Il primo moto dell’immobile

Il primo moto dell’immobile

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Presentato in concorso in Italiana.doc al Torino Film Festival, Il primo moto dell’immobile di Sebastiano d’Ayala Valva riesce efficacemente – nell’evocare la figura del compositore Giacinto Scelsi – a costruirsi sia come opera divulgativa, sia come film di famiglia, sia come alta riflessione visivo-musicale.

La musica è stanca

Il regista indaga su un misterioso parente: Giacinto Scelsi, un compositore che affermava di non essere l’autore della propria musica, ma di riceverla dalle divinità. [sinossi]

«Non sei abbastanza scelsiano», questo è il commento che Michiko Hirayama, soprano giapponese, fa al regista de Il primo moto dell’immobile, film presentato al Torino Film Festival 2018 in concorso in Italiana.doc. E il regista, Sebastiano d’Ayala Valva, è un diretto parente proprio di Giacinto Scelsi, compositore scomparso nel 1988 intorno a cui si avviluppa il documentario in questione.
Non è abbastanza scelsiano. È vero, ma come si potrebbe essere così radicali come lo era Scelsi che ha estremizzato il concetto di dodecafonia fino ad arrivare allo studio di una singola nota e fino a realizzare opere in cui diventa centrale il suono stesso prima ancora della musica, o ancor peggio della melodia? Perché, come dice Scelsi in prima persona in un estratto della sua lunghissima sessione di memorie (che registrò negli anni Settanta nel corso di quattro notti consecutive), la musica contiene molte più cose di quante ne abbia contenute per secoli la limitata concezione occidentale. Così non si può essere abbastanza scelsiani – in parte lo è Battiato, che in passato ha omaggiato questo appartato Maestro -, e Il primo moto immobile non è un film tanto radicale da seguire le orme dell’illustre parente.

Ma Il primo moto dell’immobile è comunque un film che fa un enorme servizio a Giacinto Scelsi, perché lo fa conoscere e comprendere sia dal punto di vista umano che musicale. E l’elemento divulgativo, per quanto ancora superficiale nell’ambito dell’analisi di un film, resta comunque un elemento fondamentale da tener presente. Il primo moto dell’immobile, dunque, porta a compimento in maniera esatta e stratificata questo primo indispensabile compito. E lo fa, andando a ritrovare parte dei musicisti che hanno musicato le opere di Scelsi, a partire dalla già citata Hirayama, scomparsa purtroppo pochi mesi fa.
Anche attraverso di loro rivive la parola di Scelsi, e rivive il suo pensiero, come le sue ossessioni. Ed è grazie a loro che sentiamo dei frammenti della sua musica, che ci avviciniamo pian piano ad essa. Così come, per contrasto, d’Ayala Valva incontra anche una giovane soprano – che a tratti, quando le inquadra i piedi ondeggianti o quando le inquadra la nuca, sembra diventare la sua musa – e la riprende mentre si mette alla prova con la complessissima gestione vocale di queste opere. Fino a rinunciare, fino a capire che per arrivare a Scelsi bisogna prima partire da una musica più tradizionale, da Verdi ad esempio.
In questo modo, progressivamente, d’Ayala Valva costruisce un discorso stratificato, cui di tanto in tanto aggiunge un altro cerchio, un altro ispessimento concettuale. E così dalla mera divulgazione si passa al ragionamento intorno a quella musica, si passa alla sospensione e all’astrazione visivo-musicale e si arriva soprattutto alla registrazione di tutto questo e alla sua “eternizzazione”.
In certo modo, così come Scelsi diceva di farsi tramite di suoni che gli arrivavano da altrove, d’Ayala Valva si fa tramite di Scelsi stesso, di Hirayama e di suo padre (anch’egli scomparso poco dopo le riprese). Si fa tramite nel senso che si sente in dovere di ricordare, di imprimere le testimonianza di una musica, di una voce, di un volto, di una mano tremolante (come quella di suo padre). E dunque Il primo moto dell’immobile è, a suo modo e nonostante tutto, scelsiano, perché laddove Scelsi ricorreva alla radice stessa della musica riscoprendo la singola nota o il singolo suono, d’Ayala Valva riscopre la primaria necessità testimoniale del cinema, ne riscopre l’antica credenza secondo la quale registrare significa diventare eterni, superare i confini della morte.

Magari non sempre attentissimo alla calibratura del colore all’interno del quadro, ma sempre molto sicuro nella scelta delle inquadrature e nella gestione del tempo delle singole sequenze, d’Ayala Valva riesce così a realizzare anche un film che ci conduce parzialmente su territori misterici: prima quando inquadra in diversi momenti quella palma in cui, stando alle parole del Maestro, Scelsi si sarebbe reincarnato, poi nel farci ascoltare Uaxuctum, grande opera per orchestra che non era mai stata musicata, scegliendo di mostrarci delle immagini di foreste come da inizio/fine mondo, come da origine della terra, come da incubo alla Werner Herzog. E, dunque, una delle caratteristiche essenziali de Il primo moto dell’immobile è proprio questa sapiente – anche se non sempre perfetta – gestione di differenti piani, fino a aprirsi a quel crescendo finale, a quella sorta di fata morgana herzoghiana.

Info
La scheda di Il primo moto dell’immobile sul sito del Torino Film Festival.
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