L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice

L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice

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Ambientato a Clermont-Ferrand, cittadina della Francia centrale assunta a microcosmo allegorico di un Paese spaventato dal terrorismo interno, L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice di Alain Guiraudie affronta il tema della paura dell’altro con gli strumenti di una piccola commedia allentata nei ritmi e raffreddata nei toni. Piacevole e divertente, un deciso scarto stilistico da parte del regista rispetto alle sue ultime prove.

Sconosciuti a se stessi

Clermont-Ferrand, oggi. Mentre la cittadina è scossa da un attacco terroristico di matrice islamica, il trenta-quarantenne Médéric è improvvisamente colto da sfrenata passione per la prostituta attempata Isadora, che risponde con altrettanta foga alle avance dell’uomo scatenando l’accesa gelosia di suo marito, consenziente al mestiere di Isadora a patto che ciò non coinvolga i veri sentimenti. Successivamente Médéric dà alloggio a Selim, un ragazzo arabo che dorme arrangiato per terra, e soltanto dopo averlo accolto in casa Médéric inizia a essere corroso dal dubbio che il giovane sia coinvolto in qualche modo nell’attacco terroristico avvenuto in città. [sinossi]

La Francia (e in senso lato l’Europa) ha paura. Ha paura dell’altro da sé in modo così lacerante da finire per aver paura anche di se stessa. Il primo sconosciuto, nascosto sotto ampi strati di finzioni e ipocrisie, è l’individuo a se stesso. Con L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice (discutibile titolo italiano per l’originale Viens je t’emmène) Alain Guiraudie cambia registro rispetto alle sue ultime prove cinematografiche e si proietta in un’indecifrabile dimensione surreale, dove tutto è rallentato e sospeso, cosparso di una diffusa impassibilità di fronte a un universo narrativo che lentamente impazzisce, sfugge di mano, sfugge al consueto controllo quotidiano. Il controllo, questa ossessione. Nel microcosmo di qualche sparuto quartiere pulito e ordinato di Clermont-Ferrand, cittadina della Francia centrale, è soprattutto il tema della sicurezza e della minimizzazione del rischio a dominare i pensieri di buona parte dei personaggi. Nel centro cittadino è avvenuto un attacco terroristico di matrice islamica, e lo spavento chiude gli uomini in se stessi. Il più ardimentoso, sia pure bloccato a sua volta in una balbettante impassibilità, pare essere il trenta-quarantenne Médéric, spiccato estimatore del sesso che brucia di passione per la matura prostituta Isadora. Fra i due la passione divampa, e la stessa Isadora riscopre ardori sepolti sotto la routine di anni di onesta professione. Da terzo incomodo si comporta il marito di lei, che tollera il mestiere della donna ma non accetta che si sia veramente innamorata di un altro. Da quarto incomodo, infine, giunge Selim, un ragazzetto arabo sospettato di avere qualche responsabilità nell’attentato appena avvenuto in città.

Sono almeno due gli scarti espressivi ai quali Guiraudie sembra giungere rispetto alle sue ultime prove. In primo luogo, è ben percepibile uno scarto di genere; pur con tutte le briglie corte del caso, L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice si delinea come una commedia a cottura lentissima, che lascia amalgamare i propri elementi fino all’emersione sempre più gelida e frequente di divertenti paradossi. Secondariamente, il cinema di Guiraudie si fa più scopertamente politico. Intendiamoci, siamo ben lontani da qualsiasi atto di denuncia diretto e senza filtri. Il film è tutt’altro che un pamphlet, tutt’altro che cinema militante. Si tratta semmai di innervare di chiari e significanti riferimenti alla società e cultura del tempo un racconto soprattutto preoccupato di scolpire profili psicologici. Non tutti i personaggi sono trattati alla stessa stregua. Se Isadora e Selim tendono più al tipo bidimensionale, sicuramente il profilo del protagonista Médéric assume i contorni più interessanti. Ben educato e di buona formazione, espressione di una Francia dei buoni valori ivi compresi l’apertura verso l’altro e l’intercultura, Médéric si direbbe appartenente all’illuminata borghesia mediamente benestante, con un buon lavoro e buone credenziali di welfare. Pur coraggioso e propenso a difendere le proprie idee, Médéric è anche una persona opaca, poco lontano da un atteggiamento passivo e arreso all’esistenza, e qua e là serpeggia pure in lui la paura e la diffidenza per l’altro. In buona sostanza, secondo le coordinate di una lieve allegoria socio-politica che il film sembra voler assumere su di sé, Médéric è l’espressione di una Francia progressista (e di un Occidente tutto) disorientata, spiazzata e incapace di prendere reale posizione su niente. Annichilita dalla violenza terroristica esplosa al suo interno da almeno un decennio (l’ombra del Bataclan serpeggia ancora di viva e drammatica memoria), la classe incarnata dai Médéric del mondo occidentale si è rifugiata secondo Guiraudie in un’angosciosa posizione balbuziente, solcata da atti di generosità sempre sul punto di essere sconfessati un attimo dopo sull’onda di un’intermittente e schiacciante paura dell’altro. “Piccolo” nella sua ideazione e costruzione narrativa, L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice sceglie di impastarsi con il contingente, di parlare dell’oggi o dello ieri più recente, identificandoli in un anonimo condominio di provincia. Guiraudie si diverte molto a disseminare il suo racconto di gustosi paradossi (i vicini islamici perfettamente integrati, di nuovo lacerati tra fiducia e paura), e intanto c’è posto anche per qualche traccia della Francia lepenista e magari pseudo-trumpiana – il condomino che al momento opportuno, squassato da impeti da Cane di paglia (Sam Peckinpah, 1971) sguaina un nutrito arsenale di armi per difendere il proprio territorio. Talvolta Guiraudie arriva a lambire i confini della farsa (si riesumano vecchi meccanismi comici come il travestimento, riletto alla luce delle antiche/moderne coordinate del burqa), sia pure secondo le linee di una rivisitazione trattenuta e raffreddata.

In tale cornice, ribadiamo, il personaggio di Médéric percorre la strada più interessante. Porta su di sé anche i segni più evidenti di un altro tema-principe del film, ossia il carattere ignoto dell’individuo di fronte a se stesso. Soltanto sul finale (forse) Médéric sceglie la strada coraggiosa della verità, ma (forse) è troppo tardi. La paura e l’ipocrisia dell’attuale Occidente quindi non allontanano soltanto dai propri simili, ma anche da una franca e appagante autocoscienza. Più in generale, in L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice la verità è il grande rimosso del racconto. Procedendo verso la sua conclusione il racconto si aggroviglia in un labirinto di mistificazioni incrociate, tanto che Guiraudie sceglie di chiudere bruscamente (e significativamente) su un finale lasciato appeso al dubbio e all’angoscia. Non tutto è perfettamente a fuoco. Resta più opaco il profilo della prostituta Isadora, così come il suo rapporto con il marito fatica a entrare in complicità con il resto del racconto, e spesso la convenzionalità dello stile finisce per indebolire anche i momenti più spassosi. Colpisce, questo sì, la consolidata franchezza di Guiraudie nel raccontare i corpi e i loro desideri. L’erotismo del film è divertente ma anche fermamente chiamato con il suo nome. Il sesso muove il mondo, è piacere e comunicazione, ma è anche espressione di rapporti di forza. Un buon film, che nei suoi toni fin troppo allentati rischia forse di sperperare il denso sostrato di riflessioni di cui è portatore. Ma insomma, ogni tanto si ride di gusto. Va bene anche così.

Info
L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, il trailer.

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