Venezia 2013 – Minuto per minuto

Venezia 2013 – Minuto per minuto

Annotazioni, pensieri, piccole e grandi polemiche: il resoconto della vita quotidiana alla Mostra del Cinema di Venezia 2013.

Torna puntualmente con la Mostra del Cinema di Venezia 2013, che taglia il traguardo della settantesima edizione, il nostro Minuto per Minuto. Cosa ci regalerà il secondo anno del Barbera-bis? Lo potrete scoprire attraverso la solita cronaca dalla laguna: annotazioni sparse sui film, sulle ovazioni e i fischi, sulle tendenze, le voci, le piccole e grandi polemiche. Buona lettura!

Sabato 7 settembre | Venezia 2013
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19.41
E il Leone d’Oro della Settantesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia se lo accaparra Gianfranco Rosi per Sacro GRA. L’Italia torna a vincere al Lido dopo quindici anni. Una scelta comunque piuttosto coraggioso e che noi, nel nostro piccolo, condividiamo… [r.m.]

19.38
Il Gran Premio della Giuria finisce nelle mani di Tsai Ming Liang per Stray Dogs. A questo punto il Leone d’Oro potrebbe andare a Gianfranco Rosi o Philippe Garrel… [r.m.]

19.35
Iniziamo a fare sul serio. Il Leone d’Argento per la migliore regia va a Alexandros Avranas per Miss Violence. Una delle scelte più detestabili della giuria, finora. Si vede che le più trite provocazioni borghesi attirano ancora simpatia… [r.m.]

19.33
Il migliore attore della settantesima Mostra è invece Themis Panou, padre padrone e violentatore in Miss Violence di Alexandros Avranas. Qualche meritato buu parte dalla sala stampa. [r.m.]

19.30
La Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Elena Cotta per Via Castellana Bandiera di Emma Dante. Un riconoscimento a dir poco generoso. [r.m.]

19.28
Il premio Marcello Mastroianni, assegnato a un attore o attrice emergente, va ovviamente a Tye Sheridan per Joe di David Gordon Green. Forse il premio più prevedibile dell’intero palmarès… [r.m.]

19.26
La migliore sceneggiatura viene assegnata a Steve Coogan e Jeff Pope, per lo script di Philomena di Stephen Frears. Almeno si è scongiurato un premio più importante. [r.m.]

19.24
Premio Speciale della Giuria a The Police Officer’s Wife di Philip Groning, un po’ a sorpresa… [r.m.]

19.20
Il Leone del Futuro per la migliore opera prima va a White Shadow di Noaz Deshe, presente nella selezione della Settimana della Critica (vinta invece da Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleotto) [r.m.]

19.17
I primi premiati ufficiali della settantesima Mostra arrivano da Orizzonti: il Premio Speciale della Giuria va a Ruin di Michael Cody e Amiel Courtin-Wilson, la Migliore Regia a Uberto Pasolini per Still Life e la sezione se la aggiudica nel complesso Robin Campillo con Eastern Boys. [r.m.]

12.17
In una sala stampa in cui tutti, oramai, attendono solo il verdetto serale per posare la pietra tombale anche per questa settantesima edizione, è divertente notare come si rincorrano notizie senza alcun fondamento, riprese, rimodellate e ingigantite. In questo bailamme critico viene naturale bacchettare la direzione della Mostra per il modo in cui sono stati gestiti i film restaurati di Venezia Classici: l’ultimo giorno in giro per le sale non c’è praticamente nulla da vedere, eppure vengono proposti solo ed esclusivamente Paisà e Il mio amico Ivan Lapshin… [r.m.]

10.22
Iniziamo col tirare le somme, abitudine consolidata degli ultimi giorni di Mostra. La giuria presieduta da Bernardo Bertolucci dovrà trovare un vincitore tra una messe di titoli altalenanti, tra opere folgoranti e folgorate, esordi balbuzienti e ultime regie di autori monolitici. Dando per scontato che all’Italia qualche premio dovrà pure arrivare, la speranza è che si decida di puntare su Sacro GRA di Gianfranco Rosi – tra i seri candidati anche alla vittoria finale, almeno a dare retta ai rumours che si rincorrono a Lido – tralasciando il mediocre Via Castellana Bandiera di Emma Dante e il disastroso L’intrepido di Gianni Amelio. L’agone per la conquista del Leone d’Oro potrebbe/dovrebbe essere circoscritta a pochi titoli (oltre al già citato Rosi, Stray Dogs di Tsai Ming Liang, La Jalousie di Philippe Garrel, The Wind Rises di Hayao Miyazaki e Night Moves di Kelly Reichardt), anche se non sono da escludere sorprese come The Police Officer’s Wife di Philip Gröning o, ma appare davvero difficile, The Unknown Known di Errol Morris. Bertolucci potrebbe lasciarsi sedurre dagli umori e dallo stile di Tom à la ferme di Xavier Dolan, a sua volta in corsa per la Coppa Volpi (tra gli interpreti maschili potrebbero avere chance anche Scott Haze, Lee Kang sheng, Nicolas Cage e, perché no, David Zimmerschied, mentre le donne più accreditate sono Judi Dench e Alexandra Finder), e soprese – non proprio positive – potrebbero arrivare da un premio a Miss Violence di Alexandros Avranas. Rischia di restare fuori dai giochi l’ottimo Child of God di James Franco, con Amos Gitai che potrebbe ricevere un riconoscimento come miglior regista per il complesso piano sequenza su cui poggia le basi Ana Arabia. Si vedrà… [r.m.]

Venerdì 6 settembre | Venezia 2013
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Un affresco composito sulla Algeri contemporanea: è Les Terrasses di Merzak Allouache, ultimo film in concorso al festival. Tutto ambientato su una serie di terrazze della metropoli nordafricana, il film racchiude nei piccoli microcosmi che le abitano una serie di tensioni sociali e storiche irrisolte: dagli aspri lasciti della guerra franco-algerina alla violenza e discriminazione delle donne, da antichi rituali a speculazioni edilizie. Nonostante possa risultare a tratti schematico e poco coraggioso, Les Terrasses è un film di ampio respiro che per struttura, eleganza stilistica e forza delle sue storie, pare destinato a sedurre un pubblico internazionale e, chissà, anche la giuria di questa Venezia 70. A domani per l’atteso verdetto. [d.p.]

