The Woman in Black

The Woman in Black

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Il cinema anglosassone alla riscoperta del gotico, ma The Woman in Black di James Watkins si impantana nei luoghi comuni del genere.

La dama nera uccide sette volte (o anche più)

Arthur Kipps, un giovane avvocato londinese, si reca in uno sperduto villaggio per occuparsi dell’eredità di una cliente defunta. Qui si imbatte in una serie di eventi sinistri e inquietanti: il fantasma di una donna aleggia sull’intero villaggio ed è in cerca di vendetta… [sinossi]

Il cinema anglosassone alla riscoperta del gotico. Per quanto l’affermazione possa apparire apodittica e semplicistica rispetto alla ramificata complessità della produzione cinematografica a Londra e dintorni, non c’è dubbio che l’uscita a pochi mesi di distanza di due horror come 1921 – Il mistero di Rookford di Nick Murphy e The Woman in Black di James Watkins suggerisca un rinnovato interesse nei confronti dell’orrore classicamente inteso. Dopo un decennio vissuto per il genere all’ombra della palingenesi panasiatica – il j-horror, il k-horror, la produzione thailandese – sembra rafforzarsi un ritorno alle radici: gli spiriti vendicativi tornano a essere dunque i “buoni” vecchi fantasmi di una volta, infestatori di dimore vetuste e abbandonate, o giù di lì.

È il caso anche della magione in cui si ritrova il giovane avvocato Arthur Kipps, che ha perduto la moglie ed è rimasto solo a crescere il figlioletto: il suo capo lo spedisce in un remoto villaggio come ufficiale testamentario di un’anziana donna, morta di recente. Il savio e coraggioso Arthur non sa però che dovrà scontrarsi con una maledizione, quella della dama in nero, che sta sterminando i bambini della zona. Il trentaquattrenne Watkins, che si è fatto le ossa nell’ambiente dirigendo l’interessante esordio Eden Lake (Michael Fassbender e Kelly Reilly a guidare le fila del cast), si confronta stavolta con The Woman in Black, celebre romanzo che Susan Hill diede alle stampa nel 1983: prima dell’adattamento di Watkins la novella è stata tradotta in teatro, in radio e in televisione. La trasposizione sul grande schermo prevede un completo rovesciamento del romanzo già dalla premessa iniziale: se sulla pagina Kipps è in procinto di sposarsi al momento in cui gli viene affidato lo spinoso caso, nel film di Watkins non solo è ampiamente maritato, ma è persino già vedovo. Una scelta radicale che muta completamente la struttura psicologica del personaggio protagonista, senza però che la pellicola ottenga benefici particolari: se il contrasto tra giovane rampante e carico di speranze e l’ambiente cupo e oppressivo nel quale si trovava a operare rendevano fiammeggianti le pagine del romanzo della Hill, la postura dimessa e sconfitta che è la cifra stilistica di Daniel Radcliffe nel film si appiattisce sul depresso contesto umano circostante. Alla ricerca di venature melanconiche e sconfitte, il cineasta britannico poggia interamente la sua storia sul giovane attore divenuto celebre a livello mondiale per la sua interpretazione del mago Harry Potter nella fortunata saga tratta dall’eptalogia letteraria di J.K. Rowling: una soluzione inevitabile, per una sfida che Radcliffe affronta con notevole buona volontà, ma non sempre guidato da una valida ispirazione attoriale. Non che la responsabilità dell’andamento ondivago del film sia da addossare tutta sulle spalle di Radcliffe, ovviamente: la sceneggiatura, opera della scafata Jane Goldman (Stardust, Kick-Ass, Il debito, X-Men: L’inizio), funziona infatti solo in parte. Le apparizioni del terribile fantasma sono tutte piuttosto riuscite – per quanto monotone –, ma per esempio non vengono sfruttati a dovere i personaggi secondari, relegati inesorabilmente sullo sfondo. Perfino la lunga sequenza notturna nella casa infestata, che occupa in pratica la seconda metà del film, si presenta disomogenea, alternando momenti di reale suspense (il primo ingresso dell’avvocato nella stanza dove si svolsero alcuni dei crimini più efferati) a stanche ripetizioni del medesimo schema. Ammirevole dunque la scelta di non lasciarsi prendere la mano dal grand guignol, ma saper maneggiare con cura una materia “atmosferica” come il gotico non è cosa da tutti, e a The Woman in Black avrebbe giovato una regia più esperta e sicura di sé.

Quel che ne viene fuori è al contrario un film ricco di buone intenzioni ma destinato a non lasciare traccia di sé negli anni a venire: una ghost-story eccessivamente ectoplasmatica e impalpabile, che non ha il coraggio di osare fino in fondo e spera forse che Radcliffe compia l’incantesimo giusto per trascinare le folle in sala. Ma Hogwarts è lontana, purtroppo.

Info
The Woman in Black, trailer.
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