San Valentino di sangue in 3D

San Valentino di sangue in 3D

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San Valentino di sangue in 3D, affidato alle cure di un regista dozzinale come Patrick Lussier, dimostra come lo slasher sia un sottogenere difficile da gestire, e sempre meno in grado di raccontare la paura, e i motivi attorno ai quali si sviluppa l’angoscia.

Pala, piccozza e squartamenti

Tom Hanniger, minatore della città di Harmony, causa un incidente in un tunnel che uccide cinque persone e manda in coma permanente Harry Warden. Esattamente un anno dopo, durante il giorno di San Valentino, Harry Warden si sveglia dal coma e uccide brutalmente con un piccone ventidue persone, prima di venire ucciso dalla polizia. Dieci anni dopo il massacro, Tom ritorna ad Harmony nel giorno di San Valentino. La sua ragazza d’infanzia Sarah è ormai sposata con il suo ex migliore amico Alex, lo sceriffo della città. Ma quella notte, dopo anni di pace, qualcosa riemerge dall’oscuro passato della città: un killer armato di piccone e coperto da una maschera protettiva da minatore. In breve tempo, Tom, Sarah e Alex realizzano che l’uomo potrebbe essere Harry Warden tornato a reclamare le loro vite. [sinossi]

Remake, questo sconosciuto. Lo si ammetta, sta diventando sempre più indecente l’operazione di rifacimento dei film dell’orrore messa in atto nel corso dell’ultimo decennio da parte delle major hollywoodiane. Con la terrificante idea di nuove versioni di Videodrome e Nightmare on Elm Street che saetta di quando in quando nella mente, ci si è accostati  a San Valentino di sangue in 3D con sguardo decisamente disilluso: anni di Le colline hanno gli occhi, Non aprite quella porta, Venerdì 13 (fino ad arrivare a riprese di accessori thriller senza arte né parte, come Prom Night) hanno infatti preparato al peggio. O per lo meno questo era il pensiero comune fino a poco tempo fa.
Chiunque abbia memoria di My Bloody Valentine di George Mihalka (La notte di San Valentino in italiano), modesto horror del 1981, ricorderà quanto stanche apparissero già all’epoca le digressioni slasher, appiccicate in fretta da qualcuno che aveva  fiutato l’odore del tempo e ci si era aggrappato con le unghie e con i denti. Non è dunque pensabile stupire chicchessia rimarcando la pochezza di San Valentino di sangue in 3D, titolo che nasconde al suo interno anche l’unica reale urgenza espressiva che ha spinto la Lionsgate a mettere in piedi il remake: il cinema pensato per la visione tridimensionale, apparente ultima panacea dei mali del botteghino. Non è un caso che ogni passaggio della pellicola sia pensato a uso e consumo unicamente del 3D: fin dai titoli di testa – con le news dei quotidiani che risaltano “avvicinando” la notizia allo spettatore – è impossibile non notare come l’impianto scenico, una volta esclusa la nuova tecnologia, risulterebbe arido, piatto, privo di qualsivoglia motivazione estetica. Ed è forse questo ciò che realmente si imputa al film: si sarebbe anche potuta accettare la mediocrità di scrittura – non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta, dopotutto – per accomodarsi in poltrona, ben felici di spegnere il cervello, se solo fosse stato possibile avvertire un pur labile brivido estetico e percepire il divertimento di chi aveva lavorato sulla pellicola.

Non esiste piacere, in San Valentino di sangue in 3D, la prevedibile sequela di squartamenti e ammazzamenti  plurimi – tra l’altro utilizzata con una meccanica usurata e pronta a incepparsi a ogni pie’ sospinto, con lo schema attesa/spavento/rilassamento/morte che si ripete senza mai avere la voglia o la capacità di staccarsi dalla prassi – sembra procedere più che altro per inerzia e non c’è modo di scorgere il benché minimo riflesso ludico nella messa in scena: nel riappropriarsi della storia del serial-killer vestito da minatore che si aggira per la cittadina di provincia a fare a pezzetti i gentili concittadini, Patrick Lussier e il suo staff agiscono in modo asettico, privi di spinta umorale. Difetto non da poco per un’opera che dovrebbe agire sulle reazioni più istintive, sensoriali degli spettatori: si rimane invece inesorabilmente distanti, e a nulla servono gli effetti speciali che dovrebbero, per lo meno sulla carta, catapultarci dentro lo schermo, perché non c’è alcun modo di penetrare la coltre di irreale che ci viene calata involontariamente davanti agli occhi.
Non che si potesse pretendere molto di più, a essere sinceri: Lussier è un regista estremamente mediocre, e il suo curriculum parla davvero da solo (l’inguardabile Dracula’s Legacy come apice di un percorso artistico che conta anche i due seguiti delle avventure  modernizzate del principe della notte, il secondo episodio di White Noise e La profezia), mentre gli attori a cui è stato indebitamente affidato il compito di mantenere alto il pathos della vicenda (Jensen Ackles, Jamie King e Kerr Smith) franano in maniera inesorabile subito dopo l’ingresso in scena. Non sarà semplice girare uno slasher-movie che abbia ancora qualcosa di profondo da dire sull’evoluzione dell’horror e sulla creazione di quel sentimento insondabile che è la paura – l’ultimo, con ogni probabilità, è il sublime Scream del dinamico duo Craven/Williamson – ma certo è che sarebbe bastato un pizzico di volontà in più per evitare uno scempio come quello a cui siamo andati incontro: perché San Valentino disangue in 3D non è solo un horror malriuscito, programmaticamente incapace di spaventare, ma è anche (soprattutto?) un prodotto privo di identità, perfino noioso.

E se alla fine della proiezione foste disposti (colmi di una traboccante bontà d’animo) a spezzare una lancia in favore del film, vi si invita caldamente a non perdere un solo istante dei titoli di coda: la steadycam che si limita a muoversi, dondolante, per i cunicoli scuri della miniera incute molto più timore dell’ora e mezza precedente. Il che, e non si teme smentita di sorta, è davvero tutto dire.

Info
Il trailer di San Valentino di sangue in 3D.

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