Pakeezah

Pakeezah

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Presentato, restaurato, nella rassegna sul cinema indiano Affinità elettive, organizzata da Marco Müller presso il LAC Lugano, Pakeezah è un caposaldo del musical indiano che si inserisce nel filone del cinema di cortigiane, un film maledetto, dalla lavorazione più volte interrotta per varie vicissitudini.

Piedini rossi

Inizi del XX secolo, nella regione musulmana dell’India di Lucknow. Shahabuddin, un nawab (nobile), si innamora e si sposa con una tawaif (cortigiana), Nargis. Ma il padre di lui disapprova quell’unione e caccia la donna che muore, vagabonda, di stenti, dopo aver dato alla luce una bambina, Sahibjaan che, crescendo, diventa anche lei una celebre tawaif. Salim, un nawab, si innamora di Sahibjaan e la ribattezza Pakeezah (pura di cuore). La loro unione però si rompe e Salim la invita a esibirsi durante il suo matrimonio con un’altra donna. Tra gli invitati anche Shahabuddin che viene colpito letalmente per errore da un colpo di pistola sparato dal padre. In punto di morte, Shahabuddin riceve la promessa di Salim che sarebbe ritornato insieme a Sahibjaan e l’avrebbe sposata. [sinossi]

Caposaldo del film musical indiano, trionfo di un pittoricismo in eastmancolor, Pakeezah – recuperato e valorizzato nel restauro presentato nella retrospettiva Affinità elettive – è un film dalla genesi complessa e avventurosa, che ha visto passare ben diciotto anni dal suo concepimento all’uscita in sala. Anni duurante i quali sono morti tanto il compositore Ghulam Mohammed quanto il direttore della fotografia Josef Wirsching, poi rimpiazzati.
Ideato dal regista Kamal Amrochi su misura per la sua moglie e musa, la star Meena Kumari, già nel 1954, del film vengono girate le prime scene in bianco e nero, poi rifatte a colori. Ma il regista si lascia tentare dall’eastmancolor e dal cinemascope, acquista con un accordo di royalty le relative lenti dalla Metro-Goldwyn-Mayer, e ricomincia ancora una volta da capo le riprese. La lavorazione però si interrompe nel 1964 per la separazione dei due. Nel 1968 regista e attrice arrivano ad accordarsi per completare il film girando le scene mancanti. Così Pakeezah esce finalmente in sala nel 1972, poco prima della morte di Meena Kumari per cirrosi epatica.

Pakeezah è un tripudio di colori, danze e musiche, uno Scarpette rosse indiano in lingua urdu, dove è evidente la messa in scena da parte di Kamal Amrochi della sua ossessione amorosa per Meena Kumari che si riverbera nelle due storie di amore contrastato, prima di Shahabuddin per Nargis, poi di Salim per Sahibjaan, le cortigiane, madre e figlia entrambe interpretate dall’attrice e danzatrice musa del regista. Un frase di lancio del film del resto recitava: “Shah Jahan fece il Taj Mahal per sua moglie, Kamal Sahab voleva fare lo stesso con Pakeezah“. Sono storie d’amore interclassiste quelle del film, che vanno contro una società rigida, ipocrita, patriarcale dove la figura della cortigiana non è tenuta ad avere sentimenti. E centrale è il corpo della ballerina che sprigiona un erotismo per cui si arriva a mettere in scena il feticismo del piede, anche il fulcro della danza stessa.

Kamal Amrochi costruisce un film dalla narrazione epica che copre un arco di tempo di tanti anni, con ellissi e salti temporali bruschi. Risolve gli snodi e i raccordi narrativi con un abbondante uso di lettere, missive, biglietti trovati per caso in un vecchio libro, la cui lettura si accompagna alla voce off narrativa usata all’inizio in modo da conferire una forma letteraria al film. E il regista mostra uno straordinario senso della composizione dell’immagine nelle scene musicali di massa, nei grandi set che ricostruiscono Lucknow. Straordinaria la coreografia del bordello, in un patio all’aperto sulla città, in cui le persone in strada e altre ballerine nei tanti balconi dei palazzi dirimpetto, si muovono e danzano a ritmo facendo da sfondo all’esibizione di danza mujra di Sahibjaan, con la mdp che a tratti si libra sempre dentro quello spazio, per poi affacciarsi, seguendo la danzatrice, all’esterno. Oppure la coreografia finale con Sahibjaan che danza con i piedi insanguinati, dopo aver calpestato i cocci di un candelabro di vetro fatto cadere. Ancora un simbolo di femminilità, il piede, perno della danza, agognato, violato e lacerato.

Info
La scheda dedicata a Pakeezah sul sito della rassegna Affinità elettive.

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