Metti, una sera a cena

Metti, una sera a cena

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Per RaroVideo e CG la prima uscita mondiale in dvd di Metti, una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi. Recupero importante per un’opera di grande successo di fine anni Sessanta, che necessita però di un vero restauro. Trasgressioni e ipocrisie per un brillante quintetto d’attori: Trintignant, Bolkan, Musante, Girardot, Capolicchio.

“Infatti non è una tavola. È una zattera”. La figura di Giuseppe Patroni Griffi, autore radicalmente poliedrico del panorama culturale italiano (poesia, narrativa, teatro, cinema, tv…), resterà sempre legata a Metti, una sera a cena (1969), prima testo teatrale poi film che al suo apparire riscosse in entrambe le sue forme uno strepitoso successo di critica e pubblico. Per il film l’incasso più che soddisfacente (tredicesimo posto nella classifica della stagione italiana 1968-69) fu anche una discreta sorpresa, visto che non si trattava di un’opera d’immediata lettura e che conservava in parte la pesante eredità dell’impostazione teatrale.
Patroni Griffi condusse in realtà un’operazione anche molto scaltra, ponendosi a un originale spartiacque tra cinema “intellettuale” e accessibilità commerciale. Innanzitutto, giocò a favore del successo del film la scelta del cast: Patroni Griffi rinunciò agli attori che avevano messo in scena il testo a teatro (la Compagnia dei Giovani di Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Rossella Falk ed Elsa Albani) ricorrendo a eleganti star internazionali (Jean-Louis Trintignant, Tony Musante, Annie Girardot) con l’aggiunta di un giovane Lino Capolicchio e della splendida Florinda Bolkan, per la prima volta in un ruolo di protagonista. Il contesto insomma era quello della ricca produzione italiana del tempo, che mai si dimenticava dell’eventuale destinazione internazionale del film.
A dare una prima chiave di lettura non del tutto errata ci pensò però Gian Maria Volonté, inizialmente previsto nel ruolo che andò poi a Musante: Volonté abbandonò il film perché considerato essenzialmente “borghese”, e per questo non in linea con l’idea di cinema impegnato che di lì a poco diventerà una costante della carriera dell’attore.

In effetti a posteriori Volonté non ebbe tutti i torti, e anzi si può affermare che proprio nella sua natura ibrida, che flirtava scopertamente con i pruriti e i bassi istinti del pubblico borghese, Metti, una sera a cena trovò probabilmente la chiave per il proprio successo commerciale. Da un lato, si fa fatica a credere che il grosso pubblico si fosse digerito quasi due ore di elucubrazioni fumose e intellettualistiche su sesso e amore (come andava per la maggiore in quegli anni di freudismo a tutti i costi) oltretutto raccontate tramite una netta adesione alla frammentazione narrativa, dall’altro ci si crede facilmente se si considera che intanto Patroni Griffi narrava liberi tradimenti coniugali e incontri sessuali a tre, sia pure elegantemente messi in scena ma comunque piuttosto inediti per il nostro cinema del tempo.
La vicenda è tutta racchiusa nelle dinamiche tra cinque personaggi: agli stancamente sposati Nina e Michele, coppia intellettuale alto-borghese (lui è uno scrittore di teatro), si affianca Max, attore di teatro bisessuale amante di Nina da ancor prima del matrimonio. Un’altra amica di famiglia, Giovanna, single afflitta dalla solitudine, è nemmeno troppo segretamente innamorata di Michele. A sconvolgere il pigro tran-tran del quartetto subentra un fatto nuovo: per ravvivare gli incontri sessuali con Nina tramite sinuosi amplessi a tre, Max coinvolge Ric, una sorta di escort anarcoide, che però inaspettatamente finisce per innamorarsi di amore assoluto ed esclusivo per Nina. La tavola dei quattro rischia di traballare e spezzarsi davanti a una manifestazione tanto potente e imprevista di vero amore.
Tuttavia, per Patroni Griffi l’illusione dei sentimenti dura meno di una caramella, per cui l’unica soluzione, in un gran bel finale, è che la tavola da quattro componenti passi a cinque. Perché quella tavola non è più una tavola, ma una zattera per naufraghi dispersi tra ipocrisie, retaggi culturali e fragilità moderne.

