Piccole cose come queste

Piccole cose come queste

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Tratto da un romanzo dell’autrice irlandese Claire Keegan, Piccole cose come queste di Tim Mielants è un pregevole racconto di sussurri interiori che si articola attorno a un trauma, e alla necessità di affrontarlo con tutte le sue conseguenze. Con gli ottimi Cillian Murphy ed Emily Watson.

Il silenzio delle innocenti

Irlanda, anni ’80: il Natale sta arrivando e Bill è sempre più tormentato. Le sue cinque figlie aspettano i regali e sua moglie cerca di far quadrare il non lauto bilancio famigliare mentre l’uomo sta facendo i conti con il proprio passato… [sinossi]

Bill Furlong (Cillian Murphy) non è mai riuscito a leggere David Copperfield di Charles Dickens e prima o poi vorrebbe farlo. La ritrosia non è dettata dall’imponente numero di pagine, ma dal fatto che Bill, come David, è rimasto orfano da piccolo e leggerne la storia è un modo per rinnovare il dolore per la perdita della madre Sarah, morta nel 1954 a 25 anni quando lui era un bambino, e il fatto che Bill sia figlio di un uomo che non lo ha riconosciuto. Ma anche senza Dickens, per il modesto rivenditore di carbone e amorevole padre di cinque femmine arriva comunque il momento di fare i conti con il proprio trauma e con l’ingiustizia che lui e la madre hanno fortuitamente scampato. Vicino alla sua rimessa c’è il convento della piccola cittadina in cui vive, in quell’Irlanda che fino alla fine degli anni ’90 ha lasciato aperte le porte delle cosiddette “Case Magdalene”, ossia quei poco caritatevoli istituti che accoglievano giovani adolescenti incinte e senza famiglia per “riabilitarle”, farle alacremente lavorare per le suore e poi sottrarre loro i bambini appena nati e darli in adozione. Portando alla memoria titoli come Magdalene di Peter Mullan o Philomena di Stephen Frears, Piccole cose come queste non è però incentrato sui maltrattamenti, come il film che vinse il Leone d’Oro nel 2002, né sulla vicenda di una ragazza segregata, ma assume il punto di vista di un quarantenne ben consapevole di essere sfuggito, assieme alla madre, alla sorte delle fanciulle “ospitate” in quei luoghi, grazie alla fortunata circostanza di essere stato accolto con la genitrice nella magione di una benestante signora che poi si è occupata di lui. Mentre il Natale è alle porte, Bill è sempre più tormentato dal malessere e dall’impotenza, e in lui ribolle un moto di riscatto per quelle ragazzine rinchiuse a due passi dalla sua rimessa: la carta vincente del film è così quella di vedere la situazione dal punto di vista maschile che si fa carico di una ribellione quieta, silenziosa, ma crescente che non ha a che fare soltanto con il riscatto della propria madre, ma con il compiere il bene in quanto tale. Con il trasgredire un ordine sbagliato come atto di vera rinnovamento morale. Come la protagonista de Il silenzio degli innocenti voleva salvare almeno un agnellino, Bill Furlong cercherà di placare i propri fantasmi non lasciando che le cose vadano come per tutti pare ovvio che debbano andare.

Unico personaggio maschile in mezzo a personaggi femminili (tra cui spiccano Emily Watson, premiata a Berlino 2024 come attrice non protagonista, e Eileen Walsh, non casualmente presente anche in Magdalene), il Bill del trattenuto, schivo e accorato di Murphy è l’unico a voler violare l’orrenda ma indubitabile Legge della propria città per un principio di umanesimo e giustizia. Il Natale e la nascita, simbolica e reale (quella delle ragazze incinte), conducono alla riscoperta di un’umanità che non è regola impositiva, impugnata con protervia, ma rifondazione fraterna e di speranza. Piccole cose come queste si apre sul campanile che troneggia su una piccola città: il convento e le religiose sono il potere costituito che tutto gestisce. La crudele suor Mary (Watson, appunto) ha in mano anche l’educazione scolastica e il futuro dei bambini, e non si fa scrupoli nel minacciare sottilmente chi non rispetta il suo dominio; la moglie di Bill (Eileen Walsh) consiglia invece il marito di non immischiarsi in faccende che non lo riguardano, quasi dimentica che lui stesso poteva essere il figlio di una di quelle ragazze; le fanciulle nel convento sono “agnelli” tenuti in un recinto e che poco possono fare; le figlie del protagonista sono invece un monito per l’uomo che vuole concretamente fare un gesto per le donne e per la memoria di sua madre. L’unico uomo del film, per di più “graziato” dal destino di una case Magdalene (e che ha potuto quindi conoscere la mamma), agisce sospinto dal voler far la cosa giusta in questo lavoro pacato, sussurrato e privo di climax, consegnato solo al finale comunque silenzioso. Tratto dall’omonimo romanzo Small Things Like These (in italiano Piccole cose da nulla) della quotata autrice irlandese Claire Keegan e sceneggiato da Enda Walsh – già al lavoro su Hunger di Steve McQueen -, il lavoro diretto da Mielants condivide l’andamento intimo e privo di esplosioni che già caratterizzava The Quiet Girl, sempre tratto da Keegan e sempre presentato alla Berlinale (nel 2022 in quel caso, nel 2024 in questo). Due adagi, compositivamente parlando, che guardano sebbene da direzioni diverse all’infanzia e alla sua violazione. È insomma interessante, in Piccole cose come queste, che sia il maschio a sentire il dovere dell’azione e non siano le femmine, che assumono la posizione di aguzzine, di persone concretamente avvezze al realismo o di giovani potenziali vittime. Così come è interessante che il film sia punteggiato da ricorrenti immagini di finestre, con la camera che scruta da fuori un interno o, viceversa, diventa occhio rivolto a uno spazio esterno misterioso: il vetro e la trasparenza consentono di vedere e sapere ciò che accade, ma sono un’ostruzione fisica all’interazione di chi si trova in due spazi distinti. Tutti nella comunità conoscono quel che avviene tra le mura del convento, tutti possono vedere perché sanno, ma nessuno osa penetrare quella realtà che assume dunque un aspetto fantasmatico (non casualmente alcune riprese di finestre sono ornate da eleganti sfocature) e quasi gotico quando viene perlustrato lo spazio religioso. Bill, simbolicamente, desidera rompere quell’argine, quel vetro e quella distinzione spaziale per riunire ciò che si sa e ciò su cui si può, perciò, agire. Pregevole racconto di sussurri interiori (fuori campo, semmai, le grida), Piccole cose come queste ha nella sua dimensione raccolta la sua forza e il suo ineluttabile limite, ma nella sua misura racchiusa e dolente, a tratti essa stessa dickensiana, è un lavoro riuscito e non privo di peculiarità. Fra i produttori spiccano i nomi di Matt Damon e Ben Affleck.

Info
Piccole cose come queste, il trailer.

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