Radu Jude: Il cinema come parte del tutto

Radu Jude: Il cinema come parte del tutto

Figura chiave del nuovo cinema rumeno, Radu Jude è regista e sceneggiatore. La sua opera prima, The Happiest Girl in the World, è stata selezionata in oltre 50 festival internazionali. A seguire ha girato Everybody in Our Family, Aferim!, Scarred Hearts, che ha vinto il Premio speciale della giuria a Locarno 2016, e The Dead Nation, ancora presentato a Locarno. Con Sesso sfortunato o follie porno ha vinto l’Orso d’oro alla Berlinale nel 2021. Ha partecipato ancora a Locarno con il corto Caricaturana, a Venezia con il corto Plastic Semiotic e alla Quinzaine des cinéastes, con l’ulteriore corto The Potemkinists. Il suo ultimo lungometraggio, Do Not Expect Too Much From the End of the World, è stato presentato nel concorso internazionale del 76 Locarno Film Festival, vincendo ancora il Premio speciale della giuria. Abbiamo incontrato Radu Jude nella cittadina svizzera, per questa occasione.

Un’idea che ho avuto da Do Not Expect Too Much of the End of the World riguarda il fatto che ogni epoca, ogni società produca le sue proprie immagini, abbia una propria estetica. Oggi c’è quella di Tik Tok, con la possibilità di modificare l’immagine con filtri e trucchi di una qualche app. Nella Romania socialista degli anni Ottanta l’immagine cinematografica aveva la grana della pellicola e i colori tipici del film nel film, Angela merge mai departe. Negli stessi anni Ceaușescu iniziava la costruzione dell’immenso palazzo che avrebbe dovuto rappresentare l’immagine sfarzosa del regime. Era un qualcosa che volevi comunicare?

Radu Jude: Credo sia ovvio che ogni Paese, ogni era abbia le sue proprie immagini. A volte è difficile vederle. A volte si danno per scontate certe immagini come realtà, ma non sono realtà quanto interpretazioni della realtà. E certo il film è un po’ su questo concetto. Per esempio, le immagini di Ceaușescu mostravano una sorta di bella società. Ma, nonostante alcuni aspetti che erano positivi, il regime era perlopiù una dittatura brutale e ha rappresentato un’epoca orribile per la maggior parte della gente. Quello che è successo dopo la rivoluzione è un’altra storia. Ora possiamo creare le nostre immagini. Quello che è successo è che, se prima della rivoluzione potevamo dare la colpa alla dittatura, ora dopo la rivoluzione, abbiamo la piena libertà. C’è la libertà politica in Romania, forse non perfetta. Ma, pensando al passato regime, la domanda è: perché qualche aspetto, non tutto ‒ non sono pessimista, dico solo pochi aspetti ‒ sta andando bene, ma molte cose vanno male? Molte cose sono anche peggio di come erano durante la dittatura. E quindi ti devi chiedere se quella in cui viviamo sia una società libera. E se la sicurezza può fare una buona società o un buon tenore di vita per la maggior parte della gente, sperabilmente per tutti.

Durante la dittatura almeno si sapeva dov’era il potere, dov’era il male. I coniugi Ceausescu, la Securitate. Ora, come si vede nel film, c’è una multinazionale che ha sede in Austria, attraverso la quale le persone cercano di ottenere quanto sarebbe in realtà dovuto, ovvero risarcimenti per infortuni di vario tipo. Forse il male è diffuso e non si riesce a identificare facilmente. Cosa ne pensi?

Radu Jude: Certo, è una forma diversa di male. Come quando la gente doveva portare la mascherina, e molti parlavano della dittatura del Covid. Ma io dicevo sempre ai miei amici del mondo occidentale, che avevano queste posizioni: voi non avete idea di cosa sia una dittatura. Non potete considerare una dittatura l’obbligo di portare la maschera, che è un regolamento. Oggi siamo di fronte a un altro tipo di male. Forse molto meno ovvio. E la tristezza di quel male è che io posso avere la sensazione che si possa cambiare, in meglio. Perché hai visto che alcune cose sono migliorate. Possiamo parlare di società capitalista, ma le società capitalistiche in Bangladesh e in Svezia non sono la stessa cosa. In Italia, in Svizzera, in Germania, in Romania, in Bulgaria le società capitalistiche non sono la stessa cosa. Perché dobbiamo abbracciare la più brutale delle forme capitalistiche? Questa è la domanda. Perché dobbiamo andare avanti con quella? Io non ho una risposta. La risposta potrebbe essere molto complessa e troppo grande per me. Chi è da biasimare sono i cittadini che non reagiscono, è il potere o i politici, la corruzione dei politici nelle amministrazioni, sono le istituzioni europee? Lo voglio dire come esempio, tutto può essere buono o cattivo. Credo sia una buona cosa che siamo parte della UE. Ma se penso ai miei compagni di classe delle superiori, quattro o cinque sono diventati dottori. Hanno studiato in Romania dove ci sono ottime facoltà di medicina. E ora sono in Germania, Grecia, Canada. Così ti chiedi se non è una fuga di cervelli. È buona cosa per i miei compagni. Sono cose che fanno pensare che l’UE abbia molti problemi. E io voglio sottolineare questi problemi perché, se non li mostriamo, l’unica cosa che ci rimane è il fascismo, o l’estremismo di tutti i tipi. E non voglio lasciare queste critiche agli estremisti. Sono pro-EU e ho il diritto di mostrare quello che c’è di male dentro senza arrivare all’estremismo.