Per mettere in scena questo groviglio volenterosamente esistenziale Patroni Griffi sfodera un’estetica fin troppo generosa, che fa dell’incoerenza stilistica una sorta di vessillo. In primo luogo, l’autore ricorre alle risorse del racconto spezzato, con continui scarti spazio-temporali. Metti, una sera a cena si avvale infatti del mirabile montaggio di Franco “Kim” Arcalli, che probabilmente dovrebbe essere studiato come autore a parte di tutto il cinema da lui montato. La sua arte si fonda sull’associazione libera, per cui il racconto non si regge più sulla vettorialità narrativa, bensì sulla sutura tra sequenze che rompono con decisione la continuità spazio-temporale e sono tenute insieme da un elemento visivo o da un concetto comune.
In questo Metti, una sera a cena appare un altissimo esercizio; gli attacchi di montaggio non seguono necessariamente un principio di mimesi del pensiero dei personaggi e delle sue associazioni (una sorta di imitazione del flusso di coscienza alla Virginia Woolf), ma si adagiano per lo più su somiglianze strettamente visive.
Spesso è un oggetto profilmico a fare da collante tra le due sequenze (v. gli occhiali scuri di Florinda Bolkan), ma ancor più di frequente è un movimento in scena degli attori, o un movimento di macchina, a fare da elemento comune tra due inquadrature successive in sfasamento temporale (la Bolkan che si appoggia di schiena all’esterno di un’auto o il semplice voltarsi di un personaggio, ripreso identico nell’inquadratura successiva con netto salto temporale; o ancora la macchina da presa di per sé, che per esempio chiude un’inquadratura con zoom, e riapre con zoom nell’inquadratura successiva). Ancora più arduo è individuare una sorta di presente narrativo a cui poter ricondurre tutti i frammenti di racconto che divagano nel tempo. Sulle prime potremmo individuare il “presente” nel ritorno in automobile di Nina e Max dall’incontro di boxe: dalla discussione tra i due sembrano aprirsi parentesi narrative nel passato, ma è comunque una costruzione che si perde a poco a poco nel flusso audiovisivo. Flusso, si badi bene, che quasi mai è strettamente riconducibile alla coscienza dei personaggi. Non visualizziamo i loro pensieri e ricordi, bensì è l’autore implicito, l’istanza narrante ad assumere a priori tale modello di resoconto frammentato.

In questo Patroni Griffi segue retoriche avanguardistiche che si erano affermate nel cinema lungo tutti gli anni Sessanta (c’è chi ha fatto il nome di Alain Resnais) e che potevano trovare terreno comune con le prime opere di Bernardo Bertolucci e in certa misura anche col cinema di Pasolini e Pietrangeli. Non a caso, della sceneggiatura si era occupato un giovane Dario Argento, che sul set di Metti, una sera a cena incontrò Tony Musante, futuro protagonista del suo imminente esordio alla regia (L’uccello dalle piume di cristallo, 1970), e che faceva parte di una nuova generazione di rampanti sperimentatori narrativi italiani.
Tuttavia Patroni Griffi non assume i contorni dell’autore rigoroso: la “borghesità” del suo cinema sta proprio nell’aderire a tali retoriche espressive con buon fiuto per i tempi, ma senza rinunciare anche a un’idea di spettacolo d’immediata accessibilità. Così la famosissima colonna sonora di Ennio Morricone riconduce la messinscena in una dimensione di dramma borghese, e così soprattutto si dà anche luogo a sequenze troppo aliene al resto per poter essere casuali. Un esempio su tutti, la leccatissima sequenza dell’ “amor disperato” in gommone, in cui la musica di Morricone indugia lungamente su Trintignant e la Bolkan che fanno sesso al mare assumendo gesti e posture ieratiche in pieno gusto di romanticismo da rotocalco.
Una nuova forma di messinscena del meraviglioso, in cui gli intellettuali assumono atteggiamenti distanti dal popolo, enfatizzando il mondo tormentato e inaccessibile ai più in cui essi si dibattono. In qualche misura si tratta di una sorta di commercializzazione dell’intellettuale, inscritto in un contesto d’inaccessibilità cui il pubblico può solo assistere, vagheggiando e ammirando sulla base della loro superficie rappresentata. Da tutto ciò un attore come Volonté, in piena fase di maturazione militante, non poteva che prendere le distanze.

