Short Skin

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L’esordio nel lungometraggio di finzione di Duccio Chiarini, Short Skin, è una commedia adolescenziale che ruota intorno al tema del primo rapporto sessuale alternando con ottimi risultati comicità e malinconia. Nella sezione Generation 14plus alla Berlinale, dopo la presentazione a Venezia in Biennale College.

Il sesso che non c’era

Il diciassettenne Edoardo è ossessionato come il suo migliore amico dal desiderio di perdere la verginità, ha però un problema di cui non sono a conoscenza neppure i suoi genitori, una fimosi al pene che gli rende doloroso non solo avere rapporti sessuali, ma anche praticare la masturbazione. Il ragazzo prova ugualmente ad avere una normale vita sessuale… [sinossi]

Capita ancora di tanto in tanto di imbattersi in un promettente esordio italiano. È il caso di Short Skin di Duccio Chiarini che, dopo aver realizzato nel 2011 il documentario Hit the Road, Nonna, esordisce nel lungometraggio di finzione con una commedia adolescenziale giocata in maniera convincente sul filo della comicità e della malinconia.
Realizzato grazie al progetto della Biennale College-Cinema (che sostiene e produce film a micro-budget, prodotti con 150mila euro) e selezionato in tal senso alla scorsa edizione della Mostra di Venezia, Short Skin è stato accolto in questi giorni anche alla Berlinale, nella sezione Generation 14plus dedicata al cinema per ragazzi. Si tratta in effetti di un tipico racconto di formazione, genere che in realtà è sempre meno praticato dalle nostre parti a ennesima dimostrazione di come la cinematografia nostrana sia tendenzialmente e commercialmente chiusa in un vacuo ‘cerchio magico’, tetragona al cospetto di quel che avviene nella società. In particolare, basti guardare alla commedia mainstream di Siani, Bisio, Brizzi & company per capire come, sia dal punto di vista produttivo che creativo, ci si diriga sempre ed inevitabilmente verso formule consolidate e verso star imbolsite e plastificate che si muovono in una dimensione parallela ed ectoplasmatica.
Ma, forse, qualcosa di diverso sta succedendo. Nel giro di pochi mesi sono stati prodotti e presentati in diversi festival due titoli che potrebbero far sperare in un futuro migliore, o quantomeno diverso. Uno è Fino a qui tutto bene di Roan Johnson (presentato allo scorso Festival di Roma), l’altro è proprio Short Skin: si tratta di commedie a loro modo generazionali, a basso budget, con attori poco noti e che aderiscono a una certa dose di realismo con uno sguardo partecipe e calato nel presente. E, forse non è un caso, che sia l’uno che l’altro titolo provengano dalla Toscana, in particolare da Pisa (e in entrambi c’è la firma della sceneggiatrice Ottavia Madeddu). Se stia emergendo da quelle parti una sorta di movimento e/o di scuola è forse presto per dirlo, ma in ogni caso non si può fare a meno di prestarvi attenzione.

Se Fino a qui tutto bene ha un andamento da commedia sociale (perché ruota innanzitutto attorno ai temi dell’assenza di lavoro e del prematuro fallimento delle proprie aspirazioni), Short Skin si muove invece su un binario più prettamente esistenziale, quasi a-temporale, ma allo stesso tempo sa percorrere – con la stessa precisione del film di Roan Johnson – una possibile e differente strada per la commedia. Unendo e alternando i registri della comicità e della malinconia e mettendo in scena dei personaggi alle prese con desideri e meschinità figlie del quotidiano, Short Skin si regge su una solida quanto rapsodica struttura narrativa e su una regia secca ma efficace, priva di inutili orpelli così come di pigrizie amatoriali e di inesattezze tecniche (e non era facile, visto il basso budget a disposizione).
Ma, ancora di più, è il forte spunto narrativo alla base del film che rende Short Skin una specie di modello ri-generante da seguire perché sceglie di raccontare il suo mondo partendo da una precisa prospettiva. Il protagonista Edoardo infatti vorrebbe dedicarsi a tempo pieno ai primi amori giovanili e alla scoperta della sessualità, ma non può perché è affetto da una fimosi al pene che gli impedisce persino di masturbarsi senza provare dolore.
Innestando dunque nello scheletro del romanzo di formazione un serio ostacolo fisico, Duccio Chiarini costruisce un racconto sull’impotenza e sull’impossibilità dell’atto che viene continuamente rimandato e disatteso giocando abilmente sulle attese spettatoriali. Rispetto al canone dell’impaccio emotivo che impedisce al nerd di turno di far valere la sua virilità, Short Skin innesta dunque una dimensione di disadattamento clinico che è foriera allo stesso tempo delle migliori gag comiche del film e dei momenti più drammatici.
E se è vero che verso la fine il gioco finisce per mostrare un po’ la corda, non bisogna dimenticare anche un’altra qualità di Short Skin: alcune scene di sesso (mancato o meno) finalmente convincenti, sensuali e realistiche come non si vedeva da tempo nel nostro cinema.
Perfetta aderenza nei confronti dei giovani protagonisti, impercettibili e credibili sentimenti da horror vacui adolescenzial-vacanziero, una discreta dose di sensualità: sono elementi sufficienti per far sì che Short Skin ottenga la visibilità e l’attenzione che merita e che ancora non ha avuto.

Info
Il trailer di Short Skin su Youtube.
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