14.03
La Mostra si avvia alla conclusione e in Orizzonti arriva una delle visioni più sorprendenti: Mashi va gorbeh (Fish & Cat il titolo internazionale) di Shahram Mokri nasconde in un piano sequenza di due ore e un quarto non solo un thriller – la storia racconta dei gestori di un piccolo ristorante che approfittano di un gruppo di studenti campeggiatori per rifornire di carne fresca il loro frigorifero – ma anche una struttura narrativa molto originale, basata su una serie pressoché infinita di loop temporali. Allo stesso tempo Fish & Cat svolge anche la funzione di panoramica a schiaffo sulla società iraniana degli ultimi anni e teorizza sulla messa in scena con una disillusa presa di posizione politica: nell’Iran della censura l’unico modo per portare a termine un film che esuli dalla prassi di regime è quello di ridurre il girato a un’unica sequenza, eliminando orpelli che potrebbero dilatare il tempo delle riprese. [r.m.]

10.42
Dopo gli ultimi fuochi di ieri con Rosi e Garrel, la giornata di oggi presenta l’ultimo film in concorso, Les Terrasses del regista algerino Merzak Allouache. Vi sapremo dire… Intanto ieri sera è stata la volta de La prima neve, il nuovo film di Andrea Segre ospitato nella sezione Orizzonti: un’opera molto interessante, diretta con grazia e sceneggiata con stile (quasi sempre) limpido. Forse un piccolo passo indietro rispetto a Io sono Li, ma vedendo la selezione italiana del concorso, con i mediocri parti creativi della Dante e di Amelio, viene naturale chiedersi perché a La prima neve sia stato impedito di gareggiare per il Leone d’Oro. [r.m.]

 

Giovedì 5 settembre | Venezia 2013
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23.05
Non tutti i remake vengono per nuocere. Unforgiven (Yurusarezaru Mono) di Lee Sang-il unisce pistole e katane, trasportando il western di Eastwood nell’isola di Hokkaidō, nel nord del Giappone, tra gli ainu e le montagne innevate. Un jidaigeki di frontiera con ambizioni da box office, sorretto da un valido cast. Non indispensabile, ovviamente senza sorprese, ma più che godibile. [e.a.]

18.45
Mentre le Femen stanno mandando in sollucchero i fotografi intervenuti al Lido, le Giornate degli Autori hanno ospitato in Sala Darsena Traitors, thriller in odore di punk-rock diretto da quel Sean Gullette che i più ricorderanno per essere stato il protagonista di π – Il teorema del delirio di Darren Aronofsky. Un viaggio nelle distonie del Marocco contemporaneo, tra rimandi a I’m Bored with the U.S.A. dei Clash e accenni di cinema civile. Non completamente convincente ma assai interessante, Traitors punta gran parte del suo fascino sull’interpretazione della giovane Chaimae Ben Acha e sulle immagini notturne di una Tangeri che sembra ribollire di spirito rivoluzionario… [r.m.]

18.20
Le ultime due opere presentate all’interno della Settimana Internazionale della Critica non deludono assolutamente le aspettative, confermando l’alto livello dei film selezionati. Siamo partiti questa mattina con l’anteprima stampa di Las analfabetas di Moisés Sepúlveda – film di chiusura di questa 28^ edizione della SIC. Due donne di età diversa – Ximena (Paulina García) e Jackeline (Valentina Muhr) – affrontano, tra leggerezza e dramma, cosa voglia dire essere analfabeti. L’analfabetismo potrebbe apparirci lontano come tema, ma non è così tanto più se nel film in questione non si scava solo nell’incapacità di saper leggere e scrivere, ma vengono a galla tanti aspetti comunicativi. A proposito di comunicazione e incomunicabilità, vi consigliamo di non perdervi l’ultimo passaggio (domattina h11.30 in Sala Casinò) di Återträffen (La riunione) di Anna Odell. Si parla spesso di bullismo, ma non sempre si lascia il segno come, invece, fa questo film svedese. La Odell parte dalla propria esperienza per costruire un film con una struttura tutta da scoprire e originale. L’artista svedese, trattando attraverso l’arte una ferita così privata, problematizza un male sociale diffuso. [m.l.t.]

15.00
Dopo dieci giorni di festival il concorso inizia finalmente a mostrare qualcosa di davvero interessante: dopo Tsai e Rosi è stata la volta de La Jalousie, nuovo parto creativo di Philippe Garrel. Alcuni hanno storto il naso alla fine della visione affermando tra i denti “vabbè, è il solito film di Garrel”, e può essere considerata una riflessione piuttosto attinente alla realtà visti e considerati la fotografia in bianco e nero, la dolorosa storia d’amore, lo sguardo sugli affetti familiari, lo studio certosino dei primi piani. Sarà, a noi francamente è sembrato più interessante lasciarci cullare da una storia fragile e sofferta, gioiosa e minimale di fronte alla quale non si può che riconoscere la cristallina classe di un poeta visivo. [r.m.]

11.15
A proposito di possibili vincitori, avevamo dimenticato di aggiornarvi su Stray Dogs, nuovo e ultimo lungometraggio di Tsai Ming-liang presentato ieri sera alla stampa in Sala Perla. Un’opera rarefatta, dolorosa e magnifica, in cui Tsai racchiude tutto il proprio percorso autoriale, facendolo deflagrare una volta per tutte. E il piano sequenza di Lee Kang Sheng alle prese con un cavolo/donna strappa via interi brandelli di corpo. [r.m.]

11.09
Dopo i deludenti esiti di Emma Dante e Gianni Amelio, Sacro GRA di Gianfranco Rosi riporta un raggio di sole sulla spedizione italiana alla Mostra. Rapsodico viaggio nell’umanità che vive ai margini della Capitale, il documentario di Rosi convince appieno, dimostrando di saper narrare senza rinunciare mai alla volontà di indagare la realtà. Ne viene fuori uno splendido spaccato umano che in un certo modo ricorda l’afflato popolare delle commedie corali degli anni Cinquanta, dirette da registi come Anton Giulio Majano. Chissà se la giuria avrà il coraggio e la voglia di assegnare al film un premio che sarebbe meritato al di là di ogni dubbio. [r.m.]

 

Mercoledì 4 settembre | Venezia 2013
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18.21
Juno Mak esordisce alla regia con Rigor Mortis, horror ospitato all’interno delle Giornate degli Autori. Mescolando gli ectoplasmi tipici del j-horror con le atmosfere fantastiche della Hong Kong anni Ottanta, Mak firma un’opera incompiuta ma a tratti molto affascinante, soprattutto nella scelta delle scenografie e delle timbriche chiaroscurali. [r.m.]

