2028: La ragazza trovata nella spazzatura

2028: La ragazza trovata nella spazzatura

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Vincitore al Fantafestival dello scorso anno, approda nelle sale italiane 2028: La ragazza trovata nella spazzatura, una delicata distopia polacca, amara ma anche portatrice di una fievole speranza, opera di due giovani attori e autori al loro esordio nel lungometraggio. Un film che pur ricalcando strade già battute e spendendosi forse un po’ troppo in un afflato lirico e sentimentale, si dimostra ad ogni modo una reazione sincera, più emotiva che politica, allo stato delle cose.

Restare umani

L’ex attivista sociale Simon Hertz annuncia online che vuole suicidarsi e che il suicidio sarà trasmesso live sul suo canale streaming durante la notte di Capodanno 2028/2029. Un’ultima dichiarazione contro il Governo polacco e la schiavitù degli Automi ormai diffusa nel Paese. Il giorno pima del suo suicidio, Simon trova una ragazza-schiava nella spazzatura. Blue è considerata una pericolosa fuggitiva, ma, anche dopo che il suo collare viene rimosso, Blue risulta essere una persona totalmente indifesa e innocua, ma non ricorda nulla del suo passato. [sinossi]

Dagmara Brodziak e Michał Krzywicki, poco più che trentenni, si sono conosciuti a una scuola di recitazione. Dopo aver preso parte ad alcune serie televisive polacche, un film e un paio di corti, sono riusciti a realizzare il loro primo lungometraggio 2028: La ragazza trovata nella spazzatura, una sorta di distopia mélo sci-fi, del quale sono entrambi autori e interpreti principali, mentre la regia è accreditata al solo Krzywicki. Blue è un Automa, ovvero una persona che, per aver commesso chissà quale reato, è stata ridotta alla schiavitù – lei e tutti quelli come lei – mediante un espediente decisamente perverso: un collare provvisto di un ago che inietta un farmaco/droga denominato Vaxina (sarà mica un riferimento alle recenti disposizioni di obbligo vaccinale causa pandemia? Meglio non chiedere…), che disconnette il soggetto dalla propria personalità e memoria, rendendolo obbediente e succube a qualsiasi mansione gli venga imposta, che sia servire ai tavoli o prostituirsi per strada. Oltre a questo vengono rasati a zero e dotati di quello che sembra un localizzatore impiantato sotto alla nuca (sarà proprio Szymon a rimuoverglielo con una lametta, mentre sono insieme nella vasca da bagno). Non solo: una martellante propaganda diffusa da ogni medium possibile tartassa di continuo la popolazione per persuaderla che quello dell’automazione è un grande atto di civiltà, volto a togliere i criminali sia dalle strade che dalle prigioni, in modo che la loro custodia forzata non gravi sulle tasche dei contribuenti (che poi, nel nostro mondo, è il cavallo di battaglia fra i fautori della pena di morte quando vogliono metterla sul piano pratico…), spacciandola per la più “umana” delle soluzioni e spingendo alla denuncia immediata di eventuali automi fuggitivi. Controllo totale.

Szymon, attivista antischiavista, dopo la misteriosa scomparsa della sua compagna, ha perso ogni speranza e così il suo ultimo gesto sarà quello di dire addio al mondo in diretta: sarà il suo ultimo gesto politico in segno di protesta contro un sistema totalmente cinico e oppressivo. Il confronto fra il suo sentire e quello della gente comune è espresso chiaramente, per contrasto, tramite il personaggio del suo agente, che non riesce a nascondere la gioia per quell’imminente suicidio, dato che le visualizzazioni previste in gran numero sul canale online di Szymon porteranno a lui e alla sua società parecchio denaro in cassa. La prima volta che si vede Blue è in casa di un uomo che l’ha comprata “per uso personale”, disperato per essere stato lasciato dalla moglie. In un gesto di compassione, l’uomo la priva del collare ridestandola a un barlume di lucidità. Ma quando l’uomo sta per usarle violenza, vedendola terrorizzata, si ferma e un attimo dopo si getta dalla finestra, il che avviene fuori campo: si percepisce il tragico evento solo tramite il sonoro, i rumori, le grida in strada, mentre l’inquadratura rimane fissa e appena tremolante sugli occhi spalancati dal terrore della ragazza automa. È la sequenza migliore di tutto film, ottimo preambolo a tutta la prima parte che, cupa e plumbea, oscilla dalle parti di Orwell 1984 (Michael Radford, 1984) e – inevitabilmente – Blade Runner (Ridley Scott, 1982), rivisitati alla luce della serie britannica Black Mirror, citata anche dagli stessi autori. Automa, replicante, aliena: Blue potrebbe essere una qualsiasi di queste alterità. Di fatto, lo vediamo successivamente, è proprio in questo suo essere altro che risiede la speranza di una nuova umanità. Gli androidi di Scott (ma anche di Villeneuve, nell’ottimo sequel del 2017) erano macchine talmente perfette da aspirare all’umano, un desiderio così potente e disperato che bastava a renderli più umani dei loro creatori, in gran parte oramai abbrutiti e disumanizzati. Lo stesso vale per la Polonia dell’anno 2028 in cui Blue, che umana lo è a tutti gli effetti, anche se ridotta in uno stato robotico, rappresenta a pieno titolo la speranza di rinascita della specie umana.

