In viaggio

In viaggio

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Gianfranco Rosi sceglie di lavorare soprattutto sul materiale di repertorio per il suo nuovo film, In viaggio, dedicato al peregrinare del papa. E, a fronte di una superficie para-televisiva, l’autore di Sacro GRA innesca progressivamente – e in maniera sottile – un’amara e arguta riflessione sulla solitudine di Bergoglio. Fuori concorso a Venezia 79.

Viaggia (inutilmente) sua santità

Da Lampedusa al Brasile a Cuba. A partire dal 2013, anno della sua ascesa al soglio pontificio, il papa ha visitato 59 paesi, portando sempre la sua parola di speranza in un mondo che, però, lo ascolta sempre meno. [sinossi]

Dopo le polemiche di Notturno, Gianfranco Rosi torna a Venezia, stavolta fuori concorso, e il suo In viaggio è un film completamente diverso sia dal precedente che da Fuocoammare che anche da Sacro GRA. Qui lavora su una figura centrale attorno a cui far ruotare il racconto – un po’ come accadeva già in El sicario – e questa figura altri non è che papa Francesco, che ci viene mostrato dal 2013 – anno della sua elezione al soglio pontificio – fino a quest’anno, anzi verrebbe da dire fino a questi ultimissimi mesi, visto che viene anche affrontato il tema della guerra in Ucraina.

Se dunque i titoli che hanno fatto di Rosi un autore celebrato a livello internazionale avevano la caratteristica di una coralità a tratti troppo fredda (si pensi proprio a Sacro GRA), con In viaggio si cambia completamente registro grazie a un’accurata indagine quasi psicologica. Avvalendosi infatti di immagini di repertorio che documentano i vari viaggi del papa – da Lampedusa al Brasile a Cuba – Rosi scava sulla superficie della ripresa televisiva e coglie gli indugi, le pensosità e la progressiva amarezza del suo protagonista. Si pensi al classico camera car – che abbiamo visto migliaia di volte – del papa ripreso di spalle che saluta fiumi di folle festanti ai bordi della strada; ebbene Rosi ci mostra un momento in cui in strada ancora non c’è nessuno, e dunque Bergoglio se ne resta seduto in attesa che appaia qualche fedele per alzarsi prontamente ed entrare in scena.

Entrare in scena. Già perché d’altronde In viaggio è anche la riflessione su di un uomo imprigionato nel meccanismo dello show business, in continua migrazione intorno al globo terracqueo e sempre al lavoro, dato che durante i viaggi in aereo è chiamato a rispondere alle domande dei giornalisti, e sempre costretto a soppesare attentamente le parole; si veda in tal senso sia la polemica che provoca in Cile una sua dichiarazione su un prete pedofilo sia quella – successiva – che scatena in Turchia per l’utilizzo del termine genocidio in relazione agli armeni. E Rosi coglie a tratti i silenzi, le esitazioni, il fuori campo di questi incontri mediatici, fino all’esemplificativa inquadratura conclusiva del film in cui il papa è letteralmente fuori campo, atteso da una torma di giornalisti con videocamere e microfoni puntati verso la tenda chiusa, una tenda che è ovviamente anche un sipario.

Ma tutto questo arriva con esattezza concettuale solo nella conclusione del film, perché fino ad allora si è assistito sì a questi piccoli strappi del sipario, dove però il centro è rimasto il racconto abbastanza didascalico del peregrinare del protagonista e del breve approfondimento dei temi da lui affrontati. Per essere più precisi basta dire ad esempio che si vede il papa arrivare in Giappone per la ricorrenza dell’esplosione dell’atomica e, al tempo stesso, Rosi ci fa vedere l’esplosione della bomba in immagini di repertorio, come se non fosse un’immagine che già conosciamo a memoria. Ma questo avviene perché il gioco di Rosi è molto sottile e per certi versi molto intellettuale: difatti quel che si può concludere alla fine del film – dopo aver sentito parlare il papa di guerra, povertà, riscaldamento globale e dopo aver visto immagini di distruzione, di disboscamento della foresta amazzonica, di vari genocidi di vario ordine e natura – altro non si può dire che stiamo distruggendo il mondo e che una sola persona è rimasta – completamente sola – ad avvertirci: il papa, per l’appunto. E tanto la sua lotta appare vana quanto si può dire che le sue parole le soffia via il vento. Così, il finale ci racconta l’invecchiamento di Bergoglio, i suoi problemi fisici (ormai fatica a camminare) e la sua profonda solitudine.

In fin dei conti In viaggio mostra perciò la profonda e disperante disfatta del papa, la sconfitta del bene contro il male. E ci lascia con una terribile domanda: quando quest’ultimo uomo umano sarà morto, chi altri ci potrà non si dice salvare – perché è impossibile – ma quantomeno ammonire sulla nostra progressiva disumanizzazione?

Info
La scheda de In viaggio sul sito della Biennale.

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