15.24
Alla fine de La reconstrucción di Juan Taratuto ti volti e vedi la profonda commozione di chi è attorno a te. Basta solo questo a commentare un film forte e molto comunicativo. Le parole hanno un grande potere, ma anche i silenzi – il cinema sudamericano è esemplificativo in tal senso. Elaborare il dolore non è facile, si attraversa una gamma di emozioni e si può anche finire in balia delle stesse. Con uno stile asciutto, Taratuto colpisce nel segno grazie a dei magnifici interpreti. Vi consigliamo di recuperarlo venerdì 6 alle h. 9.00 in Sala Casinò. A proposito di emozioni e consci che ci sono modi e modi di rappresentarle, questa mattina abbiamo visto l’ultimo film di Patrice Leconte, pronto a raccontare nuovamente passioni e desideri adattando il romanzo di Stefan Zweig Journey Into the Past. Une promesse, avvalendosi di due attori inglesi come Rebecca Hall e Alan Rickman, risulta una pellicola ben confezionata (tanto più per la minuzia di costumi e scene), che però non coinvolge quanto Leconte avrebbe sperato, svolgendo trame e atmosfere già viste. [m.l.t]

13.04
Contrordine rispetto a quanto scritto una decina di ore fa: Casa Zoran da domani sarà di nuovo pronta ad accogliere tutti coloro che sono alla ricerca di vino, san daniele, uova sode e tiri a freccette. Si prospetta un finale di festival a dir poco etilico… Prosit! [r.m.]

12.25
Un po’ abbacchiati da un Concorso finora altalenante, con più ombre che luci, abbiamo cercato rifugio nella sezione “Venezia Classici”. Una scelta decisamente felice. Alle 9.15 abbiamo finalmente recuperato Little Fugitive, scritto e diretto nel 1953 da Morris Engel, Ruth Orkin e Ray Ashley. Una pellicola indie a stelle e strisce, fondamentale dal punto di vista storico e che ha influenzato la Nouvelle Vague. Un film piccino piccino, girato con un budget risicato, incollato al girovagare di Joey, bimbetto in fuga per poche ore. Una salutare boccata d’aria fresca. [e.a.]

11.40
In questi giorni la Mostra celebra il suo settantenario con la riproposizione di cinegiornali d’epoca dedicati alle edizioni del passato e proiettati prima dei film in programmazione. Ad anticipare il film di Amelio in concorso, L’intrepido, c’era stamattina il resoconto della edizione del 1963 e fa una certa impressione vedere che Francesco Rosi, vincitore allora del Leone d’Oro con Le mani sulla città, venne fischiato sonoramente. A cinquant’anni di distanza fa, al contrario, ugualmente impressione la benevolenza con cui è stato accolto il disastroso film del regista di Il ladro di bambini: qualche fischio in fin dei conti sporadico e applausi di cortesia; evidentemente la democristianità è rimasta al potere. In effetti dispiace dirlo, ma Amelio ha probabilmente realizzato il suo peggior film, completamente sconclusionato sul piano della scrittura e degli intenti, con un Albanese che, tra Chaplin e il buon samaritano, è intollerabile nel mostrarsi populisticamente buono e generoso. Una specie di insopportabile gregario della vita e del lavoro degli altri, che sostituisce quando questi devono assentarsi. Ma, se Amelio avesse voluto davvero fare la favoletta sulla crisi italiana, allora avrebbe dovuto mettere in scena un Paese in cui il lavoro non c’è e non un personaggio che si trova a dover fare migliaia di lavori diversi. Così, dopo Via Castellana Bandiera, l’altro film italiano presentato in concorso finora, anche L’intrepido mostra l’ambizione di parlare della crisi – culturale ed economica – italiana ma sempre da una prospettiva asfittica, chiusa in se stessa e soprattutto senza il piacere di raccontare una storia. [a.a.]

02.45
Stavamo per dimenticarcelo! Oggi, purtroppo, ha chiuso i battenti Casa Zoran, il luogo (di perdizione etilica) messo in piedi negli ultimi quattro giorni per promuovere il film di Matteo Oleotto, in concorso alla SIC. Tra chiacchiere, bevute, mangiate, balli e tiri a freccette se n’è andata anche la festa finale: ciao Casa Zoran, ci mancherai! [r.m.]

02.35
Aggiornamento notturno per rievocare un pomeriggio/sera passato in compagnia di vari documentari. Prima è stata la volta di un dittico quantomai bizzarro come accostamento: nella piccola Sala Casinò sono infatti stati proiettati uno di seguito all’altro Anna Magnani a Hollywood di Marco Spagnoli e Double Play: James Benning and Richard Linklater di Gabe Klinger. Sul primo preferiamo sorvolare, vista la piattezza televisiva sprigionata da ogni fotogramma, mentre assai più interessante è il discorso valido per il documentario di Klinger: mettendo l’uno di fronte all’altro due cineasti all’apparenza distanti anni luce ma in realtà animati da una profonda amicizia e dal rispetto reciproco per i rispettivi lavori, Klinger riesce a ragionare sul cinema, sulla vita, sulla concezione dell’arte e sulla sfida infinita della creazione. Due (ahinoi misconosciuti) maestri a confronto. Applausi meritati. Al termine della proiezione siamo fuggiti per raggiungere la Sala Darsena dove trovava collocazione il primo dei due doc in concorso, The Unknown Know di Errol Morris, una lunga intervista a Donald Rumsfeld. Alcuni passaggi sono anche piuttosto interessanti, ma risulta agghiacciante come a conti fatti Rumsfeld batta su tutta la linea Morris, incapace di reggere il gioco al massacro (linguistico, storico, morale) allestito dal vecchio marpione. Una mezza delusione. [r.m.]

 

Martedì 3 settembre | Venezia 2013
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14.56
E meno male che la gente doveva aver ormai abbandonato il Lido! La proiezione in Darsena di Zoran, il mio nipote scemo ha riscontrato il tutto esaurito, con alcuni accredidati rimasti a osservare da fuori i cancelli chiusi. Ancora peggio è andata all’interno del Casinò, preso d’assalto da un’orda disumana alla ricerca di un posto in Sala Perla, dove è programmato Moebius di Kim Ki-duk: centinaia di persone respinte all’uscio. Chissà se questo porterà a proiezioni supplementari… [r.m.]

14.50
Retrogusto amarissimo dopo la visione di Harlock: Space Pirate. Il film di Shinji Aramaki affastella un’inutile tridimensionalità, la scelta discutibile della computer grafica, l’azzeramento dell’icona Harlock, la poco brillante motion capture, una sceneggiatura farraginosa e via discorrendo. Del glorioso personaggio di Matsumoto resta davvero poco. Meglio tornare a Rintaro e al 1978. [e.a.]

