Brotherhood of Blades

Brotherhood of Blades

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Dramma storico e arti marziali, Brotherhood of Blades è un wu xia prodotto nella Cina continentale che fa molto pallidamente il verso ai capolavori hongkonghesi.

Storie di fantasmi di plastica

XVII secolo, alla fine della dinastia Ming. Molto legati fra loro, tre membri della polizia segreta chiamata Jinyiwei, hanno però dei segreti da nascondere: Shen Lian, capo del gruppo, è innamorato di una cortigiana che vorrebbe affrancare dalla vita di schiava comprandone la libertà; Lu Jianxing, il più anziano ed ambizioso del gruppo, per ottenere una promozione agognata da tempo è disposto a corrompere i superiori; il giovane Jin Yichuan è invece ricattato da un ex amico con il quale ha condiviso un passato di criminalità. [sinossi]

Pur in netta e vertiginosa espansione – per numero di spettatori, per sale che aprono quotidianamente – il sistema cinematografico cinese continua a mostrare delle enormi falle. La prima e più preoccupante è la limitatissima libertà dei registi, soprattutto quelli inseriti in un contesto commerciale, al cospetto di una censura che non accenna ad allargare le sue maglie (ed è geniale, in tal senso, nel suo primo film prodotto interamente con soldi della Cina continentale, che l’hongkonghese Pang Ho-cheung in Women Who Flirt abbia avuto l’intuizione di aggirare il tabù del sesso mostrando delle donne che giocano a curling in TV e spostando la nostra attenzione sui versi – di dolore/piacere – in cui prorompono al momento dell’atto sportivo). Collegato al discorso censorio, vi è poi il vero macro-problema: l’incapacità di proporre un degno cinema commerciale e popolare. L’aiuto dei registi hongkonghesi, che negli ultimi anni hanno diretto diversi film nella Mainland – come lo stesso Pang, come John Woo o Tsui Hark, ecc. -, sta portando a qualche risultato, ma va sempre a finire che solo i loro film sono belli e funzionano, mentre quelli dei loro epigoni continuano a fallire miseramente.
Il tutto diventa poi lapalissiano di fronte a un wu xia, genere in cui Hong Kong ha dato nei decenni il meglio di sé. Così Brotherhood of Blades appare un pallidissimo film di arti marziali, fatto sì con precisione, ma in cui manca in maniera allarmante la vitalità, la vivacità.

Diretto dal carneade Lu Yang e presentato alla 17esima edizione del Far East, Brotherhood of Blades mette in scena l’amicizia fra tre agenti segreti ai tempi del declino della dinastia Ming e, da questo contesto, prova a sviluppare riflessioni sull’ipocrisia di corte, sui lati oscuri di ogni personaggio e sulle corrotte dinamiche del potere. Tutte questioni certo non nuove, ma che vengono raccontate comunque in modo volenteroso dal regista. Quel che manca però è lo spessore, la vita. Brotherhood of Blades lo si direbbe infatti un film che si agita senza respirare, che quasi roboticamente procede senza scossoni e senza trovate, senza sorprese e senza deragliamenti, e procede piuttosto imperterrito lungo il suo binario morto.
Il segno più evidente di questa ontologica anemia lo si percepisce prima di tutto sui volti degli attori, quasi inespressivi, truccatissimi, plastificati. Hanno delle forme, ma sembrano privi di corpo, di materia, come dei pupazzi che si agitano in scena senza mai sudare e sanguinare. E lo stesso discorso vale sia per gli interpreti maschili, che per quelli femminili. C’è in effetti una forma di divismo nel cinema cinese contemporaneo che andrebbe studiata, per quella sua ossessione verso i visi che tendono all’astratto (come nella Hollywood del muto), ovattati, identici: volti-corpi-macchine infinitamente riproducibili.

A questo si aggiunga, in Brotherhood of Blades, una fotografia anch’essa posticcia e vagamente spenta, una sequela di scene d’azione mal girate e mal montate (con abbondante uso di montaggio proibito) e si finirà per catalogare questo titolo, come l’ennesimo frustrante e fallito tentativo di emulare i maestri venuti da Hong Kong.

Info
Il trailer di Brotherhood of Blades su Youtube.
La scheda di Brotherhood of Blades sul sito del Far East.
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