Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song

Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song

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Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song, diretto a quattro mani da Daniel Geller e Dayna Goldfine, è un documentario che assomma tre linee narrative, tripartizione espressa fin dal titolo, perdendo in coerenza e compattezza d’insieme ma guadagnando in varietà e fruibilità. Presentato Fuori Concorso a Venezia 78.

L’arte per l’arte, l’arte per i soldi, i soldi per l’arte

Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song è un’indagine completa sul mondo del cantautore Leonard Cohen, visto attraverso il prisma della sua Hallelujah, un inno di fama internazionale. Questo documentario intreccia tre filoni creativi: il cantautore e la sua epoca; il percorso drammatico del pezzo, dal rifiuto da parte dell’etichetta discografica alla vetta delle classifiche; le testimonianze toccanti di grandi artisti per i quali Hallelujah è diventato una personale pietra di paragone. Approvato per la produzione da Leonard Cohen poco prima del suo ottantesimo compleanno nel 2014, il film passa in rassegna un vasto repertorio di materiale d’archivio inedito proveniente dal Cohen Trust, inclusi gli appunti personali, i giornali e le fotografie di Cohen unitamente a filmati di sue esibizioni, nonché preziose registrazioni audio e interviste. [sinossi]

Un progetto nato per esplorare a fondo il gigantesco impatto culturale che Hallelujah di Leonard Cohen ha avuto sull’ultimo decennio del Novecento e di rimando fino ai giorni nostri (grazie, paradossalmente, alla miriade di talent show), il documentario Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song della coppia di registi/produttori Daniel Geller e Dayna Goldfine, presentato Fuori Concorso nella selezione ufficiale di Venezia 78, si è trasformato in un lavoro (che tenta di essere) onnicomprensivo sulla figura del song-writer, scrittore e poeta canadese scomparso nel 2016. Autori di tanti lavori con la loro Geller/Goldfine Productions (ricordiamo su tutti Frosh, sulla vita in un campus universitario, Something Ventured, sul “nuovo” capitalismo tecnologico, e un lavoro dedicato alla “madre della danza moderna” Isadora Duncan), la coppia di autarchici cineasti si rende subito conto, per loro stessa ammissione, di non riuscire ad assommare un minutaggio tale da assemblare un lungometraggio con i materiali d’archivio relativi al solo pezzo, e allora aprono il film verso interviste e ricostruzione biografica, portando alla non usuale durata, per un documentario di argomento musicale, di 115 minuti. Come quelle cene frugali che, per crescente appetito, si trasformano in corso d’opera in abbuffate luculliane, si fanno prendere la mano e realizzano un film che cambia passo, tempi e modalità di narrazione (troppo) spesso.

Non vogliamo qui togliere al lettore/spettatore potenziale il piacere di scoprire i tanti aneddoti che emergono sulla/nella vita di Cohen che, un po’ come il nostro Fabrizio De André, con la vecchaia diventa meno “orso” e più aperto verso interviste e concerti dal vivo, fino a un tour monstre negli ultimi anni dell’esistenza che lo porta a suonare in ogni parte del globo, e ancora come esempio viene facilmente alla mente il NeverEnding Tour dylaniano. Tour infinito e tanti dischi, ben quattro in sette anni dopo lungo silenzio, dovuti a profonde motivazioni artistiche? No, soprattutto a improvvisa indigenza economica, con una manager che, da un giorno all’altro, prende i soldi e scappa. Può forse sminuire questa notizia la portata del genio? No, e la molla della creatività solleticata dal bisogno può suscitare riflessioni ancor più profonde sull’espressione artistica nella società capitalistica. C’è quasi da ringraziare quella disgraziata furfante …

Il cuore del film, però, rimane sul classico dei classici, su quella preghiera laica più volte rimaneggiata dallo stesso Cohen, in versioni di volta in volta più materialiste o spirituali. Ogni sera una sorpresa, nelle esecuzioni dal vivo, una nuova strofa, o un cambio nell’ordine delle stesse, uno zibaldone poetico debitore del flusso di coscienza del momento. E pensare che Various Positions, il disco del 1984 che originariamente la conteneva, venne rifiutato dalla Columbia, rimanendo inedito negli Usa praticamente fino alla riedizione totale del catalogo coheniano nel 2009, e causando una profonda crisi di autostima nel Nostro. Fu Jeff Buckley, nel seminale capolavoro Grace del 1994, a (ri)portarla in auge grazie alla sua cover, e negli anni successivi si pensò addirittura fosse un suo pezzo originale. John Cale, Rufus Wainwright, la versione accorciata per la soundtrack di Shrek che diviene negli anni la traccia base per le miriadi di riproposizioni nei vari American Idol, X-Factor, The Voice: riascoltata nel corso del film una miriade di volte, interamente o per frammenti, non stanca mai. L’esecuzione finale di Cohen, che precede i titoli di coda, ci lascia ancora attoniti, emozionati, commossi.

Info
Hallelujah: Leonard Cohen, A Journey, A Song sul sito della Biennale.

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