Le retour

Le retour

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Catherine Corsini dà l’abbrivio a Le retour partendo da un’intuizione interessante: una famiglia wolof/corsa, due propaggini dell’Impero Francese che poco spazio trovano nella narrazione socio-politica transalpina. Peccato che quella che potrebbe essere una ricognizione sulla ricerca delle radici, e dunque dell’identità, di due adolescenti che dopo anni rimettono piede sulla costa della Corsica si trasformi poco per volta in un discorso completamente familistico, escludendo dunque l’altro, l’esterno, lo straniero.

Corsa alle radici

Khédidja lavora per una ricca famiglia parigina che gli offre di prendersi cura dei bambini durante un’estate in Corsica. L’opportunità per lei di tornare con le sue figlie, Jessica e Farah, su quest’isola che avevano lasciato quindici anni prima in tragiche circostanze. Mentre Khédidja lotta con i suoi ricordi, i due adolescenti si abbandonano a tutte le tentazioni estive: incontri inaspettati, prime esperienze romantiche. Questo viaggio sarà per loro l’occasione per scoprire una parte nascosta della loro storia. [sinossi]

Un’automobile scende a velocità considerevoli per i ripidi tornanti della Corsica, dalla montagna verso il mare: a bordo una madre con due bambine piccole, una neonata e una di circa tre anni. Proprio a un passo dalla nave che le condurrà via dall’isola la madre riceve una telefonata che la shocca, spingendola tra le lacrime. Stacco di montaggio, una scritta informa lo spettatore che sono trascorsi quindici anni: la donna, con le due figlie oramai adolescenti, abbandona di nuovo un porto a bordo di una nave, ma è quello di Marsiglia. L’incipit de Le retour, dodicesimo lungometraggio per Catherine Corsini in concorso al settantaseiesimo festival di Cannes, ha la capacità di creare un mistero, e di suggerire a chi sta assistendo alla proiezione due domande possibili: perché quella fuga, e perché il ritorno? Con un depistaggio pressoché continuo Corsini svia i quesiti, e anche quando deve entrare in contatto con i suoi personaggi principali (Khédidja, la madre, Jessica e Farah, le figlie) lo fa attraverso una modalità impressionistica, spiandoli e cercando di cogliere la loro intima verità ricorrendo alle sfumature, alle deviazioni del percorso, a quelli che sembrano a prima vista essere dettagli inessenziali. Così Le retour sembra da principio muoversi in direzione di una scoperta progressiva e “naturale” dei suoi tre personaggi, con la camera che gli si incolla addosso un po’ come il caldo estivo. I temi sembrano d’altro canto essere quelli tipici del cinema bo-bo parigino, l’incomunicabilità tra una borghesia gauchiste intellettuale che a parole predica ciò che non mette in pratica e le seconde generazioni che vorrebbero solo fosse loro riconosciuto il diritto di esprimersi in modo autonomo, indipendente. Corsini poi torna anche sul racconto omoerotico, che crea a sua volta una frattura “sociale”, visto che la passione esplode tra la diciottenne Jessica e Gaia, sua coetanea figlia della famiglia che ha assunto Khédidja – di cui non sa neanche pronunciare bene il nome – per fare da bambinaia durante le vacanze estive nella seconda casa in Corsica.

Questo schema predetto, e in qualche misura molto prevedibile – Corsini non riesce a schivare tutte le insidie retoriche che il discorso porta con sé, lavorando un po’ d’accetta per quel che concerne la dicotomia tra chi aspira alla borghesia o la vive pienamente e chi invece fa parte delle classi subalterne – trova però un tornante davvero ripido perché la regista inserisce un dato imprevedibile, e spiazzante. Il ritorno non è quello della famiglia di Gaia, che vede nelle splendide spiagge corse solo l’evasione temporanea dal tran tran parigino, ma quello delle tre donne di origine wolof, perché Jessica e Farah sono nate in Corsica, e loro padre (morto quando erano piccolissime) era originario dell’isola. Ecco dunque che Le retour, in questo gioco di svolte improvvise, conduce là dove non sarebbe possibile immaginare: due adolescenti afrodiscendenti che hanno però le loro radici su un’isola che pur essendo geograficamente e in buona parte culturalmente italiana fa parte sotto il profilo politico della Francia dal 1769. Khédidja e le sue due figlie sono doppiamente straniere per l’antico sangue francese: sono senegalesi e corse, provincie povere dell’impero, propaggini di un mondo che si pretende progressista ma non sa cogliere l’intimità dell’umano con cui si trova a confrontarsi. Compiuta questa scelta narrativa Corsini aveva di fronte a sé la possibilità di indagare il concetto di identità (così centrale di questi tempi), e di origine, in un modo dirompente, del tutto lontano dalla prassi. E per un momento – quello centrale, in cui le tre figure principali si dividono, ognuna alla ricerca di sé, del proprio passato e dunque del proprio senso – l’impressione è che sia quello l’obiettivo della regista.

Purtroppo invece nel momento in cui la disgregazione famigliare prende corpo sullo schermo, con Khédidja che si ritrova finalmente libera dalle figlie e può confrontarsi con il miglior amico del suo defunto marito, Jessica che conosce la nonna paterna (che le era stato detto essere morta anni addietro) insieme alla sua amata Gaia, e Farah che a forza di giochi al di là della legge si trova ad amoreggiare con un bagnino che in realtà fa affari vendendo ogni tipo di droga alle conventicole parigine, ecco che l’impianto perde progressivamente di forza, di impatto, e di capacità di lettura dei personaggi. La Corsica torna a essere solo un’immagine da cartolina, senza in sé nulla di misterico o di ambiguo, si profila perfino la possibilità della tragedia, si procede a vele spiegate verso la normalizzazione di tutto ciò che si era – in modo anche ardimentoso, va riconosciuto – provato a costruire. Come se stesse in parte negando tutto ciò che aveva allestito fino a quel momento (anche da un punto di vista d’immaginario, che pareva rincorrere le traiettorie di Céline Sciamma), Le retour scarta nuovamente e preferisce collocarsi all’interno di un discorso meramente familistico, con la madre che deve recuperare il rapporto con le figlie. Quella chiosa, con le tre abbracciate che sono tornate a uno stato di riconoscimento del tutto interno, nega proprio l’alterità che aveva rappresentato l’aspetto più affascinante del film. Così l’amour fou tra Jessica e Gaia, la possibilità di una riscoperta dell’eros anche per la castigatissima Khédidja e la prima notte brava di Farah diventano un momento di passaggio non solo sospeso, ma anche negato nei fatti. La famiglia si ricongiunge come se nulla fosse, accettandosi in modo prono, senza indagare quelle radici ambigue perché sanamente “impure” che erano emerse con forza. Ecco dunque che Le retour assume l’apparenza di un arto atrofizzato, reso inerte, incapace davvero di esprimere quel potenziale dirompente che aveva incautamente suggerito. Resta, se proprio si ha la vocazione al contentarsi, l’oramai abituale scoperta di un corpus attoriale giovane (brave sia le “sorelle” Suzy Bemba ed Esther Gohourou che la “borghese” Lomane de Dietrich).

Info
Le retour sul sito di Cannes.

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