The End We Start From

The End We Start From

di

All’esordio nella regia per il cinema dopo anni di esperienze televisive, Mahalia Belo, con l’aiuto produttivo della Hera Pictures e di Benedict Cumberbatch (presente anche in un cameo), imbastisce una distopia climatica ambientata (potenzialmente) dopodomani. Grandi ambizioni, pluralità di tematiche, risultato diseguale. The End We Start From è stato presentato al pubblico nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2023, con un’uscita annunciata (per ora solo negli Usa e nel Regno Unito) tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2024.

(Ri)nascita nell’apocalisse

Londra è semisommersa da eventi climatici catastrofici. Una donna, il suo compagno e il loro bambino appena nato cercano la salvezza andando a Nord, in un mondo dove la civiltà sta crollando. [sinossi]

Adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo di Megan Hunter del 2017, The End We Start From si posiziona tra il dramma climatico e la fantadistopia, delineando scenari pseudofuturibili e analizzandone l’impatto soprattutto su una piccola porzione di società, quelle delle piccole comunità residenti nelle isole britanniche. Ma il vero obiettivo dell’esordiente Mahalia Belo è un altro, quello di collegare il tutto al percorso pre e post parto di una Donna, senza nome come ogni altro personaggio presente nel film se si esclude l’infante Zeb, chiamata ad assumere il ruolo di madre nelle circostanze più avverse possibili. Tour de force attoriale per Jodie Comer (The Last Duel di Ridley Scott all’attivo, oltre al ruolo di coprotagonista nella pluripremiata serie Tv Killing Eve), in scena da sola e con la camera addosso per una parte consistente dei centosei minuti di durata, chiamata ad esprimere una vasta gamma di emozioni forti, dalla disperazione più cupa a urla di gioia di belluina intensità. In un percorso di andata e ritorno da una Londra completamente allagata dopo un epico alluvione successivo a cinque mesi di totale siccità (fantascienza?), il compito della protagonista con nascituro al seguito, coppia presto abbandonata da un padre rivelatosi drammaticamente inadeguato al contesto (Joel Fry), sarà innanzitutto quello di mantenere la sua umanità e la sua fiducia nel genere umano davanti alla violenta riorganizzazione sociale, conseguenza dell’improvvisa perdita di ogni punto di riferimento, su tutti quello del reperimento del cibo. Sembra la tag-line di un B-movie già visto mille altre volte, vero? Il punto di forza dell’operazione è proprio quello di mascherare un budget non certo faraonico e un assunto abusato grazie a scelte narrative non scontate, il punto debole quello di omettere più di un passaggio importante mostrandoci il prima e dopo, creando una drammaturgia dell’anti-climax che restituisce a volte l’impressione che sia più il film che la sua protagonista a scappare dal pericolo e dall’azione.

La prima sequenza è probabilmente la migliore del lotto: una vasca si riempie d’acqua in preparazione di un bagno caldo, una partoriente al nono mese vi s’immerge, fuori la pioggia battente comincia ad inzuppare i terreni e intasare i tombini. L’esplosione tripla d’acqua che travolge tutto, la vasca che tracima, i vetri esterni che si sfondano e le acque della partoriente che si aprono, pare essere un delirio visionario collegato alla perdita di conoscenza. E invece, al risveglio in ospedale, il mondo è in pieno sconvolgimento, e c’è solo il tempo di saltare in macchina e contribuire a comporre la titanica fila di auto in uscita dalla capitale. Abbiamo raccontato nel dettaglio l’attacco del film per evidenziarne, come già fatto in precedenza, pregi e difetti: l’arrivo in ospedale e l’uscita dalla città vengono elisi, portando gli attori al passo successivo solo con l’ausilio di uno stacco di montaggio. La sceneggiatrice Alice Birch (al suo attivo Lady Macbeth, buon successo di nicchia qualche anno fa, in concorso al Torino Film Festival) sembra essere intervenuta con il machete sulla materia letteraria, sfrondando gli episodi di più difficile e costosa realizzazione. Il percorso della Donna è un lungo calvario, diviso per tappe che alternano concitazione e pause di riflessione, in ognuna di queste avviene l’incontro con un celebre interprete che si presta al segmento (il coproduttore Benedict Cumberbatch, Mark Strong, Katherine Waterston in un ruolo un po’ più ampio da compagna di una porzione di viaggio, con figlio a sua volta) e che rappresenta un adiuvante/opponente in questa parabola dell’eroina più classica di quanto non vorrebbe essere o anche solo apparire. La livida fotografia ad opera di Suzie Lavelle, che non può che richiamare la veste di altra fantascienza di matrice british come 28 giorni dopo di Danny Boyle o I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, non permette mai che un raggio di sole giunga a riscaldare cuori e clima, tranne, e se ne può immaginare la funzione, che nel finale.

