Cogan – Killing Them Softly

Cogan – Killing Them Softly

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Presentato in concorso al Festival di Cannes, Cogan – Killing Them Softly lavora sul significante e sul significato di termini come popolo e nazione, valori e denaro, onestà e malavita. E allo stesso tempo gioca con le regole del crime movie, iniettando negli schemi ricorrenti del genere, nel ripetersi dei cliché, il virus della verità.

Dio benedica l’America

Per stanare e punire due ladruncoli che hanno rapinato una bisca clandestina, la mafia assolda l’esperto killer Jackie Cogan, ma il compito si rivelerà più difficile del previsto, tra direttive dall’alto poco chiare e malavitosi fuori allenamento e dediti a sesso e alcool… [sinossi]
Blest with vict’ry and peace, may the Heaven-rescued land
Praise the Power that hath made and preserved us a nation.
Then conquer we must, when our cause it is just,
And this be our motto: “In God is our Trust.”
The Star-Spangled Banner [1]

Scorre seguendo due direttrici, prefiggendosi due diversi obiettivi, il terzo lungometraggio di Andrew Dominik, Cogan – Killing Them Softly, presentato in concorso alla sessantacinquesima edizione del Festival di Cannes. Apparentemente cinema di genere che replica un meccanismo portato un numero infinito di volte sul grande schermo, il film del cineasta di Wellington, Nuova Zelanda, è un duro atto d’accusa nei confronti della società statunitense, una metafora scoperta dell’ipocrisia insita nella natura e nella genesi stessa del colosso a stelle e strisce.
Tratto da un romanzo di George V. Higgins, lo script di Dominik non ha intenzione di fare prigionieri o sconti, risalendo addirittura fino al peccato originale, alle parole di Thomas Jefferson, tra i padri fondatori degli Stati Uniti, terzo presidente e volto reso immortale dal Monte Rushmore. Insomma, uno dei simboli della storia e dell’orgoglio yankee. Dominik mette in scena la frantumazione del sogno americano, lo svelamento della grande bugia: discorso dopo discorso, tra retorica e ipocrisia, l’illusione di democrazia ed equità della Costituzione si è autoalimentata fino a Bush, fino a Obama. Yes We Can! Niente sconti, come detto.

L’attacco frontale alla potenza americana, privo delle suggestioni nostalgiche di Non è un paese per vecchi di Ethan e Joel Coen, esplode fragorosamente nella sequenza finale ma attraversa l’intera pellicola. Radio e televisori sono costantemente sintonizzati sui discorsi dei politici, sulle questioni economiche, sulla crisi e sugli scandali finanziari: un martellamento incessante, una sorta di contro colonna sonora che a tratti prende il sopravvento sulle immagini e sui dialoghi. Un brusio di fondo, un fastidioso vocio che si trasforma in frastuono semantico: Cogan – Killing Them Softly lavora sul significante e sul significato di termini come popolo e nazione, valori e denaro, onestà e malavita. E allo stesso tempo gioca con le regole del crime movie, iniettando negli schemi ricorrenti del genere, nel ripetersi dei cliché, il virus della verità. La sorte di Markie Trattman (Ray Liotta, attore che meriterebbe migliore considerazione), Frankie (Scoot McNairy), Russel (Ben Mendelsohn) e Johnny Amato (Vincent Curatola) è infatti segnata fin dalla prima inquadratura: sono vittime sacrificali di un sistema che si rigenera nella reiterazione, nella finzione come nella vita reale – nella malavita, nella politica, nei vertici aziendali i pesci piccolo continuano a soccombere, a essere divorati. La periferia resta periferia. Bush e Obama usano le stesse parole. Il business è l’unica verità, il principio fondante, la religione di stato.

Con una messa in scena sempre molto ricercata – l’esasperatissimo ralenti dell’omicidio di Trattman; la mdp nella portiera della macchina; le ellissi, le dissolvenze, le distorsioni del sonoro e delle immagini per descrivere lo stato di alterazione di Russel; il fuori campo del primo pestaggio di Trattman – che sfiora pericolosamente l’autocompiacimento e con dialoghi e alcune scelte di regia (ancora il fuori campo di Trattman) che rimandano al cinema di Tarantino, in primis Le Iene – Cani da rapina, Dominik si conferma regista e sceneggiatore ambizioso e perfettamente consapevole del proprio talento. Come nel precedente L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, poco fortunato al box office, il dispiegamento di star e di talenti è fuori dal comune. Fondamentale, ovviamente, il doppio ruolo di Brad Pitt, protagonista e produttore. Per Richard Jenkins, incravattato emissario della malavita, e James Gandolfini, killer in overdose di alcool e sesso, i ruoli sono persino troppo facili.

Note
1.
The Star-Spangled Banner è l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America, ufficialmente adottato dal Congresso nel 1931 ma già in uso da alcuni decenni.
Info
Il sito ufficiale di Cogan – Killing Them Softly.
Cogan – Killing Them Softly su twitter.
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