14.40
Dopo il Leone d’Oro dello scorso anno con Pietà, torna al Lido, fuori concorso, Kim Ki-duk. Moebius – accolto da applausi in Sala Grande – è un divertissment grottesco con cui il regista coreano mette alla berlina il nucleo familiare piccolo-borghese, giocandolo intorno al tema dell’evirazione. Completamente muto, a tratti divertente, ma sostanzialmente esile e inerte; Buñuel è lontano mille miglia. [a.a.]

11:00
Bordate di fischi hanno accolto la proiezione mattutina di Under the Skin di Jonathan Glazer, in concorso al festival. Dopo l’intrigante Birth, Glazer aproccia questa volta la fantascienza a sfondo socio-filosofico per raccontare la storia di un’aliena predatrice di uomini che ha scelto come zona di caccia la Scozia. La creatura, incarnata da Scarlett Johansson, avrà qualche difficoltà di integrazione. Completamente assorbito dalla sua spasmodica ricerca di immagini belle, sensazionali, mai viste, Glazer si fa sfuggire il suo film dalle mani, lasciandolo scivolare rovinosamente nel ridicolo involontario. [d.p.]

 

Lunedì 2 settembre | Venezia 2013
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22.22
Nel pomeriggio la Sala Perla ha accolto uno dei più grandi maestri del cinema documentario mondiale, Frederick Wiseman. Il cineasta statunitense ha presentato l’eccellente At Berkeley, immersione nella vita quotidiana di una delle più celebri università statali degli USA: quattro ore che lasciano ancora una volta a bocca aperta, dimostrazione di filosofia cinematografica che nessun elemento esterno sembra in grado di corrompere. [r.m.]

21.46
L’israeliano Amos Gitai prosegue la sua indagine sul concetto di casa e appartenenza con Ana Arabia, presentato stasera in concorso alla stampa lidense e accolto da applausi convinti. Nel film, girato in un unico piano sequenza, la giovane giornalista Yael si reca in visita alla famiglia di Hassan, arabo israeliano rimasto vedovo in seguito alla morte dell’amata moglie Ana Arabia. Ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, Ana, una volta trasferitasi nei pressi di Jaffa, si convertì all’Islam, proprio per amore del marito e finì per essere discriminata dal suo stesso popolo. Grazie ai movimenti fluidi e continui della mdp e ad uno script dalla scrittura raffinatissima, Gitai ci immerge nella quotidianità e nel passato di un gruppo di persone sospese tra due diverse appartenenze, intessendo un discorso profondo sulle radici, la convivenza e gli affetti. [d.p.]

21.21
Anche nel guazzabuglio cinematografico di Orizzonti, dove è possibile rintracciare tutto e il contrario di tutto, è arrivato il colpo al cuore (ribadiamo una volta di più che per il Sion Sono di Why don’t You Play in Hell? sarebbe stata cosa buona e giusta trovare un posto nel concorso ufficiale): Ruin è la conferma del talento di Amiel Courtin-Wilson, già approdato al Lido nel 2011 con lo straordinario Hail e qui accompagnato in co-regia da Michael Cody. Un poema visivo crudo e tenerissimo allo stesso tempo, opera finalmente in grado di dimostrare le peculiarità di ricerca della sezione Orizzonti… [r.m.]

21.10
La seconda settimana al Lido si è aperta con la proiezione in Sala Grande di The Armstrong Lie di Alex Gibney. Dopo Mea Maxima Culpa – uscito miracolosamente in Italia dato il tema (i preti pedofili) -, il regista americano torna ad usare la macchina da presa come un rasoio che affonda la lama nelle ombre della società e dei singoli uomini. Protagonisti della pellicola è l’inganno di Armstrong. Ripercorriamo la sua parabola esistenziale, così fortemente connessa al percorso sportivo, comprendendo come le scelte dell’uomo possono creare le condizioni per cui lo sport finisce per fagocitare la persona, oltre che il personaggio. [m.l.t]

14.10
Autori celebrati che zoppicano e giovani (giovanissimi!) cineasti che sgomitano, vitali, scomposti, iperproduttivi e traboccanti energia. Metabolizzata la delusione per Terry Gilliam, voltiamo pagina e segnaliamo l’estro del talentuoso Xavier Dolan, canadese, classe 1989, in Concorso a Venezia con Tom à la ferme. È il suo quarto lungometraggio, che ha scritto, diretto, interpretato, montato, prodotto. Ha persino curato i sottotitoli in inglese. Inarrestabile. Il Canada è un paese per giovani… [e.a.]

13.55
La schizofrenia della selezione veneziana solleva sempre più dubbi: già qualche giorno fa ci si domandava perché l’ottimo cinese Trap Street non fosse stato selezionato per il concorso e perché, al contrario, il greco Miss Violence aveva avuto questo riconoscimento (rivelandosi poi come il film che ha fatto più infuriare gli accreditati). Stamani però la questione si fa eclatante: da un lato un bollito e atrofizzato Terry Gilliam con The Zero Theorem, dall’altro il poco noto Steven Knight (già sceneggiatore di La promessa dell’assassino e regista di Redemption) che si rivela un ottimo metteur en scène con Locke. Qual è il problema? Che il primo, un autore lungamente celebrato, è stato selezionato per il concorso e non ne avrebbe avuto bisogno, mentre il secondo lo si relega fuori dalla competizione, venendo meno al compito principale di un festival (scoprire nuovi autori e soprattutto permettere ai loro film di avere la massima visibilità) e rendendo, tra l’atro, impossibile al protagonista assoluto del film di Knight, uno straordinario Tom Hardy, di vincere la Coppa Volpi. [a.a.]

11.56
Un tempo Terry Gilliam rappresentava l’epitome del cinema visionario in grado di flirtare con la grande industria. The Zero Theorem, in corsa per il Leone d’Oro, non fa altro che ribadire come quell’epoca sia da considerarsi finita: una narrazione atrofizzata e mai sorretta da una messa in scena appesantita dalla spasmodica corsa all’effetto (non più) speciale. Una cocente delusione. [r.m.]

 

Domenica 1 settembre | Venezia 2013
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17.22
La notizia non è nuova ma ribadirla è sempre necessario: il cinema portoghese ha lanciato l’allarme di una paralisi totale dell’industria della Settima Arte a Lisbona e dintorni. Vanno in rovina la Filmoteca Portoghese e l’Archivio Nazionale di Immagini in Movimento, senza che nessuno (a partire dal Partito socialista) abbia intenzione di muovere un dito. Per quanto può valere sosteniamo completamente il manifesto di protesta frmato da Miguel Gomes e Luis Urban, perché mai come in un periodo di crisi si può prescindere dall’investimento nella cultura. [r.m.]

