Truth – Il prezzo della verità

Truth – Il prezzo della verità

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Il film di inchiesta risorge a nuova vita in Truth di James Vanderbilt, scelto come apertura alla decima Festa del Cinema di Roma. Con Cate Blanchett e Robert Redford.

La verità della logica

Siamo nel 2004: alla vigilia delle nuove elezioni presidenziali statunitensi, in cui George W. Bush sfida il democratico John Kerry, la CBS viene in possesso di scottanti rivelazioni sul presidente, legate al suo passato e ai favoritismi goduti durante il suo servizio di leva. Animatori dell’inchiesta, la giornalista Mary Mapes e il veterano dell’informazione Dan Rather… [sinossi]

Il genere del film di fiction d’inchiesta, prosecutore di una tradizione hollywoodiana che ha avuto il suo culmine (qualitativo e di popolarità) negli anni ’70, sta tornando prepotentemente in auge negli ultimi anni. Non è un caso che uno dei titoli di punta della recente Mostra del Cinema di Venezia sia stato Il caso Spotlight, in cui veniva trattata la discussa indagine del Boston Globe sui casi di pedofilia in alcune parrocchie americane; e non è un caso che ora, ad aprire ufficialmente la nuova edizione della Festa del Cinema di Roma, ci sia questo Truth – Il prezzo della verità. Più ancora del film di Tom McCarthy, l’esordio alla regia di James Vanderbilt è legato a doppio filo a quella stagione in cui l’autorialità della New Hollywood si sposava con l’impeto democratico e di passione civile di molti suoi esponenti; e in cui cineasti come Alan J. Pakula, Sidney Pollack, Sidney Lumet, e molti loro colleghi, coniugavano efficacemente l’intrattenimento con la messa a nudo delle logiche di un potere schiacciante e pervasivo. Il trait d’union tra questa tradizione e il film di Vanderbilt (un pugno di sceneggiature all’attivo, tra cui quella, notevole, di Zodiac di David Fincher) sta nella presenza di Robert Redford nel ruolo di co-protagonista: interprete nel film di un veterano del giornalismo (non può non venire in mente, tra i tanti, il suo personaggio di Tutti gli uomini del presidente), l’attore realizza una sorta di sovrapposizione tra la sua figura e quella del suo personaggio, tra il “combattente” veterano del cinema d’impegno e quello del giornalismo d’inchiesta.

Nella presenza di Redford, e nella dialettica che il personaggio instaura con l’allieva interpretata da Cate Blanchett, sta probabilmente il pregio più appariscente, e di più immediata spendibilità, del film di Vanderbilt. La Blanchett, in un carattere ben tratteggiato quanto ricco di chiaroscuri, si produce in quella che è probabilmente una delle sue interpretazioni recenti più efficaci; mentre la figura di Redford (negli ultimi anni anche dedito a un attività di regista sempre più personale e interessante) basta di suo a riempire lo schermo. Proprio l’ingombrante presenza dei due attori, la loro automatica (ma non sempre inconsapevole) tendenza a catalizzare su di sé l’attenzione, può rappresentare anche un primo limite per il film di Vanderbilt. Perché, se è vero che Truth si rifà ad una tradizione ampiamente codificata, e che la sua sceneggiatura ne segue (con efficienza ed equilibrio) i dettami, la regia sembra al contrario adagiarsi fin troppo su questo comodo patrimonio; su questo, e sul magnetismo delle sue due star. Non è tanto la natura derivativa del film, in fondo dichiarata e voluta, a rappresentare un problema: piuttosto, il fatto che Vanderbilt (che si conferma più sceneggiatore che metteur en scène) scelga la via più facile per raccontare per immagini la vicenda, ne sottolinei il lato emotivo nei punti, e nei modi, in cui ci si aspetta, e pecchi in più di un punto (un esempio è la parentesi finale con Redford) di mancanza di equilibrio.

Non vorremmo, comunque, trasmettere un’impressione sbagliata: Truth è, in sé, un film efficace e ben congegnato, capace di sfruttare al meglio (e col minimo sforzo) la forza di un soggetto di grande presa emotiva. La sceneggiatura, il cui equilibrio rappresenta (insieme al cast) il principale pregio del film, descrive al meglio la dialettica tra trincea dell’informazione e dimensione privata, missione civile e necessità di (soprav)vivere, integrità e inevitabili compromessi, che accomuna gran parte dei personaggi. Una qualche, in certa misura inevitabile, tendenza allo stereotipo (ne è esempio il giovane giornalista col volto di Topher Grace) non inficia, nel suo complesso, l’efficacia della costruzione narrativa dell’opera; la componente da legal drama, esplicitata soprattutto nella parentesi finale, è di indubbia pregnanza ed efficacia scenica. Il culmine della deposizione della protagonista, la sua appassionata difesa di una verità che, pur laddove non trovi certezza giuridica, è confortata da quella del mero buon senso, rappresenta uno dei momenti emotivamente più forti (e riusciti) della pellicola. Vanderbilt, tuttavia, incappa in cadute di tono, e in momenti smaccatamente e grossolanamente melò (ne è esempio il dialogo al telefono della protagonista con suo padre, “colpo basso” cinematografico fin troppo calcolato) che stonano col rigore che, nel suo complesso, anima l’opera.

Viene da pensare che Truth – Il prezzo della verità, se fosse stato diretto dallo stesso Redford (ma anche da un autore/attore che in passato si è dimostrato più che a suo agio con certi registri, quale George Clooney) sarebbe risultato più equilibrato ed efficace. Viene da pensare, anche, che nella confezione del film, nella scelta del cast, e nel tono in cui la vicenda è narrata, non sia stato estraneo un ragionamento in possibile ottica-Academy. Tutte considerazioni legittime, che comunque non inficiano la complessiva, buona riuscita di un prodotto che, nei suoi limiti, prosegue (e rivitalizza) un filone fondamentale per l’intera storia del cinema.

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Il trailer di Truth – Il prezzo della verità.
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