Gloria!

Gloria! segna l’esordio alla regia per la trentaseienne cantautrice Margherita Vicario, che qui scrive e dirige una storia ambientata nella laguna veneta del 1800, in un collegio femminile che ospita orfane, ed è retto da un prete che tutti ritengono impeccabile compositore. Un inno alla libertà e all’emancipazione attraverso l’arte fragoroso, gioioso, di cui si sentiva una grande necessità nel cinema italiano contemporaneo.

Il suono di tutte le cose

Ambientato in un istituto femminile nella Venezia di fine ‘700, Gloria! racconta la storia di Teresa, una giovane dal talento visionario, che, insieme a un gruppetto di straordinarie musiciste, scavalca i secoli e sfida i polverosi catafalchi dell’Ancien Régime inventando una musica ribelle, leggera e moderna. Pop! [sinossi]

Teresa, mentre sta lavorando in cortile, ascolta i rumori dell’aia, delle sue compagne impegnate nelle rispettive opere – ramazzare, per esempio –, e dei suoni che vengono dalle aule dell’istituto Sant’Ignazio, sperso chissà dove nelle vicinanze della laguna veneta e ospitante un nugolo di orfane che hanno per precettore musicale un prete riottoso e vanaglorioso, don Perlina (strepitosa l’interpretazione di Paolo Rossi). Ascolta i rumori sparpagliati, Teresa, e li trasforma in ritmo, in musica, in atto della creazione in grado di dettare il tempo in modo armonioso, e non distonico. Gloria! principia con una sequenza che sembra quasi riallacciare la “muta” Teresa – che muta non è, lo si scoprirà ben presto nel corso del film – alla Selma cantata da Björk e filmata da Lars von Trier in Dancer in the Dark, tra la musica concreta di Pierre Schaeffer e l’improvvisazione; e d’altronde si tratta di due figure non troppo dissimili, anche se dal destino diverso, che sono reiette nella società in cui si trovano a vivere, gli Stati Uniti dei primi anni Sessanta per l’immigrata ceca – e quasi cieca – Selma, e il 1800 per Teresa, costretta da un segreto vincolante e personalmente dolorosissimo a fare la sguattera al Sant’Ignazio, trattata al pari di un essere inferiore da Perlina, che arriva anche a rinchiuderla in una stanzina quando la ragazza gli dà fastidio, e le impone il voto del silenzio. È dunque un’epifania per le ragazze che lì suonano il violino quando sentono Teresa pronunciare una parola, un miracolo inatteso e duplice visto che insieme a quel verbo profferito le giovani si imbattono anche in un pianoforte, una creatura maestosa e meravigliosa, mai vista da quelle parti, che fa mettere in un angolo il clavicembalo con cui si accompagna Perlina quando guida le “sue” ragazze nelle prove giornaliere. La narrazione attorno alla quale ruota la vicenda raccontata dall’esordiente Margherita Vicario – che prima di approcciarsi alla regia si è fatta le ossa come cantautrice, avendo dunque la musica come strumento quotidiano da elaborare – è semplice, se si vuole persino basica: l’istituto riceverà infatti di lì a poco la visita di Pio VII, che il conclave ha eletto Papa da pochissimo (in effetti la fumata bianca arrivò nel marzo del 1800), e occorre una composizione ad hoc che accolga il Vescovo di Roma nel migliore dei modi. Ovviamente l’incarico è assegnato a don Perlina, anche perché alle donne è concesso impratichirsi negli strumenti e nella lettura del pentagramma, ma non hanno diritto a comporre in prima persona.

