Margini

I margini sono quelli della provincia toscana, vista con gli occhi di chi vorrebbe urlare tutta la sua rabbia ma non sa neanche come farlo. Inguainato in una struttura da commedia l’esordio alla regia di Niccolò Falsetti è in realtà l’amaro ritratto di un mondo borghese inscalfibile, in cui neanche il più devastante dei concerti punk riesce davvero a lasciare traccia. In concorso alla trentasettesima Settimana Internazionale della Critica di Venezia.

Se ho vinto, se ho perso

Fine estate 2008. Edoardo, Iacopo e Michele sono i membri di un gruppo punk di Grosseto, nella Maremma Toscana. Stanchi di suonare tra sagre e feste dell’Unità, hanno finalmente l’opportunità di andare a Bologna ad aprire il concerto di una famosa band hardcore americana. È tutto pronto, ma il giorno della partenza ricevono una chiamata dagli organizzatori: il concerto è annullato. Ma i tre non si danno per vinti: se non possono suonare a Bologna, saranno i Defense a venire a Grosseto! I paradossi della provincia e la grottesca mentalità dei suoi abitanti, renderanno l’organizzazione del concerto decisamente più ardua del previsto, trasformando ogni piccolo dettaglio in un problema. L’arrivo degli americani si avvicina inesorabilmente e, insieme alla riuscita dell’impresa, viene messo in discussione ogni punto fermo della vita dei tre ragazzi, rischiando di fargli perdere ciò che hanno sempre dato per scontato: la loro indistruttibile amicizia. [sinossi]
Tra le rovine di questo paese
Cresce un popolo che tu non conosci
Vivi in un quartiere di periferia
Ma non ascolti le loro voci
Ciò che non puoi vedere in TV
Lo puoi trovare giù nella strada
Nella parte buia di questa città
Puoi vedere i loro volti
Parli poco con i tuoi
Ma il nostro popolo non ha eroi
Nabat, L’Italia degli sfruttati
Questi anni stan correndo via
Come macchine impazzite, li senti arrivare
Ti volti e son già lontani
(Ti chiedi cosa è successo)
La rabbia di quei giorni brucia ancora dentro
Ma poi c’è tanto veleno in noi
Gli altri stanno ancora ridendo
E noi qui a guardarci dentro
Kina, Questi anni

“Un ringraziamento speciale alle band della scena punk italiana che hanno supportato questo progetto: Negazione (Torino HC), Klaxon (Roma Streetpunk), Antiyou (Roma HC), Colonna Infame Skinhead (Roma Oi!), Gli Ultimi (Streetpunk dalla provincia), Rappresaglia (Milano HC), Coloss (Roma HC), La Crisi (Milano HC), Kina (Aosta HC), Nabat (Bologna Oi!), Payback (Roma NYHC), Pegs (Grosseto Streetpunk). Live Support: Iena (Firenze Super Oi!)”. Questo recitano i titoli di coda di Margini, esordio alla regia per Niccolò Falsetti presentato in concorso nei lavori della Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Quando i Kina, storica band valdostana della scena hardcore, appesero idealmente gli strumenti al muro nel 1997, il regista e il suo co-sceneggiatore e protagonista Francesco Turbanti andavano ancora alle elementari: solo pochi anni più tardi, al ginnasio, avrebbero fondato i Pegs. Sembrano fuori dal tempo, i tre protagonisti di Margini, e nella loro scelta di appartenenza al mondo punk in effetti lo sono: i Klaxon si fondarono nel 1979 così come i Nabat, i Negazione presero parte all’ellepi collettivo L’incubo continua nel 1983, i Colonna Infame Skinhead si sono sciolti nel 2001. Nella Grosseto del 2008 sono degli alieni, relitti di un mondo ai margini per scelta, ma anche perché non troverebbe mai spazio nel salotto borghese, non potrebbe sopravvivere alle abitudini di caccia e allevamento della zona. Edo è perfino vegetariano, e la madre – che si è risposata con il proprietario di una “sala danzante” che spara a tutto volume Rock’n’Roll Robot dell’Arlecchino Alberto Camerini – non sa neanche cosa preparargli per il pranzo; Iacopo è un oggetto altrettanto difficile da identificare, visto che si scatena al basso nella sala prove ma poi nel salotto di casa si esercita al violoncello, in attesa di partire in tournée come sostituto per l’orchestra diretta da Daniel Barenboim; Michele, punk della primissima ora, è il vero leader della band, e passa il tempo a esercitarsi alla batteria sacrificando per questo anche i colloqui di lavoro che gli trova la moglie (i due hanno anche una bambina, Alice, cresciuta a pane e riff), a sua volta cassiera al supermercato. No, non c’è davvero spazio per questi tre figuri in una città che è a due ore di macchina da tutto, da Roma, da Firenze, da Bologna, perfino da Pisa. E non c’è spazio per il punk in una città che destina la maggior parte dei soldi a bilancio per la cultura a una rievocazione storica medioevale. In questo luogo (che ha qualcosa dell’intera provincia italiana, una città “inutilmente bella”, per rubare le parole agli Offlaga Disco Pax di Respinti all’uscio) perfino l’ipotesi di un concerto con un paio di centinaia di persone che arrivano “anche da fuori” assume i contorni di un atto di ribellione, di un urlo in faccia allo status quo. Ma lo è davvero?