17.14
Tra i film scelti nel Biennale College abbiamo recuperato in Sala Perla Mary is Happy, Mary is Happy di Nawapol Thamrongrattanarit, bizzarro bildungsroman basato su 410 tweet consecutivi pubblicati da tale Mary Malony: un frammentario viaggio nella vita quotidiana di una studentessa thailandese, a tratti immaturo nello stile ma in ogni caso affascinante e divertente. Produce Aditya Assarat. [r.m.]

17.10
Mattinata disastrosa oggi per il concorso veneziano. Dopo Miss Violence, delude anche Parkland di Peter Landesman, rigida, confusa e amorale ricostruzione dell’omicidio di J.F. Kennedy e dei giorni che seguirono l’evento luttuoso. Con un gusto scandalistico – il far vedere gli ultimi momenti di vita di J.F.K. – e un uso scorretto del materiale di repertorio – mischiato in un unico marasma con delle riprese fittizie fatte ad hoc -, Parkland vorrebbe riflettere sulla rivoluzione copernicana rappresentata dalla portata storica e simbolica delle immagini che registrarono la morte di Kennedy, finendo invece per essere figlio della peggiore televisione da reality show. A questo punto speriamo nel nuovo film di Xavier Dolan, in programma stasera, per sollevare gli animi [a.a.]

14.50
Mai fidarsi delle conferenze stampa. Spesso noiose, portano anche brutte notizie (ok, tanto si sapeva, ma l’ufficialità è un’altra cosa). Miyazaki si ritira, The Wind Rises è il suo ultimo film da regista. Si chiude un’epoca. Maledetta nostalgia. Maledetti moscerini. Qualcuno ha un fazzoletto? [e.a.]

12.20
Alcuni film vanno metabolizzati, soprattutto quando sono estremamente dolorosi, complessi, stratificati. Già in odore di linciaggio (“E i bambini? E i bambini?”, si chiederanno in molti), The Wind Rises di Miyazaki è l’ennesima conferma di una poetica sconfinata, di un cinema profondamente umanista, minimalista, di una visione politica e storica portata avanti con coerenza. Un’opera che scandaglia sogni e disillusioni, amore e tragedia. Intriso di cinema classico, da Ozu a Mizoguchi, The Wind Rises sembra un film di Takahata, una sorta di prequel di Una tomba per le lucciole. Un film che (ri)apre profonde ferite. [e.a.]

11.25
Prima cocente delusione del Concorso di Venezia 70: è Miss Violence di Alexandros Avranas, presentato stamane e accolto dalla stampa con deboli applausi e qualche fischio. Metafora fin troppo esplicita della crisi economica che affligge la Grecia, seppur slegato da chiare connotazioni temporali (dovremmo essere nei tardi anni ’80, ma non viene specificato), il film di Avranas ritrae con stile icastico una famiglia media ateniese che viene sconvolta dal suicidio della figlia undicenne nel giorno del suo compleanno. Naturalmente c’è del marcio in questo nucleo eterogeneo di consanguinei e non è troppo difficile intuire di cosa si tratti. Sterile esercizio di stile che ricorda vagamente il cinema di Ulrich Seidl deprivato però della sua sottile ironia, Miss Violence non va oltre il suo assunto di partenza e, tutto concentrato sulla sua rigida messinscena frontale, fallisce l’obiettivo di turbare o sconvolgere lo spettatore. Ammesso che fosse questo il suo vero scopo. [d.p.]

 

Sabato 31 agosto | Venezia 2013
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21.15
E’ tutt’altro che disdicevole Palo Alto, il film d’esordio di Gia Coppola, ennesima figura dell’albero genealogico coppoliano che si misura con la regia cinematografica, dopo Francis Ford, Sofia e Roman. Racconto adolescenziale giocato sui mezzi toni e su bei personaggi, Palo Alto – tratto da una raccolta di racconti di James Franco (che appare anche come interprete) – è un dramma delicato che pecca solo per un certo schematismo esistenziale (si deve andare o sulla buona o sulla cattiva strada, non c’è alternativa). Ma la neonata regista è giovane (è nata nel 1987) e crescerà. “Familista” anche la scelta dell’ottimo giovane protagonista, Jack Kilmer, figlio di Val che appare in un cameo lisergico. [a.a.]

18.30
Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla statura autoriale di Miguel Gomes, un capolavoro come Redemption non può che farli svanire completamente: venticinque minuti in cui le immagini di repertorio e le quattro voci narranti (in portoghese, italiano, francese e tedesco) compongono un quadro che, con ironia, intelligenza e classe cristallina riflette sul senso dell’immagine, sulla Storia, sulla politica e sul declino dell’occidente. Dispiace non poter entrare troppo nel dettaglio, per non anticipare nulla ai potenziali spettatori (avviso agli accreditati: ci sarà un’ultima proiezione alle 17.30 del 4 settembre in Sala Pasinetti), nel caso ci riserveremo il diritto di farlo in sede di recensione. Il corto di Gomes è abbinato a un altro lavoro sulla breve distanza, Con il fiato sospeso di Costanza Quatriglio: ottime intenzioni (il racconto è quello del caso giudiziario intorno al laboratorio di chimica farmaceutica dell’università di Catania, con alcuni studenti rimasti intossicati e uno in particolare, Emanuele, morto in seguito a un tumore ai polmoni), qualche bella idea di regia, e la sensazione fastidiosa qua e là di un progetto costruito un po’ troppo a tavolino. [r.m.]

14.00
“Venezia Classici – Restauri” non può colmare un vuoto: l’accantonamento delle retrospettive, alla Mostra come in tanti altri festival, è un danno grave, una scelta di campo che guarda più al soldo e alle prime pagine dei giornali che allo spessore culturale di un evento. Fatta questa premessa, con l’aggiunta che la suddetta sezione non può che essere caotica, non possiamo che spellarci le mani per il restauro e il recupero dell’esordio al lungometraggio di Apichatpong Weerasethakul. Mysterious Object at Noon (Dokfah Nai Meu Maan, 2000), girato tra il 1996 e il 1999 in 16 mm e poi gonfiato in 35 mm, risplende grazie all’Austria Film Museum, alla World Cinema Foundation, al solito Scorsese e via discorrendo. Era cinema “transitorio”, come racconta Weerasethakul nella preziosa introduzione, il primo tentativo di un cineasta in fieri, una pellicola destinata a perdersi tra le pieghe del tempo. Adesso è cinema immortale. [e.a.]

