Don’t Worry Darling

Don’t Worry Darling

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Un cast lussuoso, a partire dalla splendida protagonista Florence Pugh; un budget corposo; una messa in scena alquanto vivace e accurata. Non mancherebbe quasi niente a Don’t Worry Darling, opera seconda di (e con) Olivia Wilde, fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022, se il tutto non fosse una sorta di facile ma non troppo sagace aggiornamento del classico sci-fi La fabbrica delle mogli, senza contare tutto quello che è venuto dopo. Godibile, ma nulla più.

Stepford wife

Alice e Jack vivono nella comunità idealizzata di Victory, la città aziendale sperimentale che ospita gli uomini che lavorano al progetto top-secret Victory e le loro famiglie. L’ottimismo della società degli anni Cinquanta, propugnato dall’amministratore delegato Frank – in egual misura visionario aziendale e life coach motivazionale – caratterizza ogni aspetto della vita quotidiana nell’affiatata utopia del deserto. Mentre i mariti trascorrono ogni giorno all’interno del quartier generale del Victory Project, lavorando allo “sviluppo di materiali avanzati”, le loro mogli – tra cui l’elegante compagna di Frank, Shelley – possono trascorrere il loro tempo godendosi la bellezza, il lusso e la dissolutezza della loro comunità. La vita è perfetta, con tutti i bisogni dei residenti soddisfatti dall’azienda. Tutto ciò che chiedono in cambio è discrezione e impegno indiscusso per la causa di Victory… [sinossi – labiennale.org]
Stepford wife | informal, derogatory | A married woman who submits to her husband’s will
and is preoccupied by domestic concerns and her own domestic appearance.
– Collins English Dictionary.

Ci interessa poco delle varie polemiche innescate durante la lavorazione, il lancio e persino la presentazione veneziana di Don’t Worry Darling. Giusto? Sì, ma solo in parte. In fin dei conti, sotto la patina lucente di questa opera seconda di Olivia Wilde, forse si possono rintracciare i germi che hanno generato tutta questa tensione e lacerato rapporti professionali e umani. Paladina di una delle possibili declinazioni del femminismo contemporaneo, la Wilde sembra quasi dimenticare, o forse distorcere volontariamente, una componente fondamentale: la questione di classe, i rapporti di potere. Qualcosa resta dei rapporti di potere, ma solo nell’ottica femminile, relegando i personaggi maschili in una precisa e alquanto misera cerchia socio-culturale.
Ed è qui, in estrema sintesi, la vera grande differenza con La fabbrica delle mogli (The Stepford Wives, 1975) di Bryan Forbes, film che si inseriva perfettamente nel cupo filone distopico & socio-politico degli anni Settanta, menando fendenti verso l’alto e non, come Don’t Worry Darling, verso il basso.

Poi, certo, il film di Olivia Wilde, caricato sulle spalle della sempre apprezzabilissima Florence Pugh, ha ritmo, confezione, giostra con i colori e l’immaginario degli anni Cinquanta, con le prigioni dorate minuziosamente descritte dai melodrammi di Sirk, Robson e via discorrendo, attualizza il comparto tecnologico e usa le coreografie da musical come in un arthouse horror. A livello estetico, compresa l’alchimia amorosa ed erotica della coppia Pugh\Styles, funziona sostanzialmente tutto. È quello che brulica sotto la superficie, tra l’altro evidente nel giro di una manciata di minuti, a non reggere la sovrastruttura estetico-spettacolare, il cast lussuoso, il budget corposo.
L’innesto di suggestioni à la Pleasantville, le aggiunte in salsa Matrix sul caposaldo di Bryan Forbes e l’ambizione produttiva finiscono per partorire il classico topolino, nonostante la corsa sfrenata della seconda parte e l’accumulo di tensione, rivelazioni e rese dei conti. Anche in questo caso, tocca tornare a Forbes, agli anni Settanta, a uno spessore politico che oggi sembra lontanissimo. A Don’t Worry Darling non manca l’afflato spettacolare, mancano le idee. Ma la mancanza di idee, a braccetto con l’appropriazione e\o rilettura un po’ troppo disinvolta di opere altrui, è una delle piaghe dell’attuale industria dei sogni e delle sue propaggini – si veda, ad esempio, il caso di The Wonder Years (1988-93) e del recente The Wonder Years (2021) targato Lee Daniels & Saladin K. Patterson. La coperta è evidentemente troppo corta…

Info
La scheda di Don’t Worry Darling sul sito della Biennale.
Il trailer italiano di Don’t Worry Darling.

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