Behemoth

Behemoth

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Presentato in concorso alla Mostra di Venezia, Behemoth è la nuova opera di Zhao Liang. Smarcandosi dal documentario sociale, per cui il regista cinese si era fatto conoscere, il film approda a una dimensione di lirismo, ma per raccontare sempre il mondo degli umili, degli ultimi, in una società governata da un capitalismo caotico e sregolato.

Black Coal

Sotto il sole, la celestiale bellezza delle distese erbose sarà presto consumata dalla polvere delle miniere. Tra le ceneri e il frastuono causati dalle pesanti attività minerarie, i pascoli si riducono e ai pastori non resta che partire. Al chiaro di luna le miniere di ferro sono illuminate a giorno. I lavoratori che azionano le trivelle devono rimanere svegli. È una dura lotta, contro le macchine e contro se stessi.[sinossi]

Il poeta della giustizia, come lo definisce Albert Serra, Zhao Liang torna a occuparsi di temi sociali, ambiente, sanità. A cambiare tuttavia è la forma. Dopo Petition, Crime and Punishment, Paper Airplane e altri documentari, il filmmaker cinese realizza ora con Behemoth – in concorso a Venezia 2015 – un poema visivo, un Koyaanisqatsi apocalittico, che riprende La Divina Commedia dantesca arrivando a dei momenti che si avvicinano alla video-installazione, con lo schermo diviso da linee oblique.
Una sinfonia che è una progressione all’inferno, fatta di enormi voragini generate dall’attività estrattiva, paesaggi lunari talmente grandi che non si riesce neanche a scorgerne più i contorni, pur in inquadrature in campo lunghissimo. Miniere che sprofondano per un’infinità di piani nel sottosuolo, autentici gironi danteschi. File interminabili di palazzoni tutti uguali a comporre città fantasma. Il consumo del suolo, del territorio rurale o naturale appare inesorabile, un buco nero che inghiotte tutto a grande velocità. E poi si arriva alle piaghe, alla contaminazione dei corpi dei lavoratori, alle morti bianche.

Siamo certamente vicini al cinema di Wang Bing ma, mentre quest’ultimo genera una sensazione di degrado, della sporcizia, dell’impurità, in Behemoth Zhao Liang realizza un’estetica, una figurazione formando disegni e geometrie che tendono all’astrazione. Sono le immagini che arrivano, prepotenti, dal miglior cinema cinese contemporaneo, basta pensare anche al film Fuochi d’artificio in pieno giorno. E sono immagini che risultano devastanti pur – o forse proprio per – il loro valore estetico.
Concepito inizialmente come un documentario on the road, il progetto è stato poi modificato in corso d’opera, arrivando alla forma definitiva e alla struttura che richiama La Divina Commedia. Il rosso degli altoforni, con le loro scintille, è l’inferno; il grigio della povere generata dalle file di camion è il purgatorio; mentre il blu del cielo della città fantasma di Ordos è il paradiso. Difficile pensare però a un reale paradiso, a una concezione idilliaca. La grande città è disabitata, fatta di grandi scheletri che si stagliano nell’aria, carcasse vuote, cattedrali nel deserto. E dovrebbe essere ripetuta la performance che si vedeva in Bored Youth, dove il ragazzo demolisce il fatiscente edificio.
Tutto viene orchestrato dalla bacchetta del direttore Zhao Liang. Il capitalismo, il consumismo sempre più globalizzati creano un’enorme fame che reclama risorse naturali. Un gigantesco leviatano è stato scatenato, e la responsabilità è di tutti, in quanto consumatori di energia, di risorse, che tengono un alto livello di benessere. Ma quello che emerge, nelle grandi città fantasma, è anche il senso di un enorme spreco, di pianificazioni inutili o mal concepite.
Se il cinema di Zhao Liang ha sempre reso il contrasto tra mondo rurale e mondo urbano, raccontando il secondo come terreno di degrado, come un grande tugurio, vedi film come City Scene o Bored Youth, ora sembra che il primo stia venendo inesorabilmente divorato dal secondo.

Info
La scheda di Behemoth sul sito della Biennale.
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