13.55
Il weekend del Lido si bagna di commozione con la visione di Philomena di Stephen Frears – merito soprattutto di Judi Dench, ma non solo… E insieme alle emozioni troviamo anche l’ironia british, arma che calibra le frecciate verso un’educazione eccessivamente rigorosa. Le suore del convento dov’è stata rinchiusa Philomena da adolescente hanno venduto suo figlio e così han fatto per tante altre “ragazze perdute”. Dopo 50 anni lei lo cerca ancora e noi con lei. La pellicola è tratta da una storia vera. [m.l.t.]

13.50
Non capita spesso, eppure per fortuna ogni tanto succede ancora che in un festival si scoprano nuovi autori. È il caso stavolta della esordiente regista cinese Vivian Qu che ha presentato alla Settimana della Critica Trap Street, un crudele apologo sul controllo dittatoriale che ha dei tratti in comune con il Francis Ford Coppola de La conversazione. Mettendo in scena il percorso di un ragazzo che da una tenera storia d’amore finisce per precipitare nelle maglie onnicomprensive della polizia segreta, Trap Street è sia un’arguta denuncia del Potere che la testimonianza disperata di come la commedia sentimentale sia un genere impraticabile nella Cina contemporanea. [a.a.]

11.35
Siamo andati a dormire belli soddisfatti dopo Night Moves di Kelly Reichardt e iniziamo la mattinata con l’ottimo Child of God di James Franco, attore/regista/sceneggiatore/produttore e tutto ciò che è possibile fare dietro e davanti a una macchina da presa. Insomma, buone novelle dal Concorso e dal cinema indipendente a stelle e strisce. La Reichardt torna a Venezia con una parabola morale complessa, dai consueti ritmi dilatati, una riflessione sulla responsabilità dei propri gesti, sulla consapevolezza delle conseguenze, sulla vita ai margini della società e contro la società. Sul sogno e sulla disillusione. Oltre i margini si spinge James Franco, con la trasposizione del romanzo di Cormac McCarthy. Strepitoso Scott Haze nei panni di Lester Ballard, giovane disadattato privato di tutto, compresa l’umana compassione, ma molto abile col fucile e… niente spoiler. Si attendono premi e una degna e sacrosanta distribuzione. [e.a.]

 

Venerdì 30 agosto | Venezia 2013
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21.28
Un’accoglienza non particolarmente entusiasta quella che ha accompagnato i titoli di coda di We are the Best! (Vi är bäst!) teen-movie punkeggiante che segna il ritorno al Lido di Lukas Moodysson. Peccato perché il film, pur senza colpire al cuore, si segnala per la divertente verve delle sue protagoniste, tre tredicenni decise a mettere in piedi una punk-band nella Stoccolma del 1982. Una commedia gentile e senza troppe pretese, che raggiunge il proprio obiettivo. [r.m.]

20.01
Commozione in sala Perla – notato in particolare un distinto signore sui cinquanta che si asciugava i lacrimoni con un fazzoletto – per Summer 82 When Zappa Came to Sicily, il documentario di Salvo Cuccia dedicato a Frank Zappa, proiettato alla presenza della moglie Gail. L’amarcord zappiano non può che toccare nel profondo chiunque abbia amato il musicista di origini siciliane, ma – al di là di questo e al di là di un certo fastidioso “tradizionalismo” stilistico – Cuccia ha soprattutto il merito di riportare alla memoria un episodio dimenticato: il concerto che, per l’appunto, Zappa tenne a Palermo il 14 luglio del 1982, occasione in cui si trovò costretto a suonare al centro del campo dello stadio La Favorita in un’atmosfera surreale perché al pubblico, relegato sugli spalti, fu impedito di avvicinarsi al palco e venne persino caricato dalla polizia. [a.a.]

18.29
Nell’accavallarsi di proiezioni avevamo dimenticato di aggiornarvi su Piccola patria di Alessandro Rossetto, in concorso nella sezione Orizzonti. Un progetto senza dubbio ricco di spunti interessanti ma nel complesso vagamente dispersivo, non compiuto nella coesione tra l’aspetto più puramente narrativo e la libertà espressiva che Rossetto di quando in quando vagheggia. Un esordio comunque da non sottovalutare. [r.m.]

17.09
Una delle sorprese più liete di questi primi giorni di Mostra arriva dalla Settimana della Critica. Razredni sovražnik (Class Enemy è il titolo scelto per la vendita internazionale) è l’esordio alla regia del ventottenne regista sloveno Rok Biček: una lezione di pedagogia e cinema – e non pedagogia del cinema – che emoziona, diverte, arrivando persino a spaventare per la sua riflessione sulla crisi dell’istituzione scolastica e le mediocre sinapsi della società europea e occidentale nel suo complesso. Una menzione speciale la merita il cast, soprattutto i giovani e bravissimi protagonisti, tutti rigorosamente non professionisti. [r.m.]

14.30
Un decadente e divertito epitaffio dedicato alla settima arte. È The Canyons, nuovo attesissimo film di Paul Schrader sceneggiato da Brett Easton Ellis e co-prodotto grazie alla piattaforma web Kickstarter. In questo complesso thriller teorico fuori concorso al festival, i personaggi spregiudicati tipici di Ellis si sovrappongono alla tenera, dolente ingenuità tipica dei ruoli di Schrader, che dal canto suo prosegue la riflessione sull’immagine e i suoi limiti. Lascia qualche dubbio la ripetitività a tratti estenuante dei dialoghi e delle situazioni, mentre rifulge un limpidissimo discorso socio-metacinematografico: tra immagini di vecchi movie theatre dismessi, il volto e il corpo iperrealisti di Lindsay Lohan e una profusione di smart phone accesi e in fase di ripresa. Sono ovunque e svettano trionfanti dallo schermo come nella nostra realtà quotidiana e sembrano proprio loro l’unica e ultima frontiera per le immagini in movimento. Ma le immagini in movimento sono Il Cinema? Sulla questione Schrader ha le idee molto chiare. Vedere il film per credere… [d.p.]

