Howling

Howling

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In concorso alla 59° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Howling è un cortometraggio della giovane filmmaker nipponica Aya Kawazoe, un viaggio nel subconscio spalmato su pellicola 16mm, che richiama le avanguardie europee risvegliando al contempo le inquietudini di un Giappone premoderno.

Il volto di sé stesso

Shusaku perde il controllo della realtà quando vede il proprio volto in quello del fratello defunto. Cercando di trovare sé stesso, si sposta tra i suoi ricordi e quelli di suo fratello, scivolando sempre più nel suo subconscio. [sinossi]

Molti ricorderanno quel professore in ritiro, anziano e bonario, amato dai suoi ex-studenti, protagonista dell’ultimo film di Akira Kurosawa Madadayo. Si trattava dell’intellettuale Hyakken Ucida, germanista e letterato. Da una delle sue opere è stato tratto Howling, cortometraggio della filmmaker Aya Kawazoe, presentato in concorso alla 59° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, dopo i passaggi a Rotterdam e a IndieLisboa. Ucida è stato un uomo di pensiero che ha attraversato le varie fasi dell’occidentalizzazione del paese. Allievo del grande scrittore di epoca Meiji Natsume Sōseki, si è formato nella breve era Taisho, ancora un momento di compresenza di tradizione e modernità, oriente e occidente. Per questo già Seijun Suzuki adattò un romanzo dello scrittore per il suo delirante Zigeunerweisen, parte della sua trilogia dell’epoca Taisho. Similmente Aya Kawazoe ci porta in un terreno scivoloso, sospeso tra ieri e oggi, dove le certezze e la comfort zone della modernità sono minacciate dai fantasmi di un Giappone premoderno.

In Howling tornano le inquietudini di tanto cinema giapponese, tra cui quelle di Shinya Tsukamoto con il quale si è formata. E non a caso il film di quest’ultimo più vicino, per il tema del gemello e del doppio, è proprio quel Gemini, ambientato nell’era Meiji e tratto da Edogawa Ranpo, scrittore di genere di inizio Novecento, altrettanto carico di inquietudine. Un film dove qualcuno ode ululati misteriosi, dello stesso medesimo cane, fantasmatico come il mastino dei Baskerville, ma provenienti da punti molto lontani. E Howling sembra riferirsi anche a Il volto di un altro, film degli anni Sessanta di Hiroshi Teshigahara tratto da Kobo Abe, che nella testa senza faccia del protagonista leggeva l’omologazione e l’alienazione della società nipponica. Howling si costruisce su immagini che ritornano, come la grande ape nel barattolo, che ci riporta anche al cinema delle avanguardie, da Un chien andalou a Entr’acte, per arrivare dritto a Film di Samuel Beckett. E come non vedere, nel barattolo di vetro che cade a terra infrangendosi, un’eco del bicchiere di 2001: Odissea nello spazio, la cui caduta indica il ritorno della forza di gravità dopo il viaggio psichedelico.

Aya Kawazoe sviluppa uno stato di malessere su pellicola Kodak 16mm. Ancora un elemento della tradizione, un mezzo per sua natura materico, fragile, imperfetto, eppure etereo, fantasmatico. Con i volti proiettati che sono fatti della stessa sostanza dei sogni, in questo caso incubi, su celluloide. Howling si snoda tra proiezioni interne, specchi, riflessi, immagini sfuocate, sovrimpressioni, ombre (dei bambini con i rospi). Memorabile il momento in cui racconta allo spettatore che il corpo del fratello morto ha lo stesso volto di Shusaku, mostrando prima quello del cadavere e poi quello del fratello vivo allo specchio. Su pellicola la regista cristallizza un’immagine del Giappone che trova la sua espressione in quella casetta tradizionale di campagna, alla fine, arredata con shoji, le tipiche porte scorrevoli, e circondata nel bosco da dōsojin, le pietre scolpite raffiguranti le deità scintoiste, sormontata da una ruspa, in procinto di demolirla, e poi dalla città che si ingrandisce, con l’inquadratura che si espande in un campo sempre più lungo, dove le persone sono solo puntini.

Info
Howling sul sito di Pesaro.

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