Così, mentre durante il giorno le giovani attendono con sempre minor pazienza che Perlina si degni di tirar fuori un ragno dal buco nella scrittura musicale, la notte si illumina dei giochi al pianoforte, che il prelato ha fatto nascondere in cantina ma che lì è stato scoperto da Teresa durante le pulizie. Ecco dunque che Gloria! sembra di colpo guardare anche dalle parti de L’attimo fuggente di Peter Weir, con la “Setta dei poeti estinti” che si ritrova di notte in una caverna per poetare, e scoprire la libertà d’espressione che il College in cui studia vieta loro. Tutti adolescenti lì, tutte adolescenti in questo caso, ma con un minimo comun denominatore, vale a dire il desiderio di emancipazione che, suggerisce anche Vicario, può sopraggiungere solo attraverso l’arte. Seguendo dunque un tracciato narrativo lineare, così evidente che la regista può permettersi ellissi continue senza che si smarrisca mai il senso dell’insieme, Gloria! si trasforma fin da subito in una lunga e ininterrotta sarabanda, un viaggio gioioso nel mistero della vita, dell’arte, e soprattutto della possibilità d’espressione. Una lettera d’amore può tramutarsi in un canto, e un’illetterata nella grammatica musicale può ergersi a innovatrice, arma dirompente contro quell’antico regime che in Francia hanno provato a spazzar via tramite la Rivoluzione, ma che è difficile da scacciare davvero, nelle teste delle persone prima ancora che nella prassi sociale dei sistemi. Teresa è solo una serva, non sa leggere il pentagramma, non conosce la differenza tra una croma e una biscroma, ma sente la musica, sente il ritmo, e infine la melodia: ed ecco che l’epoca pre-romantica s’illumina di pop contemporaneo, di suggestioni tribali, di ritmiche impossibili per quegli anni, ma che Vicario utilizza proprio per suggerire la potenza catartica e mai conservatrice dell’atto musicale (e artistico nel suo complesso).

Conscia di dover travalicare il senso dell’accuratezza storica per potersi davvero garantire la riuscita della sfida che ha voluto affrontare – quella di ridare dignità e voce alle centinaia di musiciste che non vennero riconosciute come autrici e morirono nella più totale ignoranza storica nei loro confronti – l’esordiente cineasta costruisce Gloria! come una fiaba, dove dal suicidio ci si riprende grazie all’amorevole cura delle amiche, i cattivi non dormono in pace (e anzi magari passano anche a miglior vita), le mute tornano a parlare, e tutte le protagoniste possono vivere felici e contente, con un orizzonte che le gratifichi anche sotto il profilo strettamente professionale. Un’utopia, certo, ma che trova nel cinema e nell’immagine pittorica (notevole la fotografia lavorata da Gianluca Palma) il grimaldello per scardinare la prassi, anche quella produttiva concernente la famigerata “ricostruzione storica”. Le splendide protagoniste del film – ottime le interpretazioni di Galatéa Bellugi, Carlotta Gamba, Veronica Lucchesi in arte La rappresentante di lista, Maria Vittoria Dallasta, Sara Mafodda – parlano come ventenni di oggi, desiderano come ventenni di oggi, si ribellano al potere costituito senza tanti salamelecchi o inchini d’osservanza. Quello che potrebbe apparire come un “errore” storico rivela in profondità l’anima più dirompente di Gloria!, la volontà di negare ogni codice di rappresentazione per ribadire la necessità di ricostruire sempre tutto, di rileggere e rivedere ogni idea precostituita, sia essa data da un insieme di note in ordine sparso o dal ruolo sociale che è stato già deciso aprioristicamente. Con la stessa fiera libertà che agitava le notti rivoluzionarie dei collegiali raccontati da Jean Vigo in Zero in condotta le protagoniste di Gloria! si prendono il proscenio con la forza, e osano rovinare la festa in un crescendo finale che emoziona, coinvolge, e diverte. Opera prima tra le più rimarchevoli del cinema italiano degli ultimi anni, quella di Margherita Vicario è anche la sfida vinta a un’idea di cinema “impegnato” che deve sottolineare i propri motivi sociali nascondendosi dietro la trama: qui avviene l’esatto contrario, ed è dall’immagine che scaturisce l’ideologia, e non viceversa. Come dovrebbe sempre essere.

Info
Gloria!, il trailer.

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