Vil, má
di Gustavo Vinagre
Presentato al Sicilia Queer Filmfest, dopo la prima al Forum della Berlinale, Vil, má del filmmaker brasiliano Gustavo Vinagre, raccoglie le confessioni di Wilma Azevedo che è stata la regina della letteratura sadomasochistica in Brasile. Racconti crudi ed espliciti che delineano una ribellione verso una società patriarcale e uno spazio di libertà durante la dittatura.
Racconti molto immorali
Un salotto con pareti color salmone, arredato da arazzi, busti, piante e un manichino da sarta. Su una poltrona di velluto siede Wilma Azevedo/Edivina Ribeiro, 74 anni, la “regina della letteratura sadomasochistica” brasiliana. Racconta la sua storia che si ramifica in una serie di aneddoti erotici che includono banane non troppo mature, dildo rivestiti di carta vetrata e zone erogene anali. Nel racconto interviene Wanda, un’attrice che dovrebbe interpretarla in un film di prossima realizzazione, cui è affidata la lettura dei suoi racconti e delle lettere degli ammiratori. [sinossi]
Una signora anziana racconta la propria vita, pacatamente, con signorile eleganza. Quella che potrebbe essere, ed è, una dolce vecchina, sciorina dettagliate descrizioni di pratiche di perversione estrema, sadomasochistiche, coprofile, incestuose, feticistiche, schiavistiche. Si tratta in effetti di Wilma Azevedo, nome d’arte di Edivina Ribeiro, storica autrice brasiliana di racconti pornografici per riviste del settore. Ma ciò che, da una semplice sinossi, sembrerebbe un film fatto di interviste, rivela in realtà un discorso complesso, a tratti pirandelliano, sui rapporti tra realtà e messa in scena. Vil, má (il titolo internazionale è Divinely Evil), del filmmaker brasiliano Gustavo Vinagre, presentato in concorso al Sicilia Queer Filmfest, dopo la prima al Forum della Berlinale, ha la forma di un lavoro preliminare, di intervista appunto, per quello che dovrebbe profilarsi come un film classico, con un’attrice che interpreterà la grande scrittrice di letteratura erotica. La giovane viene presentata alla ex-scrittrice e interviene nella lettura di brani che verosimilmente sono quelli delle lettere di pervertiti che riceveva. Vinagre opera un gioco del doppio: la scrittrice dai due nomi, quello vero e quello d’arte, che è doppiata da un’altra se stessa da giovane (un gioco che poi torna anche nei racconti erotici, con un figlio che oscilla tra i 18 e i 30 anni). La composizione dell’immagine prevede ulteriori figure di doppio, una figura femminile in un grande quadro, un manichino, una statua.
Il film è diviso in due parti che sommariamente potremmo intendere come una prima in cui la donna recita i suoi racconti e una seconda in cui invece racconta la propria vita. Ogni narrazione in realtà lascia aperto il dubbio. Il primo racconto, quello dell’esibizionista, sembra l’iniziazione alla perversione di una ragazza ingenua, e nella seconda parte avremo ulteriori esperienze di spinte alla depravazione. Alcuni momenti pulp, omicidi, decapitazioni, fanno però propendere per delle costruzioni letterarie. Altri sembrano veri, a volte perché il soggetto è una scrittrice, che scrive racconti e articoli anche basati sulle perversioni che i suoi lettori le raccontano via lettera, ma potrebbe anche trattarsi di un’operazione di mise en abyme. Quando racconta un’avventura erotica con un postino viene esibita nel film proprio una fotografia, relativa a quella storia, come ad autenticarla. La prima parte termina con una composizione a tableau vivant dove alcuni abiti sadomaso conservati dalla donna, vengono indossati dalla giovane attrice e dal manichino.
La seconda parte, quella della verità– come anche suggerito dal fatto che l’attrice arriva dopo, come se non ce ne fosse bisogno –, parla delle prime scintille di perversione della donna, come quando aveva convinto il marito a fare il bagno nudi, ravvivando un rapporto in cui la sessualità era un qualcosa di estremamente insipido. Le scoperte della sessualità sono graduali, come delle conquiste in un mondo che negava il diritto della sessualità alla donna, puro oggetto di piacere e riproduzione per il maschio. In questa parte si delinea come l’universo letterario perverso della scrittrice sia nato come ribellione a un mondo dominato dai maschi. “Porco, maniaco di merda”: è ciò che lei stessa pensa quando scopre la relazione adulterina del marito. Ma è il padre a suggerirle di rassegnarsi, agli uomini una donna sola non basta. Qualcosa nasce in quel momento nell’anima di Edivina, che passerà la vita a sperimentare o raccontare, amplificandole, quelle perversioni che sembrano riservate ai maschi. Il ruolo da dominatrice è proprio l’inversione dei rapporti di forza tra uomo e donna. La storia con il marito è raccontata con una serie di ellissi che riguardano la separazione, i figli, l’ictus. La storia coniugale appare davvero qualcosa di desolante, al punto che la donna doveva nascondere il suo diploma al marito, come se a una donna non fossero concessi titoli di studio. In questo quadro un ruolo importante è quello della religione. Se da un lato Dio è un voyeur, l’occhio nel triangolo che ci guarda tutti, dall’altra Wilma tiene saldi i principi religiosi che rappresentano il limite oltre cui le perversioni non possono andare. Sarà proprio la blasfemia a far tornare Wilma di nuovo Edivina, nome che in sé racchiude la devozione dei suoi genitori.
In questo contesto arriva la grande rivelazione: le fantasie perverse della donna non erano le sue ma quelle che i suoi lettori, cui andava incontro, volevano sentire. Ma ancora è lecito dubitare della sincerità dei racconti di questa seconda parte, che comincia ancora con un dettaglio pulp, quello della prostituta strangolata con un filo dell’aspirapolvere. Il che fa ancora pensare a una tendenza a romanzare della donna. C’è spazio, nel racconto di Wilma, anche per la dittatura. La scrittrice è ancora ferma, come per i blasfemi, a tenere fuori dai suoi circoli di pervertiti, gli agenti governativi. La dittatura è la sublimazione del patriarcato e le torture che i pervertiti si infliggono vengono suggerite come in relazione con le sevizie operate dagli agenti aguzzini verso gli oppositori. Ma di contrasto in realtà si tratta: le prime, per quanto estreme, sono consensuali a differenza delle seconde. I racconti, sia di Wilma che di Edivina, funzionano per slittamenti progressivi, per una accettazione graduale delle nuove pratiche erotiche. Anche la scrittrice fa fatica a comprendere inizialmente le nuove azioni depravate che le vengono proposte. Così è anche per Wanda, l’attrice, che non riesce a entrare nel personaggio rimanendo per buona parte del film in funzione da “cuckold”. Gustavo Vinagre mette in scena così una sessualità onirica, dove le barriere si allentano via via anche solo nelle fantasie e nel desiderio. Una sessualità che è prima di tutto politica, femminista, come scopre la protagonista anche in base a rivelazioni di natura medica e anatomica, perché il diritto al piacere possa essere anche femminile come è naturale che sia.
Info
La scheda di Vil, má sul sito del Sicilia Queer Filmfest.
- Genere: documentario, drammatico, sperimentale
- Titolo originale: Vil, má
- Paese/Anno: Brasile | 2020
- Regia: Gustavo Vinagre
- Sceneggiatura: Gustavo Vinagre
- Fotografia: Thais Taverna
- Montaggio: Gabriel Pessoto
- Interpreti: Edivina Ribeiro, Juliane Elting, Wilma Azevedo
- Durata: 86'