Di più: Patroni Griffi applica tale multiforme linguaggio audiovisivo a una materia narrativa pesantemente auto-consapevole, in cui tutto è dichiarato ed esplicitato tramite dialoghi esemplificativi fino allo spasimo (rovescio della medaglia probabilmente inevitabile quando si resta così legati alla derivazione teatrale), per cui l’estrema ricerca formale si disperde spesso dietro ai pur brillantissimi scambi tra i personaggi, tutti improntati al paradosso antipatico e snob. In qualche modo l’estrema originalità di Metti, una sera a cena è da rintracciare proprio qui, ovvero nell’applicazione di un linguaggio d’avanguardia a una materia che conserva buoni margini di mondanità. Stessa ragione per cui il film di Patroni Griffi rischia pure di apparire molto invecchiato, ai limiti del curioso oggetto di modernariato. Ad assumere tratti pesantemente vintage è soprattutto il profilmico, sia per gli arredamenti e interni, sia per certi improponibili costumi di scena.
Così come l’ipertrofico e incoerente linguaggio adottato dall’autore assembla veramente di tutto, generosamente e confusamente, cogliendo al volo i più disparati sentimenti d’epoca (gli intellettualismi si sprecano, a cominciare dalla pretestuosa collocazione nell’ambiente teatrale, con espliciti riferimenti ai Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, per finire poi con le superflue riflessioni su realtà e rappresentazione).
Ma in tanta profusione d’inventiva audiovisiva, più volte Metti, una sera a cena riesce a vincere lo spietato scorrere del tempo, consegnandoci qualche reale accento di angoscia esistenziale. Sono numerose infatti le parentesi pienamente riuscite, che spesso si fanno forti in senso creativo della bella musica di Morricone: dal risveglio silenzioso dopo una notte d’amore tra Trintignant e la Girardot, alla fantastica sequenza dedicata all’emergere dell’ossessione di Capolicchio per la Bolkan, in cui il montaggio di Arcalli intervalla una passeggiata della donna sempre più angosciata a brevissimi inserti subliminali dello sguardo di Ric che la spia e la segue, rammentando metafilmicamente la dinamica d’apertura e chiusura di un otturatore sempre più rapido e sostenendosi al motivetto di per sé ossessivo di Morricone (una base di sole tre note, reiterate in un’infinità di variazioni). Senza dimenticare poi il pianto strozzato di Musante che rievoca l’inizio del morboso triangolo con Trintignant e la Bolkan, disteso su un letto con la schiuma da barba che si screpola sul suo volto, inquadrato in un’esasperata prospettiva ravvicinata. Insomma, lo spirito dei tempi non trova una sua forma solo nell’accumulo di bric-à-brac espressivo d’epoca, ma informa in modo stringente tutto il film e le motivazioni dei suoi personaggi, riuscendo a sconfinare nella riflessione universale sull’essere umano e le sue fragilità.

Per Metti, una sera a cena si tratta della prima uscita mondiale in dvd, e come avverte un cartello in apertura l’urgenza di una sua riproposizione è passata sopra a pur prioritarie questioni di qualità. Non è stato possibile lavorare sul negativo originale 35mm, e gli scarsi risultati si vedono tutti. Così come si presenta adesso il film appare rovinato soprattutto nella sua qualità fotografica, che specialmente nelle sequenze scure è ai limiti dell’irricevibile. Da un lato è un bene che un’opera dispersa da anni, e reperibile solo in alcuni passaggi televisivi notturni di altrettanta scarsa qualità, torni finalmente disponibile: dall’altro, vogliamo accogliere questa sua prima uscita in dvd come una sorta di anticipazione di un gran lavoro ancora tutto da fare. Restiamo quindi in attesa di un vero restauro, per perdersi più compiutamente nelle angosce di tutta una generazione, consapevole ma priva di coraggio, sulla soglia della libertà ma insincera con se stessa. Un monumento a una dolorosa ipocrisia, l’unico strumento, pare voglia dire Patroni Griffi, per non restare soli.

Buono il libretto documentativo che accompagna il dvd. Scarsi gli extra: solo un’intervista al press agent Enrico Lucherini, che si occupò del lancio del film.

Info:
La scheda di Metti, una sera a cena sul sito di CG Home Video
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