13.50
Ieri, non dimentichiamolo, è stata anche la giornata di William Friedkin, premiato con il Leone d’Oro alla carriera. Per celebrarlo, ottima la scelta di Sorcerer (in italiano Il salario della paura), sua pellicola del ’77 meno unanimemente nota di altri suoi film. L’occasione ghiotta per rivederlo non poteva essere persa ed è stata ovviamente un’ottima lezione di cinema: con un linguaggio tipicamente anni Settanta, secco ed essenziale, robusto e conflittuale, Sorcerer è uno straordinario saggio sulla disperata volontà di sopravvivenza dell’uomo. Una lezione che lo stesso Cuarón con il suo pur buon Gravity non ha tenuto a mente: l’istinto di sopravvivenza è innato e non serve infilare ad hoc dei traumi nei personaggi per coinvolgere lo spettatore… [a.a.]

12.28
Ogni tanto la vita festivaliera permette di imbattersi in alcuni “simpatici” paradossi, e così è capitato di origliare questo dialogo tra due accrediti stampa – dei quali uno provvisto dell’accredito Daily, il più alto di grado nella scala dei pass: Accredito Daily: Cosa hai visto ieri sera? Altro Accredito: Il film di Gaglianone. Accredito Daily: E chi è? Altro Accredito: Un regista italiano. Accredito Daily: Ah. Stasera vieni alla festa di Rossetto? Altro Accredito: No, non ne sapevo nulla… Che film ha fatto? Accredito Daily: Non lo so, ma so che c’è la festa. Dopo questo scambio di battute i due si sono allontanati, come ogni eroe che si rispetti, verso l’orizzonte… [r.m.]

11.31
Facciamo un piccolo passo indietro… Dopo averne lasciato sedimentare la memoria per tutta la notte, dobbiamo necessariamente spendere due parole per Die Frau des Polizisten (The Police Officer’s Wife), il film di Philip Gröning in corsa per la vittoria del Leone d’Oro. Il regista de Il grande silenzio e The Terrorist decide qui di scandagliare nel profondo il tema della violenza domestica, e per farlo si affida a 59 micro-segmenti, puzzle schizoide (ma fin troppo programmatico) attraverso cui restituire il senso di una dispersione familiare e affettiva sempre più catastrofica. I grandi dubbi che lascia un’operazione simile si muovono comunque nella stessa direzione degli aspetti più affascinanti di una teorizzazione sul senso della visione e sul punto di vista che non possono lasciare indifferenti. Tra chi lo esalta come un capolavoro e chi vorrebbe tornare all’utilizzo della gogna per esporre al pubblico ludibrio Gröning assumiamo una posizione intermedia: e non è detto che con Bertolucci presidente di giuria non possa anche ambire a qualche riconoscimento… [r.m.]

11.24
La giornata si è aperta con Joe, il nuovo film di David Gordon Green inserito nel concorso ufficiale della Mostra. La storia dell’ex-galeotto Joe (interpretato da un eccellente Nicolas Cage) e dell’amicizia con l’adolescente Gary – Tye Sheridan, già apprezzato in The Tree of Life di Terrence Malick e Mud di Jeff Nichols, prenota il Leone del Futuro – non possiede forse i germi dell’originalità, ma David Gordon Green si conferma regista ispirato e qui è coadiuvato dalla bella sceneggiatura che Gary Hawkins ha tratto da un romanzo di Larry Brown. Un film solido e doloroso, con almeno un paio di sequenze destinate a restare nella memoria di questa Mostra. [r.m.]

 

Giovedì 29 agosto | Venezia 2013
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22:20
Applausi scroscianti e standing ovation nel pomeriggio di oggi al Lido per Die andere Heimat – Chronik Einer Sehnsucht (Home From Home – Chronicle of a Vision) di Edgar Reitz. Quinto capitolo della celebre saga ideata e diretta dal grande regista tedesco, Die andere Heimat costituisce di fatto un prequel per l’intera epopea familiare dei Simon. Questa volta Reitz si concentra infatti sugli anni che vanno dal 1842 al 1844 dove in una Germania oppressa da un Kaiser despota i fratelli Gustav e Jacob si contendo l’affetto dei genitori e l’amore di una donna, la bella Henriette. Appassionante e stilisticamente elegante quanto spettacolare (davvero sorprendente la grande fluidità dei movimenti di macchina), il film, fuori concorso al festival, è un fulgido e umanissimo inno al concetto di appartenenza, alla cultura, alla scienza e alla libertà individuale. [d.p.]

22:10
L’ineludibile fascino di un’avventura il cui unico scopo è il piacere del viaggio e della solitudine. È questo a tenere ancorato alla poltrona lo spettatore di Tracks di John Curran, in concorso al Festival. Protagonista è Mia Wasikowska nei panni di Robyn Davidson, insolita figura di esploratrice, realmente esistita, che all’inizio degli anni ’70 attraversò il deserto australiano per raggiungere l’Oceano Indiano in compagnia del suo cane e di quattro cammelli. Meno calligrafico del melò coloniale Il velo dipinto, il nuovo film di Curran non aggiunge però molto alla storia vera del suo personaggio principale, configurandosi come una sorta di Into the Wild al femminile che predilige però uno stile classico, elegante, a tratti epico, ma senza personalità. Applausi hanno accompagnato i titoli di coda di una pellicola dunque priva di velleità autoriali, ma che garantisce un intrattenimento nient’affatto disprezzabile. [d.p.]

12.32
Una giornata decisamente teutonica quella odierna alla Mostra: mentre in Sala Grande il pubblico sta assistendo alla proiezione ufficiale di Wolfskinder (Wolfschildren) di Rick Ostermann, presentato in Orizzonti, la nostra attesa è interamente protesa verso le 14.30, quando in Sala Perla verranno proiettate le quattro ore di Die andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht (Home from Home – Chronicle of a Vision), nuovo parto creativo di Edgar Reitz. Alle 19.00 in Darsena, infine, sarà la volta dell’altrettanto fluviale Die Frau des Polizisten (The Police Officer’s Wife) di Philip Gröning, in corsa per il Leone d’Oro. Vi sapremo dire meglio in serata… [r.m.]

12.00
La Mostra è iniziata da meno di 100 ore ma già arriva la consegna del primo premio collaterale. La direzione del Future Film Festival ha infatti deciso di assegnare il loro Special Award (dedicato al film che fa miglior uso degli effetti speciali e delle nuove tecnologie) a Gravity di Alfonso Cuarón “per gli eccezionali risultati tecnici e poetici raggiunti nel nuovo film”. Il regista messicano riceverà il premio alle 17 di oggi a Venezia. Un premio forse prevedibile ma che va a omaggiare un’opera su cui nelle ultime ore si stanno scatenando bufere critiche francamente poco comprensibili… [r.m.]

