Louisiana (The Other Side)

Louisiana (The Other Side)

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Con Louisiana (The Other Side) Roberto Minervini scruta nell’intimità di una comunità di dropout e, tra voyeurismo e sensazionalismo, rimette in discussione l’etica del documentario. In Un certain regard a Cannes 2015.

It’s better to burn out…

In un territorio invisibile, ai margini della società, sul confine tra illegalità e anarchia, vive una comunità che affronta ogni giorno una minaccia: cadere nell’oblio. [sinossi]

Tra gli approcci più celebri del genere documentario, quello del film etnografico o d’incontro ha nobili natali e pochi epigoni nel panorama contemporaneo. Figlio dei lavori di Jean Rouch, trova le sue declinazioni e il dovuto spazio sugli schermi festivalieri grazie ai film di autori come Werner Herzog e Fredrick Wiseman e da qualche anno annovera un nuovo alacre ricercatore: Roberto Minervini. Dopo la sorprendente e rivelatoria trilogia del Texas (The PassageLow Tide e Stop The Pounding Heartproiettato a Cannes lo scorso anno), Minervini fa il suo ritorno sulla Croisette, e nel dettaglio in Un certain regard, con Louisiana (The Other Side), immersione nel paesaggio e nella varia umanità di una Louisiana post uragano contemporanea. Come anche per il film precedente, concentrato sul Texas rurale e il percorso di crescita di un’adolescente, Minervini ha lavorato e vissuto a lungo al fianco dei suoi protagonisti, in modo da creare con loro un rapporto di reciproca fiducia sul quale innestare alcune sottili linee narrative.

Suddiviso in due parti, Louisiana (The Other Side) segue in principio la quotidianità di una coppia di tossicodipendenti, calandosi nella loro quotidianità, mentre in seguito passa a posizionarsi al fianco di una squadra armata votata alla difesa della patria e dei suoi valori. A fare da collante, nella diegesi, è l’astio condiviso contro il presidente Obama, mentre dentro e fuori di essa troviamo lo sguardo di Minervini, pronto a raccogliere e catalogare i suoi reperti etnografici.

Questo sguardo, in parte testimoniale in parte manipolatorio della realtà “trovata”, finisce però paradossalmente per diventare il vero protagonista del film, portandone alla luce la natura teorica, scatenando una riflessione sul visibile e, soprattutto, sul mostrabile. L’intimità dei due dropout eroinomani è continuamente esibita nel lavoro di Minervini, li osserviamo immersi nella natura, al bancone del bar (in una scena che pare prelevata da Fat City di John Huston), violiamo il loro talamo nel corso di numerosi rapporti sessuali. Sono due figure di outsider, disperate e disperanti, cui l’eroina ha portato via più di qualche dente e gli uragani ogni possibilità di accesso al sogno americano. Da un lato però la totale assenza di partecipazione di Minervini rende questa realtà osservata un variegato freak-show approntato per aggredire la nostra etica piccolo borghese, dall’altro, di fronte a tanta miseria umana ed economica e allo shock del trovarsi di fronte ad una donna incinta intenta ad assumere eroina, ad emergere è proprio la presenza “colpevole” dell’autore, primo spettatore immobile di eventi dal forte portato drammatico.

Il problema di Louisiana (The Other Side) è dunque principalmente una questione etica, prima che di etica del documentario perché del freak-show si può essere partecipi e non voyeur, come emerge ad esempio dalle celebri foto di Diane Arbus, sempre posizionata alla stessa altezza degli oggetti del suo sguardo. Questo non avviene nel film di Minervini che, pur essendo proprio lì presente, mantiene sempre una distanza dai suoi personaggi che a tratti sfocia in un vero e proprio disprezzo cosa che inizia a serpeggiare nella prima parte del film ed esplode con chiarezza nella seconda: una vera e propria messa alla berlina di ciò che resta degli ideali americani.

Nonostante la regia curata in ogni dettaglio, pronta a concedersi squarci lirici all’interno dell’umido paesaggio della Louisiana, la pellicola di Minervini pone in luce dunque proprio ciò che vorrebbe tenere fuori scena, dal momento che l’unico vero interrogativo che tormenta lo spettatore ben presto non è più relativo a ciò che sta osservando, ma a come il regista sia riuscito a riprenderlo. L’effetto è straniante e pone in luce proprio quell’intervento autoriale che negli altri film di Minervini pareva ben amalgamato al reale. Probabilmente questo disvelamento eccessivo è però proprio dovuto alla forza dirompente e tragica di ciò che vediamo, che avrebbe richiesto maggiore delicatezza e partecipazione. Sospeso tra pornografia (in fondo mancano solo quelli che in gergo sono definiti “inserti”) e snuff movie (la morte è qui “al lavoro” con montante rapidità sui corpi dei personaggi), Louisiana (The Other Side) voleva essere dunque un’immersione in una realtà “altra” ma si trasforma invece in un’esibizione della presenza del suo autore, tanto più fastidiosa quanto più sono forti le immagini mostrate.

Oltre alla messinscena, c’è poi un altro pericolo in perenne agguato in Louisiana (The Other Side), ed è l’intervento della narrazione (l’autore infatti, come riportato dalla scheda sul sito del Festival di Cannes, firma qui anche i dialoghi del film), che in questo caso appare forzato e non riesce a sgorgare con naturalezza dalle immagini, come invece avveniva mirabilmente in Stop the Pounding Heart. Pensiamo ad esempio alla scena in cui il protagonista chiede alla compagna di sposarlo, con tanto di dono dell’anello di fidanzamento, il tutto a favore di camera, o a quando si prodiga in una tirata degna del più banale “spiegone” narrativo per arringare la donna sulla necessità di smettere di bucarsi. Si tratta di una sequenza classica per il cinema narrativo  sulla tossicodipendenza, che però, inserita così, in un contesto che sulle cose “vere” o presupposte tali non ci ha fatto sconto alcuno, provoca un effetto disturbante. Nella stessa direzione va poi il momento in cui il nostro antieroe penetra in un’aula scolastica, per trarre dalle illustrazioni sui muri una lezione di economia e profitto. Evidentemente a Minervini serviva un affondo sul capitalismo contemporaneo e ha pensato di farlo fuoriuscire, in maniera però paradossalmente assai innaturale, proprio dai discorsi del suo personaggio. Non si può che rimpiangere la presenza sempre dichiarata di Werner Herzog nei suoi documentari, con la sua voice over, le sue riflessioni, gli interrogativi, la sostanziale onestà nel ricordarci che è lì e non può essere altrimenti, tanto vale interagire e mettersi in discussione. Certo il film di Minervini è destinato a far discutere e di questo lui stesso è assai consapevole, ma a rischio non è tanto la nostra morale perbenista, quanto l’equilibrio di un progetto complesso che gli è più volte sfuggito di mano.

Info
La scheda di The Other Side sul sito del Festival di Cannes.
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