Iago

Con Iago il regista Volfango De Biasi tenta la carta della moderna trasposizione shakespeariana, non certo una novità per il mondo del cinema. A sorprendere è però la totale vacuità di un’operazione mediocre da un punto di vista intellettuale, estetico e narrativo, di cui nessuno sentiva la necessità e che difficilmente lascerà traccia di sé negli anni a venire.

La tragedia architettata

In questa moderna trasposizione del dramma di Otello, troviamo uno Iago prossimo alla laurea in architettura, ma con ridotte possibilità di trovare un posto di lavoro. Come se questo non bastasse, la sua amata Desdemona, sta per cedere alle astuzie ed alle lusinghe di Otello, rivale, nato con la camicia, di Iago. Preso dalla gelosia, il ragazzo brama vendetta… [sinossi]

Che rapporto può avere Iago con Roma?  Vicino al laghetto dell’E.U.R., a pochi passi dal palazzo dell’ENI voluto da Enrico Mattei nel 1962, è possibile imbattersi in viale Shakespeare, una viuzza tutt’altro che di passaggio, a suo modo nascosta, che congiunge viale America con viale Europa. Fa sorridere la prosopopea con la quale chi si occupa della toponomastica nell’Urbe ha assegnato il termine viale a un modesto tratto di strada, e non si può non pensare con sorpresa al fatto che qualcuno abbia avuto l’ardire di dileggiare il nome del Bardo con toni così pomposi. A peggiorare una situazione di suo già abbondantemente surreale è però giunto Volfango De Biasi che, dopo i fasti (?) sia cinematografici che letterari di Come tu mi vuoi, ha pensato bene di confrontarsi nientepopodimeno che con la storia di Otello e della sua insana gelosia verso l’amata Desdemona.

È ora necessaria una precisazione: non siamo dei bacchettoni reazionari, tradizionalisti abbarbicati al testo shakespeariano neanche fosse una fede da difendere dall’aggressione barbarica degli infedeli. Tutt’altro, chi scrive ritene che la forza di Shakespeare stia proprio nella straordinaria capacità di adattarsi a ogni epoca: si è ammirato sovente il meritorio lavoro portato avanti nel corso degli anni da Kenneth Branagh (e la sua interpretazione dell’Hamlet, reperibili sia nell’integrale rilettura ottocentesca che nei brandelli di riduzione che vengono svelati in Nel bel mezzo di un gelido inverno, è lì a testimoniarlo), si prova esaltazione di fronte al Romeo + Juliet di Baz Luhrmann, si trova ineccepibile la scelta di Akira Kurosawa di trasportare il Macbeth e Re Lear nel medioevo nipponico de Il trono di sangue e Ran, e via discorrendo. Di più, si trovano fondamentali le satire riferite all’opera del drammaturgo elisabettiano per antonomasia (a tal proposito reperite il dialogo sull’Otello presente nell’esilarante Ma che cos’è quest’amore? di Achille Campanile); insomma, non ci siamo avventurati nella visione di Iago con la ferma convinzione che ciò a cui stavamo assistendo fosse sacrilego e blasfemo. Eppure è impossibile non spalancare gli occhi scandalizzati di fronte allo scempio cinematografico portato a termine da De Biasi e dalla sua troupe.

Ci si può scervellare per trovare degli aggettivi che sintetizzino al meglio un’operazione di questa risma, e al di là delle ardite dichiarazioni della produzione e dell’autore stesso, Iago è un film profondamente comodo e volgare. Comodo perché si fregia di un’anima apparentemente iconoclasta e vagamente eversiva – ma per riuscire davvero a comprendere cosa sia un elogio dell’immorale, De Biasi e la sua accolita farebbero meglio a ripassarsi l’opera di Charles Bukowski – per muoversi alla perfezione in un ingranaggio standardizzato e sistematizzato, e volgare perché per raggiungere il suo scopo semplifica al massimo l’originale shakespeariano (anche se si tratta di una liberissima interpretazione del testo, sia chiaro) riducendo l’intríco politico ed emozionale a una sordida storia di desiderio inappagato. Tanto per peggiorare ulteriormente la situazione, De Biasi e Tiziana Martini (che collabora alla sceneggiatura) si lanciano in una descrizione del mondo accademico che ha in sé qualcosa di profondamente qualunquista: un universo dominato da un reggente a dir poco dittatoriale – e Gabriele Lavia, moderno Brabanzio ibridato con Calatrava, si sforza solo a tratti – dove la meritocrazia è un lusso che nessuno pare aver voglia di concedersi e dove tutti gli studenti ricchi sono frivoli e sboccati, mentre all’unico studente povero viene sistematicamente ucciso ogni volo pindarico. Quando il derelitto Iago, che vive con una zia a dir poco iettatrice, vede soffiarsi la ragazza che ama e il progetto per la Biennale che agognava per il suo futuro da un collega di corso nero e ricco, la sua mente inizia a progettare disegni di vendetta; ci manca solo che qualcuno urli “vengono qui e ci fregano il lavoro” e il quadro sarebbe davvero completo (in realtà un’invettiva con tanto di “quel negro di merda” è messa in bocca a Cassio – nella versione di De Biasi imbecille malato di sesso – ma è meglio sorvolare).

Ma il problema non è neanche nell’evidente semplificazione dei mali che attanagliano la penisola italiana, perché in fin dei conti si potrebbe anche cercare di comprendere la necessità di un’operazione del genere. Il fatto è che  l’intero mondo che è stato descritto nella prima parte del film viene letteralmente smontato da un finale che grida davvero vendetta: va bene tutto, ma la gratuità con cui Desdemona cede al fascino possessivo e alla mente deviata di Iago – e, dispiace dirlo, ma oltre a una mancanza di finezza nella scena d’amore tra i due protagonisti abbiamo riscontrato anche un fastidioso sentore di misoginia –, e trovate  degne del peggior cinepanettone come l’accoppiamento tra Cassio ed Emilia e quello appena suggerito tra Rodrigo e Otello, non si possono davvero perdonare. Non perché queste scelte intacchino il testo, e val la pena ribadirlo – anche se il buon William si starà agitando e non poco nella tomba – ma perché palesano un approccio alla materia cinematografica rozzo, banale, sciatto; De Biasi si sforza di dare una patina di credibilità tecnica al film – cosa questa che per esempio manca completamente nel pessimo Questo piccolo grande amore di Riccardo Donna – però non capisce che il problema sta nel manico. Iago è figlio di una mentalità distorta, perfettamente a suo agio nell’Italia di questi anni: nel suo credersi rivoluzionario (con Laura Chiatti che addirittura è arrivata a prefigurare scenari futuri in cui l’opera seconda di De Biasi “farà da apripista a un nuovo genere cinematografico”) non riesce a rendersi conto della sua meschinità, della sua ambiguità morale, della sua piattezza visiva e narrativa.
E quando uno spaesato Nicolas Vaporidis afferma, con lo sguardo inebetito “possono togliermi tutto, ma non la mia intelligenza”, risulta davvero difficile trattenere le risate.

Info
Il trailer di Iago.
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