Runner

Con Runner Nicola Barnaba torna alla regia immergendo lo spettatore in un action duro e puro, non privo di una certa dose di leggerezza ma volutamente distante da riletture autoriali del genere. Un prodotto orgogliosamente “medio” che, al di là di qualche passaggio a vuoto per lo più narrativo, appare in tutto e per tutto dignitoso. Apprezzabile la verve attoriale di Matilde Gioli, lontana dalla commedia cui viene con troppa facilità confinata.

Trappola nell’albergo

Lisa è una venticinquenne con il sogno del cinema da quando era bambina. Per lei il ruolo del runner è un traguardo importante: è il suo arrivo nel mondo del cinema, ma anche il punto di partenza per una fulgida carriera. È finalmente su un set, intreccia una relazione con Sonja, protagonista e star del cinema. Cosa potrebbe volere di più dalla vita? Cosa potrebbe andare storto? Ma l’attrice ha un passato oscuro che torna a cercarla nel momento più impensato. Accusata dell’omicidio di Sonja, la ragazza è costretta a scappare. Lisa corre, corre per salvarsi la vita e per trovare le prove che la scagionino e permettano di condannare il vero assassino. [sinossi]

“A John McClane”. Non usa tanti giri di parole Nicola Barnaba per esplicitare – qualora qualcuno lo avesse smarrito nel corso della visione – il punto di riferimento principale attorno al quale ruota Runner, il film con cui il regista torna dietro la macchina da presa a sette anni di distanza da Ciao Brother. Se Ciao Brother e Una cella in due guardavano in direzione della commedia, con esiti tutt’altro che irresistibili, il quarto lungometraggio di Barnaba potrebbe essere accostato a Safrom, thriller horror visto al capitolino Fantafestival nel luglio 2016 e rimasto poi inedito: lì Barnaba si confrontava con lo zombie movie in odor di apocalisse pandemica, qui invece come dichiara apertamente il riferimento al protagonista della saga Die Hard ci si intende confrontare con l’action duro e puro, non privo di una certa leggerezza nei dialoghi. Non è trascorsa neanche una settimana dall’uscita in sala del film, distribuito da Plaion Pictures in una dozzina di sale (non è dunque improprio definirla un’uscita “tecnica”), e già si odono i rimbrotti di buona parte della critica che solleva il sopracciglio di fronte alle defaillance della sceneggiatura, alle mancanze di logica in alcuni passaggi, e a una recitazione che talvolta sembra agitarsi sotto il cosiddetto livello di guardia. Per carità, non si sta certo sostenendo che Runner sia un’opera in cui specchiarsi, o che non si palesino di quando in quando delle debolezze strutturali: è fuori di dubbio che la verosimiglianza svanisca a tratti – addirittura con stacchi di montaggio che pretendono una certa dose di buona volontà per non apparire impossibili –, così come appare lecito ritenere che non tutte le prestazioni attoriali si attestino sullo stesso livello qualitativo. Se chi affronta la visione prova un torcersi delle budella di fronte a sequenze in cui un personaggio invece di sparare preferisce perdere tempo – che si rivelerà inevitabilmente prezioso – in chiacchiere, forse l’idea dell’astensione dello sguardo è da prendere in seria considerazione.

Eppure l’impressione è che una volta di più ci sia un surplus di severità di giudizio quando il multiforme universo critico si approccia al genere nostrano, sempre vagheggiando della notoria età dell’oro (che però all’epoca subì il medesimo trattamento riservato oggi ai pochi epigoni) e stroncando sul nascere la quasi totalità dei tentativi. In questo senso il film di Barnaba potrebbe essere preso a paradigma ideale, anche perché il cineasta dirige in maniera secca, puntuale, priva di fronzoli e senza alcuna velleità autoriale – quelle che si rintracciano, tanto per portare un esempio concreto, in L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano. Perfino l’elemento del film nel film, da cui Runner prende l’abbrivio, non è utilizzato per svolazzi filosofici, e serve semmai solo per generare l’escamotage di alcune situazioni narrative – le pistole saranno vere o finte? Fin dal titolo, d’altronde, appare chiaro come Barnaba (anche sceneggiatore insieme a Marco Guerrini) voglia giocare sul doppio registro set/action: il runner è ovviamente chi corre, e dunque pone l’accento sul valore atletico del tutto, ma è allo stesso tempo il ruolo che sul set svolge chi per la produzione svolge le commissioni, oltre a trasportare fisicamente i nomi più rilevanti del cast dal luogo delle riprese all’albergo e viceversa. Questa figura professionale nel film è declinata al femminile e assegnata a Matilde Gioli che, nei panni della giovane ed entusiasta Lisa – che il padre desiderava vincesse medaglie olimpiche, il che giustifica la preparazione atletica che le verrà in soccorso durante il film – si trova a dover fronteggiare la più odiosa delle accuse, quella di omicidio. Lo spettatore è avvertito da Barnaba della sua innocenza, e dunque ben presto Runner si trasforma in un action dal côté vagamente hitchcockiano, con Lisa che ha come una opzione quella di fuggire, per di più in uno spazio che definire chiuso è poco. Runner si svolge infatti interamente all’interno di un gigantesco albergo di sette piani, quello in cui è alloggiata la troupe del film thriller che si sta girando.

Se una parte delle situazioni appare prevedibile, anche perché Barnaba sceglie di seguire alla lettera tutti i codici di riferimento del genere, Runner è rinvigorito proprio dalla regia, a dir poco dinamica, e dalla levità con cui l’autore e il suo cast affrontano una vicenda poco originale ma che alla fin fine svolge il suo compito senza troppi indugi. E se Francesco Montanari si immerge nel ruolo del poliziotto corrotto con una naturalezza data da un buon numero di interpretazioni di “villain”, Matilde Gioli affronta un ruolo quasi interamente fisico con una abnegazione senza dubbio apprezzabile, e che la consacra come un’attrice credibile per ruoli che esulino dalla prassi della commedia cui troppo spesso è stata confinata. Barnaba ha l’intelligenza e la capacità – grazie anche a un apprezzabile lavoro in fase di fotografia e montaggio – di mettere la firma in calce a un prodotto orgogliosamente medio, che affronta il genere con l’indole del narratore per immagini e ha come unico obiettivo (in buona parte centrato, eccezion fatta per qualche scarto di tono un po’ scorbutico) quello di intrattenere il pubblico, senz’altro a pretendere. Ed è un peccato che un’operazione produttiva così rara non abbia una volta di più trovato una diffusione più capillare nel sistema distributivo, restando a uso e consumo di un’élite di addetti ai lavori che – in un cortocircuito letale – faticano a comprenderla.

Info
Il trailer di Runner.

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