The Report

The Report

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Dopo 13 anni, Scott Z. Burns torna dietro la macchina da presa con The Report: un lavoro che si ricollega al filone del film-inchiesta, riuscendo a fondere in modo apprezzabile, e abbastanza equilibrato, esigenze di aderenza storica e istanze spettacolari. Già evento speciale della Festa del Cinema di Roma, in sala dal 18 al 20 novembre e successivamente nel catalogo Amazon Prime Video.

Rapporto non confidenziale

A metà anni 2000, la senatrice democratica Dianne Feinstein istituisce una commissione volta a indagare l’uso della tortura sui prigionieri sospetti di terrorismo nei vari black sites americani, inclusi quelli di Guantanamo e Abu Ghraib. Dell’inchiesta viene incaricato il membro del suo staff Daniel Jones, che arriverà a conclusioni dirompenti, tali da segnare una delle pagine più nere della storia americana. [sinossi]

Sono passati ben 13 anni da quella che era stata l’ultima (e finora unica) regia di Scott Z. Burns, il poco noto Plutonio 239 – Pericolo invisibile. Da allora, lo sceneggiatore statunitense ha avviato una lunga e proficua collaborazione con Steven Soderbergh, culminata nel recente Panama Papers; un sodalizio sempre all’insegna di una compenetrazione tra l’attenzione alla ricostruzione della cronaca (o di una sua plausibile versione, come in Contagion ed Effetti collaterali) e le esigenze spettacolari di un cinema che resta comunque nella dimensione del blockbuster. Proprio dell’esperienza con Soderbergh – qui co-produttore – si giova in modo evidente questo The Report, racconto di una delle pagine più nere della storia americana, finora non trattata in modo sistematico (e realistico) dal cinema. C’è anzi, nel film di Burns, un attacco diretto – benché apparentemente marginale nella tessitura della trama – proprio a Hollywood e alla sua ricostruzione degli eventi che portarono all’uccisione di Bin Laden: a essere chiamata in causa è Kathryn Bigelow col suo Zero Dark Thirty, con la sua teoria secondo cui l’uso del waterboarding avrebbe infine portato a scoprire il nascondiglio del terrorista. Teoria che il film di Burns si preoccupa di smentire con dovizia di dati, andando a demolire qualsiasi giustificazionismo “scientifico” per l’uso di quelle che furono, a tutti gli effetti, vere e proprie forme di tortura.

Già evento speciale all’ultima Festa del Cinema di Roma, poi oggetto di una breve distribuzione in sala (tre giorni a partire dal 18 novembre) prima del suo approdo su Amazon Prime Video, The Report non è che l’ultimo epigono di un cinema che viene da lontano. Vengono in mente, inevitabilmente, i recenti Il caso Spotlight e Truth – Il prezzo della verità, vedendo il film di Scott Z. Burns; un parallelo che facciamo non tanto per un’affinità tematica, quanto per un impeto, insieme spettacolare e divulgativo, che accomuna i tre titoli e li lega a una lunga tradizione del cinema americano. Una tradizione che negli anni ’70 – complice il clima politico e creativo della New Hollywood – ebbe un suo picco artistico, e che nell’ultimo decennio sembra tornata prepotentemente in auge, favorita in questo da una contemporaneità più che mai fluida; una contemporaneità che in quindici anni ha visto la politica americana passare dal trauma dell’11 settembre con le seguenti, disastrose avventure militari in Iraq e Afghanistan, all’elezione di un presidente afroamericano (con le speranze e delusioni che questa portò) fino al successivo, traumatico arrivo alla Casa Bianca del losco Donald Trump. È proprio quel quindicennio a essere messo sotto la lente di ingrandimento del film di Burns, che recupera quindi il genere del film-inchiesta, cercando di fondere il rigore della ricostruzione all’uso (anche spregiudicato) di tutti gli espedienti cinematografici atti a generare coinvolgimento.