11.29
Spesso si separano le arti in maniera troppo netta e così capita che gli attori di teatro sembrino “relegati” al palco a discapito dello schermo, o che chi viene dalla regia teatrale debba interessarsi solo di quella anche quando usa un linguaggio cinematografico. Per fortuna sono luoghi comuni che si stanno sdoganando. Via Castellana Bandiera, opera prima di Emma Dante, è un lungometraggio che si muove proprio in questa direzione. La regista e attrice teatrale cerca la sua strada filmica portando sullo schermo tutto il proprio universo, e mettendo in scena uno spaccato reale e allo stesso tempo paradossale: il proscenio torna sottilmente e metaforicamente in un film che non cade nella trappola dell’impianto teatrale. Via Castellana Bandiera non delude le aspettative regalando un’ottima dimostrazione della trasmigrazione tra due mondi solo in apparenza distanti. [m.l.t.]

01.34
Dopo un pomeriggio tardo e una serata in cui è stato pressoché impossibile collegarsi a internet, torniamo ad aggiornarvi su quanto successo al Lido. Alle 17.00 in Sala Darsena è stato presentato Gerontophilia, il nuovo progetto cinematografico di Bruce LaBruce: dopo aver scioccato il pubblico di mezzo mondo con il precedente L.A. Zombi, in cui si mescolavano pornografia homosex e horror zombesco, LaBruce si diletta a raccontare con stile minimale la storia d’amore tra un anziano recluso in una casa di cura e il giovane infermiere che lo accudisce. Tra manifesti rivoluzionari femministi e fughe verso l’oceano si delinea una forma cinematografica libera, meno interessante ed estrema delle precedenti incursioni dietro la videocamera del regista ma divertente e divertita. Ma il vero colpo della serata l’ha rifilato la visione dello straordinario Why don’t You Play in Hell?, nuovo capolavoro di Sion Sono. In un folle amplesso tra cinefilia allo stato brado, metalinguaggio, yakuza eiga e splatter il regista di Love Exposure, Bycicle Sighs e Himizu sradica qualsiasi concezione del cinema classico per infarcire quello che all’apparenza possiede forme e stilemi dell’exploitation movie con tutte le ossessioni che rappresentano oramai un marchio di fabbrica della sua autorialità. Tra teste mozzate, amori incrollabili, detonazioni pop, detriti indecisi sul crinale che divide il grottesco dal dramma, utopie anarcoidi e scarti punk, Why don’t You Play in Hell? è il primo tuffo al cuore di questa settantesima edizione. Un pubblico esiguo ma compatto gli ha riservato un’accoglienza calorosa. [r.m.]

 

Mercoledì 28 agosto | Venezia 2013
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16.48
Scorrono piacevolmente i novanta minuti di La belle vie, apertura ufficiale delle Giornate degli Autori e opera prima di Jean Denizot, che poggia l’intera pellicola sulle giovani spalle di Zacharie Chasseriaud (Un’estate da giganti). Volto che buca lo schermo e talento da vendere: Chasseriaud, classe 1996, può diventare una stella di prima grandezza. Lascia invece il retrogusto amaro dell’occasione mancata il lungometraggio d’animazione L’arte della felicità (Settimana della Critica) di Alessandro Rak, suggestivo dal punto di vista visivo, ricco di intuizioni grafiche, ma limitato da una sceneggiatura ridondante, retorica, ripiegata su se stessa. Peccato. [e.a.]

16.10
Alti e bassi in tarda mattinata per Venezia 70 – Future Reloaded, autocelebrazione della Mostra per la sua settantesima edizione. Settanta mini-corti diretti da altrettanti registi storicamente legati al festival e chiamati a festeggiarlo e a interrogarsi sul futuro del cinema. Alti e bassi si diceva… i bassi: Piccioni che, autoreferenziale, celebra la sua Libreria del Cinema e Placido che, come in una brutta intervista, monologa sul futuro del cinema italiano (“i talenti ci sono…” e il provincialismo pure). Gli alti: Tsukamoto che racconta l’apocalisse e la rinascita con delle figurine di cartone, Kim Ki-duk che mette in scena se stesso e la vecchissima madre per un ritratto commovente e divertente, Schrader novello uomo-cinema che gira per strada imbragato di 6/7 fotocamere, Bertolucci che compie un’operazione simile ma sulla sua “sedia elettrica” (e ne fa un musical!). Gli altissimi: Samuel Maoz che fa incarnare il cinema nel corpo di un vecchio morente (esala l’ultimo respiro dicendo Rosebud e poi il filmato va in loop in un museo d’arte del passato), Hong Sang-soo che dà al cinema possibilità di sopravvivenza 50 e 50, come per i fumatori (tra l’altro Hong Sang-soo è forse l’unico regista al mondo in grado di tratteggiare tre personaggi in novanta secondi) e, infine, splendido, Maresco che torna agli splendori di CinicoTv con il suo L’ultimo Leone (95 secondi): il direttore Barbera diventa “la barbera” e il leone della Mostra viene letteralmente mangiato. Sublime e irriverente. Sarebbe quasi da proporlo come sigla di questa edizione. [a.a.]

11.36
Prime dispersioni festivaliere: l’aggiunta della Sala Casinò all’interno della struttura (per l’appunto) del Casinò ha fatto scomparire il bar ubicato fino all’anno scorso in quello spazio. Potrebbe apparire poco militante rimpiangere un esercizio alimentare di fronte all’acquisizione di un nuovo schermo, ma la verità dei fatti è che il suddetto bar negli anni scorsi aveva salvato ben più di un accreditato da colpi di sonno improvvisi durante le proiezioni serali – e non solo. Urgono nuove strategie di sopravvivenza… [r.m.]

10.10
Arriva il film d’apertura e arriva anche il primo aggiornamento dalla Mostra: Gravity di Alfonso Cuarón è un appassionante dramma umano, disperso nello spazio, alla ricerca di un ritorno sulla Terra (e alla vita). Uno spettacolo che mescola il popolare ad ambizioni autoriali, come d’abitudine per il cinema del regista messicano. Assai minore l’entusiasmo, ieri sera, per il primo titolo presentato nelle Giornate degli Autori mentre sul Lido si abbatteva una bufera: L’arbitro di Paolo Zucca è un’opera prima approssimativa, che cerca la risata facile ma vorrebbe segnalarsi anche per una ricerca estetica francamente pretestuosa e fuori contesto. Il mondo del calcio sarà anche grottesco e al limite del ridicolo, ma avrebbe meritato un trattamento migliore… [r.m.]

Info
Il sito della Mostra del Cinema di Venezia 2013.

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