Why Don’t You Play in Hell?
di Sion Sono
Dopo le riflessioni post-Fukushima, Sion Sono torna ai temi classici del suo cinema esasperandoli, se possibile, ancora di più. Il risultato è Why Don’t You Play in Hell?, un parossistico film-summa della sua opera.
Gli yakuza Muto e Ikegami sono a capo di due clan in guerra da anni. Il primo cerca anche di rispondere alle ambizioni della figlia che vorrebbe diventare una star del cinema, mentre il secondo è vittima di una fascinazione ossessiva nei confronti della ragazza. Il regolamento dei conti diventerà un film in cui saranno coinvolti, in maniera più o meno entusiastica, l’aspirante regista Hirata e un timido ragazzo di nome Koji… [sinossi]
Un regista come Sion Sono appartiene a quella magnifica categoria di cineasti che mutano continuamente pelle, come allo stesso tempo rosi e alimentati dal demone della sfida, dall’inesausto desiderio di superare e abbattere limiti e barriere del cinema, della morale e del cosiddetto senso comune. Così, dopo il radicale e disperato affondo su Fukushima – prima con Himizu (2011) e poi con The Land of Hope (2012) – che aveva assunto delle forme molto vicine alla classicità (in particolare, per The Land of Hope, è a Ozu che si guardava), Sono con Why Don’t You Play in Hell? riprende a scandagliare le dinamiche della violenza e della ribellione adolescenziale, facendo tornare ovviamente alla memoria quel Love Exposure che gli ha dato la notorietà internazionale. Ma il paragone con il suo capolavoro del 2009 appare comunque limitante: Sono infatti, forse proprio per reazione alla temporanea classicità del suo film precedente, esaspera e moltiplica il parossismo estetico e tematico che caratterizza buona parte del suo cinema, fino ad arrivare a una folle bulimia catartica.
Schematizzando, nel filone adolescenziale di Sono si possono trovare due generi fondanti e fondativi: il bildungsroman, in cui il giovane idealista appassionato di cinema rimane poi deluso dalle difficoltà della vita (elemento ovviamente autobiografico che trova la sua forma più compiuta in Bicycle Sighs del 1990), e il melodramma, in cui l’amore tra due ragazzi passa attraverso una serie indicibile di prove (e qui, di nuovo, Love Exposure è l’esempio più lampante). Stavolta, Sono è riuscito nell’impresa di far rientrare i due generi in un unico film, aggiungendovi la descrizione del milieu yakuza con due clan contrapposti e in conflitto tra loro.
Roboante, velocissimo, corale ma con almeno sei personaggi che, pirandellianamente, avrebbero meritato di essere protagonisti di film diversi, Why Don’t You Play in Hell? unisce la gioia di trovate e gag costanti, irrefrenabili e compulsive con la riflessione metacinematografica. Ma, niente teorizzazioni, solo pratica: anzi, il nuovo film di Sono è il meta-cinema più corporeo e corporale che si sia mai visto. Non tanto e non solo perché si può (e si deve) morire per essere fedeli al Dio del Cinema, quanto perché ci si deve auto-distruggere, auto-dilapidare, dissanguare, staccarsi membra, ecc., per “portare a casa” il film. E per poi potersi lasciare andare alla gioia della catarsi: la corsa follemente esultante del regista con le sue pellicole insanguinate è un’immagine insieme lancinante e spassosa, liberatoria ma anche crudele, visto che ha lasciato dietro di sé una scia di morti.
Più che in passato, inoltre, Sono rinuncia qui a pose riflessive tendenti alla estetizzazione: l’unica situazione decisamente pittorica è il lago di sangue che la figlia del boss trova ritornando a casa; ma è uno spazio subito attraversato e percorso rapidamente dalla bambina come se si trovasse su uno scivolo, a dimostrazione di come tutti i personaggi in scena – e Sono per primo dietro la macchina da presa – abbiano un’urgenza di vivere, di esperire e di esplodere, una dinamicità che è la natura stessa del cinema e che trova la sua mirabile apoteosi nella sequenza finale del film – la battaglia tra i due clan avversi – in cui, come per una crasi miracolosa tra Effetto notte e Il mucchio selvaggio, si spara e si gira fino all’ultima goccia di sangue.
Info
Il sito giapponese di Why Don’t You Play in Hell?.
- Genere: action
- Titolo originale: Jigoku de naze warui
- Paese/Anno: Giappone | 2013
- Regia: Sion Sono
- Sceneggiatura: Sion Sono
- Fotografia: Hideo Yamamoto
- Montaggio: Jun'ichi Itō
- Interpreti: Fumi Nikaidō, Gen Hoshino, Hiroki Hasegawa, Jun Kunimura, Shinichi Tsutsumi
- Colonna sonora: Sion Sono
- Produzione: Bitters End, Gansis, King Record Co.
- Durata: 126