Parte di fatto in media res, The Report, col protagonista interpretato da Adam Driver accusato di tradimento – e l’intera inchiesta da lui condotta pericolosamente in bilico – per svilupparsi poi attraverso una serie di flashback che mostrano la composizione e i lavori della commissione di inchiesta parlamentare voluta dalla senatrice Dianne Feinstein. Un andirivieni temporale che allarga progressivamente il suo sguardo dai lavori della commissione stessa alla politica americana nel suo complesso, andando a sviscerare quell’intreccio di calcoli politici, economici, nonché legati al prestigio personale di singoli, che permisero la perpetuazione di metodi di indagine non solo eticamente riprovevoli, ma di dimostrata inefficacia. Proprio sulla dimostrazione fattuale dell’inutilità delle “tecniche di interrogatorio rinforzato” (che comunque non tralascia l’aspetto etico della vicenda) si incentrò principalmente il lavoro del Daniel Jones qui interpretato da Driver; e sulla stessa linea concettuale si muove il film, che di quel lavoro tenta di farsi ricostruzione filmata. Una ricostruzione che da un lato non arretra di fronte alla messa in scena esplicita delle torture (le sequenze che le raffigurano sono di alto impatto emotivo) dall’altro non esita a fare nomi e cognomi, e a chiamare in causa responsabilità precise, nei paradossali sviluppi a cui l’indagine portò (il riconoscimento del prolungato e inutile uso della tortura, ma nessuna condanna né rimozione dal loro posto dei responsabili). E in questo senso lo stesso Barack Obama, rappresentato come colpevolmente inerte, e addirittura ostile di fronte alle conclusioni più dirompenti a cui la commissione arrivò, non ne esce esattamente sotto una luce positiva.

Apprezzabile sia sul piano emotivo e spettacolare, che su quello della ricostruzione di cronaca (con un’ammirevole chiarezza nella narrazione, vista l’ampiezza del periodo storico e i suoi tanti protagonisti) The Report trova un limite nella sua stessa scelta concettuale: il film di Scott Z. Burns punta infatti a essere una sorta di pamphlet firmato, ma non riesce (e forse neanche vuole) farsi racconto cinematografico a tutto tondo. Il protagonista col volto di Driver è un emblema e un’icona – della ricerca della verità come del lato più democratico e progressista della nazione americana – più che un vero e proprio personaggio: nulla sappiamo di lui, nulla ci viene suggerito, nulla ci appare minimamente utile per quelli che sono i proponimenti del film. Una figura venuta dal nulla, quindi, caratterizzata unicamente dalla dedizione ossessiva – che a tratti assume connotati quasi messianici – alla sua inchiesta, la cui accuratezza e resa filmica subordina a sé qualsiasi altra istanza del film. Gli stessi, ulteriori membri della squadra del protagonista, in questo senso, appaiono fantasmi più che comprimari; il personaggio di Adam Driver risulta paradossalmente tanto presente e “pesante” nella storia quanto esile ed evanescente sul piano della definizione narrativa. Una scelta nel segno dell’elisione del privato, e del rifiuto di una più complessa costruzione narrativa, che inevitabilmente allontana il film dai suoi modelli “nobili” di qualche decennio fa.

Va comunque apprezzata, in The Report, l’indiscutibile carica divulgativa, così come la già citata, notevole chiarezza, che rivela l’abilità di un cineasta fattosi le ossa con la scrittura cinematografica (e in special modo con le vicende affini a quella qui raccontata). Il film di Scott Z. Burns riesce comunque a raggiungere un buon equilibrio tra le esigenze di cronaca e la dimensione più esplicitamente emotiva e spettacolare della vicenda, risultando comunque fruibile e accattivante anche – e forse soprattutto – per chi degli eventi raccontati non avesse che una conoscenza superficiale. Il sempre presente rischio della retorica viene complessivamente tenuto a bada, con l’eccezione di un’ultima mezz’ora in cui – complice la dimensione sempre più ossessiva del coinvolgimento del protagonista nell’inchiesta – il film si sbilancia un po’ in tal senso, assumendo tratti troppo “urlati”. La postilla finale, in quest’ottica (una citazione sui titoli di coda che risulta inutile, specie perché va a ribadire concetti già chiari) denuncia il cedimento a una dimensione retorica che comunque, nel complesso, resta abbastanza contenuta. Date le premesse del progetto – e i limiti di un filone che non consente chissà quale sperimentazione o impennata creativa – il risultato può dirsi complessivamente positivo.

Info
Il trailer di The Report.

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