I misteri del bar Étoile

I misteri del bar Étoile

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Torna con I misteri del bar Étoile il cinema coreografico di Dominique Abel e Fiona Gordon, che continua a guardare dalle parti di Jacques Tati e Aki Kaurismäki senza però essere in grado di esplorare l’umanità che si trova a raccontare in scena. Un puro esercizio di stile, anche elegante ma rischiosamente fine a se stesso.

La coreografia è vita?

L’ex attivista Boris lavora come barista a L’Étoile Filante, ma quando una delle sue vittime lo identifica e reclama vendetta, le colpe del passato tornano a galla. La comparsa di un sosia, il depresso e solitario Dom, sembra fornire a Boris, alla sua ingegnosa compagna Kayoko e al loro fedele amico Tim un perfetto piano di fuga. Non hanno calcolato, però, la ex moglie di Dom, una sospettosa detective che si mette sulle loro tracce. [sinossi]

Torna il cinema di Dominique Abel e Fiona Gordon, e si ritrova quello spaesamento geografico e temporale che da sempre ne rappresenta una delle caratteristiche peculiari. Sarebbe d’altronde bizzarro non fosse così, visto che la stessa unione sentimentale e artistica della coppia si basa su un mélange culturale: Abel è belga, Gordon canadese ma nata in Australia, i due si sono conosciuti a Parigi prima di decidere di istallarsi in terra vallone, per l’esattezza ad Anderlecht – che è uno degli appena 19 comuni bilingue della regione di Bruxelles. Teatranti e mimi, hanno esordito al lungometraggio dopo alcuni esperimenti sulla breve distanza relativamente “tardi”, nel 2005 con L’Iceberg, quando entrambi avevano quarantotto anni. Ad accompagnarli in quella prima sortita registica il fido Bruno Romy, che co-firmerà con loro anche i successivi Rumba e La Fée, limitandosi invece a recitare sia in Parigi a piedi nudi che ora ne I misteri del bar Étoile. Cinque titoli diretti, scritti e interpretati in poco meno di vent’anni per una filmografia senza dubbio coerente che mostra alcuni passaggi ineludibili, e testimonia una volontà ferrea di non accettare la prassi produttiva, né le facili scappatoie che potrebbe suggerire. Dopotutto chiunque avesse una pur minima dimestichezza con l’approccio registico del duo necessiterà di pochi minuti per riscontrarne il peso durante la visione de I misteri del bar Étoile (presentato come titolo d’apertura in piazza Grande a Locarno lo scorso agosto con il titolo originale L’Étoile filante), con quel bar dimesso e senza nessun avventore in cui l’uomo dietro il bancone si vede accusare di essere stato quarant’anni prima il responsabile di un attentato terroristico.

Certo, l’immaginario “nero” non ha mai finora attraversato in modo concreto i film di Abel e Gordon, ma è facile percepire come anche in questo caso si tratti di un mero escamotage per dar vita alla dinamica comica in cui l’elemento umano si scontra con lo spazio in cui si trova, e con la gravità nello specifico: il cliente, dopo aver mostrato una somiglianza impossibile da smentire tra il barista e la foto che campeggia su un quotidiano del 1986, estrae una pistola e fa fuoco, ma l’arto artificiale che ha al posto del braccio non regge il rinculo del colpo e cade a terra. Potrà anche esserci una suggestione da revenge movie piovoso e malsano, ma dovrà cedere – un po’ come il braccio robotico – di fronte all’idea cinematografica di Abel/Gordon, che detta regole inscalfibili e prosegue sempre dritta per la sua strada. Ovviamente infatti I misteri del bar Étoile non è un noir, ma una commedia survoltata, stralunata, che fa del grottesco e del surreale (ricorrendo come sempre alla pantomima) il suo punto nevralgico. Così l’armamentario noir, dal trench che connota il detective ai locali (non più) fumosi, dalle colpe pregresse che riemergono a dannare il presente alla desolazione di una città che solo la pioggia può pensare di lavare senza particolare successo, fino allo scambio di persona dovuto a un “doppio” diventa la scenografia per permettere al duo e ai loro amici in scena – oltre a Romy, partecipa tra gli altri a questa avventura Kaori Ito, coreografa e danzatrice che qualcuno ricorderà almeno in Poésia sin fin di Alejandro Jodorowski – di costruire siparietti comici, coreografare i movimenti dei personaggi, le interazioni tra gli stessi, mentre una location evidentemente fittizia è screziata da colori innaturali e dominanti.

Di nuovo, seguendo una suggestione già rintracciata nelle precedenti opere di Abel e Gordon, ci si ritrova a tu per tu con un cinema completamente innaturale che cerca di riallacciarsi alla grandezza poetica di Jacques Tati e Aki Kaurismäki: una costruzione dell’ambiente completamente priva di “verità” che dovrebbe far emergere con ancora maggior forza la lettura della società, la messa alla berlina della struttura dominante, allargandosi a un’elegia delle classi dominate, dei reietti, di coloro che non hanno né arte né parte. Così la perfezione nella drammaturgia del comico dovrebbe guardare a Mio zio o Playtime, e l’afflato umanista a L’uomo senza passato o Miracolo a Le Havre. Ma se da un lato la pur apprezzabile professionalità clownistica non è paragonabile alla nettezza del gesto artistico di Tati – e con lui e prima di lui di Buster Keaton e Charlie Chaplin –, dall’altro non si respira il calore politico, e la profonda visione del regista finlandese. In tal senso potrebbe essere utile porre a paragone l’utilizzo del noir messo in opera in questa occasione con quello che Kaurismäki ordì all’epoca di Ho affittato un killer, altro film che giocava in modo evidente con gli stilemi del genere. Lì il côté politico, pur residuale rispetto ad altri lavori del cineasta, rivitalizzava come un attraversamento di un fulmine l’intera narrazione, qui invece si ha l’impressione forte di un orpello, di un “di più” utile a una giravolta in più in scena, a un raccordo di movimento tra i corpi, ma non a innervare il senso di ciò che si sta riprendendo. Tolti i primi due capitoli della loro filmografia, dove ancora si respirava una vita concreta, il cinema di Abel e Gordon è un meccanismo tutto borghese, e dunque asettico, in grado di smuovere al riso ma non di rivoluzionare lo sguardo, o di vivere oltre il respiro di una gag.

Info
I misteri del bar Étoile, il trailer.

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