Falsetti riprende solo in un paio di occasioni i Wait for Nothing (questo il nome della band di Miche, Iac, ed Edo) nel pieno del furore musicale: la prima è anche la prima inquadratura del film, un totale dei tre che suonano Palude dei Pegs – chissà quanta reale biografia è entrata a far parte della narrazione – fino a essere interrotti da chi si lamenta del rumore. Accadrà di nuovo, mentre Michele si esercita da solo sul terrazzo del palazzo in cui vive, ma anche quando i tre si esibiranno in un deprimente concerto in un giardinetto pubblico dove si terrà una “tombolata maremmana” suonando Punk è moda dei Colonna Infame Skinhead non si creerà feeling con lo scarso pubblico presente. Resta dunque solo il sogno di poter trascinare in Maremma i Defense, band statunitense per cui i Wait for Nothing avrebbero dovuto fare da gruppo spalla al bolognese Estragon, concerto poi annullato. Da quel momento in poi, dalla scintilla di reazione di fronte a un microcosmo in cui i protagonisti non riescono a integrarsi, non ci sarà più la possibilità di vederli sul palco: la musica suonata si allontana sempre più dalla narrazione, arrivando quasi a sfiorare i confini del sogno, dell’illusione, dell’immaginazione pura. Da quel momento ci sarà da confrontarsi con la realtà, e tutto ciò che comporta. La narrazione di Margini si muove per blocchi chiari, netti, in gran parte probabilmente prevedibili (e con qualche soluzione un po’ troppo facile, si veda la distruzione del locale del patrigno di Edo e soprattutto le sue pressoché nulle conseguenze), ma con alcune scelte tutt’altro che di prammatica, e che denotano la volontà di non seguire la marea montante: non c’è un treno da lasciar andare via per garantire la prosecuzione del sogno, non è previsto un colpo di scena in grado di rovesciare completamente la situazione, non c’è spazio per lo “spettacolo”. L’epica del racconto musicale non prende mai piede, e anche il più movimentato dei concerti punk il giorno dopo lascia solo una fugace apparizione sulla prima pagina del giornale locale, e niente più. Falsetti e Turbanti, coadiuvati in fase di sceneggiatura dal coetaneo Tommaso Renzoni (Altrimenti ci arrabbiamo, Gli idoli delle donne; alla SIC di quest’anno sarà presente anche per lo script del cortometraggio Nostos del foggiano Mauro Zingarelli), hanno il pregio di comprendere l’anima più profonda della commedia, quella che si agita nei meandri della nostalgia. Il dolore del ritorno è quello che provano Miche ed Edo, rimasti in quella Maremma dove una mandria di bufali ti attraversa la strada mentre sei in macchina: un ritorno a casa impossibile, un ritorno alle origini che non può essere. “Se bruciasse la città da te io tornerei”, canta a squarciagola Massimo Ranieri – ma per loro potrebbe essere Al Bano o Lucio Battisti, vista la distanza culturale dalla canzone “italica” –, e in qualche modo è l’ultimo sogno concesso in una vita che li ha già sconfitti, loro che non vogliono e non sanno adeguarsi al resto del mondo. “Anche il fuoco vincerei per rivedere te”. La videocamera non si stacca dal parabrezza dell’automobile, l’audio svanisce: resta il volto contratto nell’euforia della disperazione di due ragazzi punk in una mattina qualunque di una città qualunque della provincia italiana. Dopotutto, come affermava Scott Paton degli scozzesi A.O.A. intervistato da Ian Glasper per il volume Anarco Punk (con American Punk Hardcore di Steven Blush il volume fondamentale per approcciarsi al genere: quest’ultimo nell’edizione italiana di Shake ospita anche una postfazione dei Kina) “Noi abbiamo deciso di esprimere la nostra rabbia attraverso la musica, di cercare un diverso approccio, e per lo più ha avuto l’effetto desiderato: un attacco a tutto campo a quello che volevamo cambiare. E adesso ci risiamo, il ciclo infinito di vita e morte continua. Ci sarà sempre qualcosa per cui essere incazzati…”. No nazi no vetro no cani. Margini.

Info
Margini sul sito della SIC.

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