hole si trova a riaprire casi irrisolti vecchi di decenni nella speranza di trovare indizi che li colleghino al nuovo efferato delitto e sconfiggere così una mente diabolica oltre ogni immaginazione prima della prossima nevicata. [sinossi]

Un bestseller di successo, un protagonista accattivante e un regista apprezzato dalla critica. È un prodotto sulla carta infallibile L’uomo di neve, di quelli che, come è d’obbligo per un’industria cinematografica accorta, quale è certo quella hollywoodiana, paiono assemblati per piacere e incassare. Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore norvegese Jo Nesbø, il settimo della saga dedicata al detective Harry Hole, L’uomo di neve doveva essere inizialmente diretto da Martin Scorsese, che resta ora nelle vesti di produttore esecutivo e riecheggia nella presenza al montaggio (condivisa con Claire Simpson) della sua storica collaboratrice Thelma Schoonmaker.
Molto probabilmente però, Scorsese avrebbe riadattato l’intera vicenda nella sua New York anziché a Oslo, cosa che avrebbe reso più credibile l’utilizzo dell’idioma anglosassone, ma questo significava tradire le aspettative degli avidi lettori dei romanzi di Nesbø e allora si è pensato di scegliere un regista “nordico” sufficientemente blasonato quale lo svedese Tomas Alfredson, che con paesaggi innevati (Lasciami entrare) e intrighi (La talpa) si è già ampiamente dimostrato a suo agio. Quanto al rude detective alcolizzato Harry Hole, Michael Fassbender pareva proprio la scelta perfetta, d’altronde ha una buona porzione di sangue nordeuropeo nelle vene, che gli deriva dai natali teutonici.

A volte però è più complicato assemblare, limandone i bordi, vari elementi così accuratamente preconfezionati, che piegarli al proprio volere per dar vita a un risultato più personale e compiuto. Il talentuoso Tomas Alfredson deve essersi scontrato più o meno con questo genere di difficoltà e a giudicare il risultato, è uscito dalla sfida enigmistica un po’ malconcio. Sia ben chiaro, il suo stile elegante e ben calibrato fa sfoggio di sé in L’uomo di neve, ma quelle panoramiche fluide sui personaggi, quella grazia ieratica che dedica agli esterni urbani e naturalistici, sembrano soprattutto degli intermezzi volutamente ricercati per infondere personalità a un coacervo di materiali con i quali al regista manca una schietta familiarità.
Per quanto non possa non suscitare un certo cinefilo piacere il vedere finalmente un sano thriller sul grande schermo, cosa che pare da tempo appannaggio esclusivo delle serie tv, L’uomo di neve di fatto resta, nonostante il ritmo sostenuto e il suo proliferare di indizi e personaggi (entrambi provenienti dal presente e dal passato) un film scomposto, proprio come le disiecta membra delle vittime del suo serial killer.

Bevitore compulsivo di superalcolici dedito a trascorrere notti all’addiaccio, il detective dalla polizia di Oslo Harry Hole (Fassbender) non ha una particolare personalità, né desideri o traumi significativi (ha giusto una ex compagna e un figliastro), di fatto l’unico elemento intimo utile a suscitare nello spettatore un po’ di sana empatia è il fatto che possieda una copia in vinile di Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols. Quando incontra la giovane recluta Katrine (Rebecca Ferguson), dismette la bottiglia e rispolvera la sua frenesia professionale, per mettersi al lavoro al suo fianco: insieme scopriranno che in giro c’è un serial killer che colpisce prevalentemente donne sole e con figli, di preferenza quando nevica, poi lascia sul posto un pupazzo di neve. Naturalmente poi, uno dei due, in questo caso Katrine, ha una ragione familiare nascosta nel passato che la spinge a seguire le tracce del pericoloso assassino. Quanto ad Harry, la faccenda si farà altrettanto personale solo alla fine della storia.

Ed è proprio verso la sua chiosa che la struttura del film mostra le sue falle, vanificandosi come neve al sole di fronte alle difficoltà oggettive di Alfredson nel cimentarsi con un paio di scene d’azione. Il primo confronto faccia a faccia con il villain di L’uomo di neve è infatti piuttosto confuso, malamente orchestrato, scandito dal mero ritmo del montaggio, mentre sfuggono completamente le posizioni dei protagonisti in scena e delle loro armi contundenti. Lo stesso dicasi per il pur suggestivo (il merito è soprattutto della location) scontro finale, dove la suspense è nuovamente negata e sostituita da una loffia sorpresa. È preferibile non svelare altro, ma di certo la conclusione di L’uomo di neve è esemplificativa di quanto un’intera struttura, sia narrativa che di stampo produttivo-industriale, sul grande schermo possa collassare su sé stessa quando non guidata dal piglio del suo regista.
Marionette senza burattinaio, i protagonisti quanto i personaggi secondari del film (piuttosto involuti i ruoli di J.K. Simmons, Toby Jones, Charlotte Gainsbourg e Val Kilmer) sembrano d’altronde muoversi per inerzia, sospinti dalle aspettative dei lettori-spettatori più che da uno script ben oliato. Non basta infatti inanellare indizi e colpi di scena per fare un buon thriller e questo diventa ancor più evidente quando in scena esistono invece elementi, come la muffa che appesta l’appartamento di Hole, le nuove strumentazioni interconnesse in dotazione alla polizia e la candidatura di Oslo a sede della coppa del mondo degli sport invernali, che avrebbero permesso al plot di genere di lambire l’affresco socio-culturale.

Gli ingredienti sono lì, davanti ai nostri occhi, eppure L’uomo di neve non riesce a metterli insieme, finendo per chiedere proprio al suo destinatario ultimo, lo spettatore, di ricercare motivazioni dei personaggi e coesione narrativa fuori dal film. Magari nel libro, se lo ha letto. C’è solo il montaggio a tenere insieme qui i seppur validi frammenti del puzzle, ma proprio come i pupazzi di neve disseminati dal serial killer sulla scena dei suoi crimini, in fin dei conti anche questi solo di pezzi di ghiaccio ammassati l’uno sull’altro, la forma raggiunta ci è sì familiare, e serba quell’inquietudine fiabesca richiesta dalla storia qui narrata, ma sempre di acqua ghiacciata si tratta, e si scioglie rapida senza lasciare scorie.

Info
La pagina dedicata a L’uomo di neve sul sito della Universal.
Il trailer del film.
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