Nonostante il titolo internazionale sia The Day I Found a Girl in the Trash, in realtà la focalizzazione interna è ugualmente ripartita fra i due personaggi principali. Nella prima parte è Szymon a osservare Blue, questo strano essere “alieno”: in certi momenti sembra quasi di assistere ai primi tentativi di comunicazione fra Elliot e E.T., con un misto para-spielberghiano di tenerezza e humor. Spesso Szymon lo vediamo ricordare la sua fidanzata di un tempo, perduta non si sa bene come dopo una manifestazione alla quale entrambi erano presenti, forse addirittura promotori, e in questi flashback le immagini sono manipolate con la tecnica del freeze frame alla maniera di Christopher Doyle nei film di Wong Kar-wai (fra l’altro, sulla porta dell’appartamento di Szymon vi è il numero 2028, che sembra l’equivalente del numero/data 2046 nell’omonimo film del regista hongkonghese).

Nella seconda parte, man mano che la coscienza della ragazza si risveglia, restituendo alle immagini luce e colori che sembravano scomparsi dal mondo, è invece il suo, di sguardo, a indagare il comportamento tormentato e irrequieto di Szymon, che appare combattuto fra la decisione di mettere in salvo lei e il mantenimento del proprio proposito suicida. È in questa seconda parte, quella del viaggio attraverso la Polonia che deve portarli fino in Svezia – unico Paese fra quelli vicini dove gli Automi possano richiedere asilo politico senza pericolo di estradizione – che il fascino del film si va progressivamente appannando, dato che al suddetto viaggio, che parte dalla metropoli per addentrarsi nella campagna – si accompagna tutto un bagaglio retorico decisamente vieto, e dal quale emerge ben poco di nuovo o originale: alla solita dicotomia città/natura corrispondono infatti sul piano formale e simbolico oscurità/luce, colori cupi/colori vividi, e poi ancora la metafora del bruco e della farfalla, gli animali (cavalli, mucche, una gallina) come proiezione della schiavitù umana e simbolo di innocenza. I primi piani sugli animali, soprattutto quello sguardo in macchina dal basso sul muso di un cavallo, come soggettiva di Szymon e Blue che lo osservano accovacciati in una stalla, ci hanno portato a pensare a quel recente, curioso exploit “animalista” di Bong Joon-ho che è Okja (2017).

Se dietro la macchina da presa Michal Krzywicki sembra cedere un po’ troppo a un afflato sentimentale e liricheggiante, tra musiche evocative, immagini estatiche, controluce e primi piani più empatici che indagatori, sul piano attoriale sia lui che Dagmara Brodziak si rivelano piuttosto adeguati. In particolare, Brodziak per il ruolo di Blu ha studiato con un paio di coach per riuscire a entrare nella testa di un personaggio la cui coscienza si sta riaprendo al mondo, ma come se fosse la prima volta, come fosse una bambina nel corpo di un’adulta. Una recitazione per forza di cose incentrata sui gesti, sugli occhi. Verso la fine, il film recupera, almeno in parte, la tetra prospettiva iniziale, seppure illuminata da un barlume di speranza, dato che ormai il risveglio, la “riumanizzazione” di Szymon e Blue si sono attuati, e magari accadrà lo stesso ad altri. Come recita la frase di lancio sulla locandina: “l’amore alla fine dell’Europa”. L’amore, la bellezza e l’arte, ovviamente, contro la rovina del mondo: ne dà prova l’immagine ricorrente di una dolce ragazza nella metropolitana che, seduta in terra, suona l’ukulele e canta una canzone di speranza mentre il mondo tutto intorno va alla rovina. Sarà davvero l’amore a salvare l’Europa (e il mondo)? Improbabile, ma almeno è un inizio, sembrano suggerire i due autori. Nel dubbio, è meglio provarci, è meglio restare umani.

Info
Il trailer di 2028: La ragazza trovata nella spazzatura.

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