Tutto sommato stiamo parlando davvero, forse, di un lungo incubo che materializza espressionisticamente timori e fantasie, sconforti ed esaltazioni di una ragazza che sceglie di mettere al mondo un figlio all’interno di una relazione in divenire, indagando anche, analiticamente, ogni opzione che non preveda la presenza del suo compagno al suo fianco. Non si ravvisano particolari coloriture politiche intorno alla gestione delle scelte, e il trio di artiste del team realizzativo garantisce una visione partecipata, empatica, estranea al giudizio nei riguardi delle varie scelte messe in campo. Il suo vero sottogenere, in conclusione, è quello del female empowerment, filone numericamente fecondo negli ultimi anni nel panorama indipendente almeno quanto quello supereroistico nel cinema blockbuster, di cui rappresenta una valida via attraverso il linguaggio di genere. Strana, nel panorama della Festa di Roma, la collocazione pomeridiana in un giorno feriale per un film presentato soltanto da qualche giorno al London Film Festival in anteprima, passato quasi inosservato all’interno di un programma elefantiaco che magari lascia slot di proiezione migliori ad opere potenzialmente meno interessanti.

Info
The End We Start From, il trailer originale.

  • the-end-we-start-from-2023-mahalia-belo-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Roma 2023 – Presentazione

    Roma 2023, diciottesima edizione della Festa, introduce la kermesse capitolina nella cosiddetta “età adulta”. I problemi però rimangono sempre gli stessi, almeno a prima vista: una identità difficile da mettere a fuoco, e una collocazione scomoda all’interno della città. Grande spazio lo ottiene, come dopotutto già a Venezia, il cinema italiano.
  • Festival

    Roma 2023

    Roma 2023, diciottesima edizione della Festa, introduce la kermesse capitolina nella cosiddetta "età adulta". I problemi però rimangono sempre gli stessi, almeno a prima vista: una identità difficile da mettere a fuoco, e una collocazione scomoda all'interno della città. Grande spazio lo ottiene il cinema italiano.
  • Cult

    il giorno prima recensioneIl giorno prima

    di Monito contro la minaccia nucleare lanciato alla metà degli anni Ottanta, Il giorno prima di Giuliano Montaldo è un ambizioso apologo fantasociologico, animato da un cast d’attori impressionante per varietà internazionale. Ben Gazzara, Burt Lancaster, Erland Josephson, Ingrid Thulin, e chi più ne ha più ne metta.
  • In sala

    don't look up recensioneDon’t Look Up

    di Nel cuore della pandemia Adam McKay torna alla regia con Don't Look Up, racconto catastrofico della fine del mondo per colpa di un enorme meteorite che si trasforma nell'occasione per una nuova satira del sistema politico e mediatico statunitense.
  • TFF 2015

    Cose che verrannoCose che verranno. Utopie e distopie sul grande schermo

    Le strade di New York sono cimiteri di macchine, un vuoto spettrale avvolge la Grande Mela. Londra è in fiamme. A Roma, all'Eur, si aggira l'ultimo sopravvissuto, bramato e assediato dai vampiri. Nell'802.701 gli apatici Eloi si fanno sgranocchiare dai mostruosi Morlock...
  • Archivio

    These Final Hours RecensioneThese Final Hours – 12 ore alla fine

    di Film catastrofico di matrice australiana, These Final Hours tra l'anarchia da fine del mondo e il caro vecchio familismo sceglie quest'ultimo, nell'ottica di un sentimentalismo che lascia in secondo piano l'action.
  • Venezia 2011

    4:44 Last Day On Earth

    di Cosa fare in caso di fine del mondo: Abel Ferrara dice la sua in 4:44 Last Day on Earth. Un apologo cinico e sarcastico, presentato in Concorso a Venezia 2011.