Stockholm East

Stockholm East

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Esattamente come le esistenze ritratte, il film vive di alti e bassi. Stockholm East è insomma un lavoro che lascia intravedere le grandi potenzialità del cinema svedese e, più in generale, della cinematografia scandinava, ma che non riesce a esprimerle appieno. Presentato a Venezia 2011.

La prossima stazione

Johan vive assieme alla moglie alla periferia orientale di Stoccolma, dove abita Anna con il marito e la figlia di nove anni. Non si conoscono, ma un incidente stradale che vedrà coinvolto Johan e causerà la morte della bambina sconvolgerà completamente le loro vite e ne condizionerà inesorabilmente il futuro, al di là di ogni prevedibile sviluppo… [sinossi – www.sicvenezia.it]

La storia di Stockholm East si svolge evidentemente a Stoccolma, ma potrebbe essere ambientata in una qualsiasi anonima periferia di una grande metropoli occidentale. Due coppie come tante, che si risvegliano in una luminosa mattina come poche, soprattutto per chi abita gli spazi del profondo Nord. Due quotidiani tragitti destinati a convergere. E, fatalmente, a deflagrare. Il tonfo sordo con cui registriamo che il corpo della piccola e biondissima Tove e la sua bicicletta sono stati intercettati dall’Audi di Johan è infatti l’inizio di una profonda deflagrazione emotiva. Un’incrinatura sottile che dal parabrezza dell’automobile si estende velocemente alle anime delle due famiglie rimaste segnate dal mortale incidente, facendone implodere i sistemi relazionali, minandone i comportamenti, scalfendone ogni sicurezza. E che costringe i due principali protagonisti a confrontarsi con il senso della perdita, ridisegnando le proprie traiettorie esistenziali, ripensando i propri codici morali.

Per Johan e per Anna il percorso di vita che ha inizio con il tragico evento raccontato nel prologo è infatti molto più di una semplice elaborazione di un lutto (per lei) o della necessità di liberarsi di un soffocante senso di colpa (per lui). È un percorso di sopravvivenza («possiamo sopravvivere a qualsiasi cosa» ci ricorda la voice-over di Johan) che ha a che vedere con la scelta e con la menzogna, con la perversione e con la passione, con lo scambio e con il perdono. Un tragitto dove non solo Vita e Morte si con-fondono, ma dove etica ed esistenza s’intrecciano indissolubilmente, e la cui fine, come prevede ogni esperienza di ri-nascita, si rispecchia nell’inizio. Un percorso a tappe/stazioni esattamente come quello del treno che, da Stoccolma Est, porta ogni mattino i due protagonisti verso il centro.

C’è da dire che tale percorso è ben accompagnato dallo script firmato da Pernilla Oljelund, il cui tessuto narrativo sembra iscriversi perfettamente nella tradizione della drammaturgia iperborea (come non pensare allo Stationendrama strindberghiano) e dove il gioco di echi e di rimandi, di sospensioni e di rispecchiamenti si configura in una solida Ringkomposition. Così come i due personaggi principali del film sono ben assistiti dalle interpretazioni di due degli attori più noti del panorama attoriale scandinavo: lo svedese Mikael Persbrandt nel ruolo di Johan (attore bergmaniano – il cui sguardo algido e fragile crea un mobile contrasto con la solidità della corporatura – recentemente segnalatosi per la sua interpretazione ne In un mondo migliore di Susanne Bier) e la danese Iben Hjejle nel ruolo di Anna (anch’essa con una cospicua filmografia alle spalle in cui spicca il ruolo di Lise ne Il grande capo di Lars Von Trier). Meno convincente è invece la regia di Simon Kaijser da Silva, regista con una giovanile passione per il fumetto e con una discreta esperienza televisiva (ha diretto molte fiction in patria), qui al suo primo film per il grande schermo. Al di là di alcune soluzioni discutibili (come ad esempio quella della voice-over del protagonista), Kaijser da Silva infatti si fa spesso prendere la mano dalla voglia di sottolineare ogni gesto, ogni minima fluttuazione emotiva dei suoi personaggi abusando di ralenti e slow-motion, laddove lo sguardo, proprio per la geometrica essenzialità dello script, probabilmente richiederebbe una minore empatia.

Esattamente come le esistenze ivi ritratte, il film vive di alti e bassi. Stockholm East è insomma un lavoro che lascia intravedere le grandi potenzialità del cinema svedese e, più in generale, della cinematografia scandinava, ma che non riesce a esprimerle appieno. Giudizio sospeso, in attesa che arrivi la prossima stazione.

Info
Il trailer di Stockholm East.

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