Stranger Eyes

Stranger Eyes

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Video sorveglianza, voyeurismo, social network e relativa voglia di apparire, sono al centro di Stranger Eyes di Yeo Siew Hua, che innesta un buon thriller, lancia i suoi argomenti di scottante attualità, ma poi mi misteriosamente vira sul melodramma lacrimevole. In concorso a Venezia 81.

Sorveglianti (e) sorvegliati

Dopo la misteriosa scomparsa della propria bambina, una giovane coppia inizia a ricevere strani video e si rende conto che qualcuno ha filmato la loro vita quotidiana, persino i momenti più intimi. La polizia mette la casa sotto sorveglianza per tentare di sorprendere il voyeur, ma la famiglia inizia a sgretolarsi a mano a mano che i segreti si svelano sotto lo sguardo attento di occhi che li osservano da ogni parte. [sinossi]

Con grande sorpresa del suo interlocutore (e non solo), nel documentario Fritz Lang Interviewed by William Friedkin il maestro del cinema tedesco dichiarava al suo allora imberbe discepolo che il significato ultimo di M – Il mostro di Düsseldorf (1931) si può racchiudere nel monito: “dobbiamo avere più cura dei nostri figli”. Naturalmente si trattava in buona parte di una provocazione, di quelle che i vecchi maestri del cinema amano lanciare ai cinefili, soprattutto se colti e adoranti. D’altronde nessuno che abbia visto il film definirebbe M con queste, semplici parole. Parole che invece potrebbero bastare per Stranger Eyes del regista singaporiano Yeo Siew Hua.

Presentato in concorso a Venezia 81, Stranger Eyes affronta un tema di scottante attualità (presente al festival anche in Happy End di Neo Sora), quello dei video di sorveglianza, e lo fa appoggiandosi alla struttura di un thriller dalle venature sociali. Protagonista è qui una giovane coppia a cui hanno rapito la figlioletta di circa un anno. Quando i due cominciano a ricevere dei DVD che li ritraggono in atteggiamenti sempre più privati e sempre meno irreprensibili, iniziano a indagare – la polizia non sembra molto utile in tal senso – e scoprono che un loro vicino di casa (Lee Kang-sheng) li filma da tempo. L’uomo, che vive nel palazzo di fronte con l’anziana madre e lavora come manager nel supermercato di zona, non ha una vita sociale e si dedica a quella dei due dirimpettai, registrandone ogni dettaglio con la sua videocamera. 

Con una macchina da presa mobile e sempre attenta a scrutare i suoi personaggi, Yeo Siew Hua (già vincitore del Pardo d’Oro a Locarno nel 2018 con A Land Imagined) intesse con cura il versante thriller di questa storia, che oltre a rimandi hitchcockiani e depalmiani, ricorda in maniera assai ravvicinata Caché di Michael Haneke. La sorveglianza a cui siamo ormai tutti sottoposti, dato il proliferare di telecamere Cctv nelle nostre città, non sembra però far scaturire riflessioni di particolare originalità o interesse all’interno di Stranger Eyes, è solo la scusa per innescare la tensione e osservare i personaggi da più punti vista. Lo stesso dicasi per il voyeurismo, l’utilizzo dei social network e relativa voglia di apparire, argomenti che galleggiano sulla superficie senza trovare mai un solido ancoraggio. Ben più interessante, in questa storia, sono le difficoltà di una genitorialità forse troppo precoce (la coppia protagonista è poco più che maggiorenne) per cui scopriamo lui abbandonare momentaneamente la bambina sul seggiolino del carrello della spesa, osserviamo le numerose litigate della coppia, e vediamo lei che fa la DJ nelle dirette social, mentre chatta con i suoi fan. A tal riguardo poi, Stranger Eyes sembra volersi apparentare anche ad Eyes Wide Shut (e al racconto di Schnitzler da cui è tratto) mettendo a paragone tradimenti realizzati e tradimenti desiderati/sognati.

L’impegno genitoriale sembra infatti provocare dei forti rigurgiti di libertà individuale nei due protagonisti, ed è un peccato che queste argomentazioni finiscano poi per essere messe da parte a favore di una morale familista assai severa, con il relativo sterzare della storia verso un melodramma lacrimevole inatteso e anche un po’ inopportuno. Nonostante dunque la tensione ben costruita e alcune scene davvero efficaci – su tutte, la seduzione al supermercato, in cui la protagonista si lascia consapevolmente guardare dal suo voyeur – l’epilogo di Stranger Eyes porta a pensare che forse Yeo Siew Hua non aveva ben chiaro dove il suo film stava andando a parare, perché è difficile pensare che volesse dirci di “aver cura dei nostri figli, altrimenti ce li perdiamo”.

Difficile è infine trattenere l’ilarità quando il detective della polizia dichiara che ormai le indagini si fanno solo con le telecamere di sorveglianza e l’ausilio di tanta pazienza. E viene da pensare allora che il lavoro di un poliziotto contemporaneo è un po’ come il nostro: si tratta solo di saper guardare e interpretare delle immagini in movimento. Ma no, non era nemmeno questo l’oggetto di Stranger Eyes.

Info
Stranger Eyes sul sito della Biennale.

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