Colori mimetici

Colori mimetici

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Nel suo quinto lungometraggio per il grande schermo, Colori mimetici, Krzysztof Zanussi torna al mondo universitario per mettere in scena, in un campus estivo, i conflitti sulle varie interpretazioni del mondo fornendo al contempo una metafora del servilismo nella stagnante Polonia sovietica. In programma nella rassegna Grandi classici del cinema polacco di CiakPolska 2024.

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Studenti di linguistica, da varie università polacche, stanno soggiornando in un campo estivo di studio in campagna. Uno dei tutor, Jarosław, è giovane e predilige un approccio diretto e informale. A lui si oppone il manipolatore Jakub. Tra i due è un conflitto continuo. Quando il vicerettore arriva per le cerimonie di chiusura, le tensioni aumentano. [sinossi]

Con una serie di animali disegnati si apre il quinto lungometraggio per il grande schermo di Krzysztof Zanussi, Colori mimetici (Barwy ochronne, 1977), un bestiario di specie che adottano il mimetismo per nascondersi, camuffarsi. Su questa metafora, proprio quella di Woody Allen con Zelig, il regista costruisce il suo apologo morale contro il conformismo, il servilismo, i rapporti di potere gerarchici, che allignavano nella stagnante società polacca della RPP. Tali dinamiche di potere e prevaricazione sono comunque universali e il mimetismo può essere assurto a generale attributo della condizione umana. Attingere a figure della natura serve a Zanussi per impostare due conflitti: tra natura e cultura e tra sapere scientifico e umanistico – due chiavi di lettura del mondo. Sono personaggi appartenenti alla sfera letteraria i protagonisti del film, immersi in un contesto naturale: universitari delle facoltà di filologia in un campo estivo in campagna, dove vengono esposti i lavori degli studenti e premiati quelli più meritevoli. Un mondo dove allignano corruzione e baronie, tra concorsi pilotati, tesi copiate ed esclusioni aprioristiche, come quella dell’ateneo di Toruń sgradito ai vertici accademici. A gestire il campus sono il giovane coordinatore Jarosław e il più anziano Jakub, il supervisore, due gradini di una gerarchia di cui non si vede il vertice: comparirà poi un corpulento e laido prorettore. Una situazione di potere che simula la sovranità limitata di un paese pedina del sistema del blocco sovietico. Tra Jarosław e Jakub, nel loro rapporto dialettico, si giocano le antinomie suddette. Se il primo è un illuso idealista, Jakub è un cinico servitore e opportunista, che vuole disilludere Jarosław.
Jakub è presentato come un amante della natura, un appassionato ornitologo e fotografo naturalista, attività che cela una tendenza voyeuristica nel controllo di tutto ciò che succede nel campo, riflesso della pervasività dello stato totalitario nella vita individuale. Su una terrazza che domina tutto, davanti a una pianta di agave, avviene la conversazione centrale tra Jarosław e Jakub: il primo si lamenta di tutte le ingiustizie e iniquità che avvengono in quel campo, il secondo fa presente seraficamente come la giustizia non sia un concetto naturale. La concezione naturale del potere è di stampo darwiniano, fatto di predatori e prede, che si possono mimetizzare per non soccombere. La natura è onnipresente nelle immagini del film: nell’aula compaiono animali imbalsamati e un acquario; ci sono le bisce, mentre il gatto, che aveva portato dentro un uccello morto, viene munito da una studentessa di un collare con campanellino, per far scappare le sue possibili prede. Sarà proprio Jakub a toglierlo e a incitarlo a mietere vittime nella microfauna. Gli studenti seguono una filosofia hippie, cercando la condizione di naturalità, spesso nudi o poco vestiti, sono generalmente idealisti. Fanno un sit in contro l’esclusione dell’università di Toruń. A ribellarsi è proprio l’unico studente di quell’ateneo, che evoca Dostoevskij, come sfida al prorettore, e si denuda.

Il mondo universitario torna nel cinema di Zanussi, che aveva iniziato studi scientifici, di fisica, per poi passare a filosofia. Spesso i suoi personaggi sono scienziati come nella sua opera più autobiografica, Illuminazione (Iluminacja, 1973). «Quello che mi interessava di più era di mettere in risalto il contrasto tra cultura e natura. Volevo esprimere la mia opposizione contro l’esaltazione della componente spontanea naturale che è nell’essere umano; contro la tradizione rousseauiana che trovo così irritante»1. Come un L’attimo fuggente a ideologia invertita. Sfogare gli istinti naturali può portare alle estreme conseguenze dell’uccisione, come si rischia nella rissa finale tra Jakub e Jarosław: «Hai visto che alla fine la bestia che c’è in te è venuta fuori?», così il primo apostrofa il secondo, cherisponde: «Se fosse così non saresti già più vivo».
Colori mimetici può essere considerato come il manifesto del “Kino moralnego niepokoju”, il cinema dell’ansia morale, che rifletteva la decadenza dell’agonizzante era di Edward Gierek, caratterizzata da vasti scioperi nonostante i tentativi di riforme. Il cinema dei vari esponenti di quel movimento era espanso e interconnesso. Una delle discussioni tra i protagonisti di Colori mimetici ha come sfondo la statua di Mateusz Birkut ripresa da L’uomo di marmo (Człowiek z marmuru, 1977) di Andrzej Wajda, esempio di cristallizzazione di un modello positivo per il popolo creata dalla propaganda attraverso le arti come cinema e scultura. Ancora un film metariflessivo sul cinema in un contesto politico autoritario è Il cineamatore (Amator, 1979) di Krzysztof Kieślowski, che racconta di un impiegato roso dal demone del cinema, munito di una cinepresina amatoriale; lì il protagonista assiste proprio a una proiezione di Colori mimetici, presentato da Zanussi in persona, che nel dibattito afferma di aver voluto fare un film sulle persone oneste schiacciate dal mondo; alla fine il cineamatore invita il regista nel suo cineclub per mostrargli il proprio lavoro. Kieślowski mostra così il collega in sala con alle spalle il fascio primario della proiezione.
Zanussi torna a ‘trovare’ Jakub in Revisited (Rewizyta, 2009), una carrellata dei personaggi dei suoi vecchi film come sono ora, ripresi da un nuovo uomo con la macchina da presa. Ancora in un contesto naturale, dell’anziano linguista si può dire ciò che all’epoca non si poteva, ovvero che era iscritto al partito. Racconta di avere poi restituito la tessera durante la legge marziale e di essersi iscritto a Solidarność. Nel suo ultimo film di una carriera cinquantennale, Il numero perfetto (Liczba doskonala, 2022), Zanussi torna a mettere in dubbio la visione scientista del mondo e a confrontarsi con Kieślowski, citando Decalogo 1.

Note
1 Intervista contenuta in Paolo D’Agostini, Krzysztof Zanussi, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, 1980.
Info
La scheda di Colori mimetici sul sito del Palazzo delle Esposizioni.

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