Nel film ricorre poi l’automobile che sembra essere il simbolo di ognuna di queste ere. Si prevede anche quella automatica, che si guida da sola, per il futuro. Ma anche c’è tutta quella sequenza di croci di vittime della strada, a sottolineare come la macchina possa essere anche causa di morte. Cosa mi puoi dire in merito?

Radu Jude: Certo. È così per ogni sviluppo tecnologico. Parlare di macchine in Romania significa parlare anche di altro. Prima della rivoluzione in Romania non molta gente aveva un’automobile, era molto difficile averla. Dopo la rivoluzione diventò non solo una necessità di spostarsi da un posto all’altro, quanto uno status symbol. Un simbolo sociale di potere. Ed è ancora così. Man mano che la gente aveva più denaro, perché c’è stato uno sviluppo economico, tutte le grandi città, specialmente Bucarest, si sono riempite di macchine. Con il risultato che non puoi respirare e nemmeno stare sul marciapiede. Il traffico è caotico, infernale. Certo, è una buona cosa che il livello di benessere di almeno una buona fetta della popolazione sia cresciuto. Ma ha creato questa situazione, e non è una compensazione.

Tornando al discorso sulle immagini e sull’estetica, a un certo punto nel film compare Uwe Boll, il regista noto per i suoi film-videogame. Perché hai deciso di inserirlo in persona e cosa rappresenta?

Radu Jude: Perché lo apprezzo! Non produco lo stesso tipo di immagini sue, ma lo apprezzo per avere il coraggio di andare avanti nonostante le petizioni dei critici contro di lui e cose del genere. E anche perché voglio celebrare ogni tipo di forma di cinema. Per me in un certo modo tutto è cinema, tutto appartiene al cinema. Nella prospettiva della Nouvelle Vague francese che anche i film commerciali o i cosiddetti film brutti possano essere parte del cinema. E io condivido questo principio. Certo preferisco alcune forme rispetto ad altre. Preferisco quello che faccio io. E non necessariamente apprezzo tutto. Ma con forza ritengo che sia tutto parte del cinema e che dobbiamo prestare uguale attenzione a Uwe Boll, a Hollywood, al cinema sperimentale, a quello amatoriale dei video di Tik Tok. Jonas Mekas soleva dire che il cinema è come un albero con molti rami.

Come mai hai scelto di inserire il film del 1981 Angela merge mai departe? Cosa rappresenta quel film?

Radu Jude: È un film interessante perché da un certo punto di vista è un film progressista, un film rumeno protofemminista. C’è la donna che guida. Non è un grande film, va detto, è piacevole. Ma ha un mucchio di elementi sovversivi. Per esempio ha momenti di ciné-vérité: per qualche secondo vedi sullo sfondo gente in fila che aspetta il cibo, cosa che era proibito mostrare. Uso quindi queste immagini e le rallento. Certo, è una cosa più apprezzabile dai rumeni, forse non è molto chiaro. Ma erano elementi che c’erano, e per me era importante mostrarli. E nel montaggio mi permettevano di mettere in contrasto quelle immagini con la rappresentazione del mondo di adesso, dove c’è libertà. Quelle immagini erano davvero sovversive perché girate in un periodo in cui la censura era molto forte.

A partire dal libro di Proust, sul comodino di Angela all’inizio, nel film viene snocciolata una serie di citazioni, in vario modo, dalla letteratura o dal cinema: Stevenson, Goethe, Rushdie, Faulkner, gli haiku, Freaks, David Hemmings, i Looney Tunes. Come mai?

Radu Jude: Per David Hemmings si tratta di una storia vera, lui è morto a Bucarest. Prima di tutto perché io penso non solo con me stesso, ma con l’aiuto di altri. Con l’aiuto di libri, film, musica, giornali. Con l’aiuto di tutto ciò che riesco. E questa cosa si riflette nel film. La seconda ragione è che il cinema non credo sia una forma d’arte separata dalle altre, da altri film o altre forme di conoscenza o altre cose. Voglio che il film sia una parte del tutto, della politica, della vita sociale, delle arti. Non credo in una purezza del linguaggio del cinema alla Bresson, anche se ammiro molto Bresson. Ma è anche possibile un altro modo, in cui puoi fare un film e incorporare altre cose. Concepirlo come parte di un continuum con la vita che ci circonda. Non usi questo perché è una citazione dalla letteratura e non è cinema? No! Lo inserisco, come la musica o gli archivi.

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