L’intrepido

L’intrepido

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A sette anni da La stella che non c’è, disastroso ritorno di Amelio in concorso a Venezia con L’intrepido: sconclusionato e fastidiosamente fiabesco, con un imbarazzato Albanese incapace di trovare il registro giusto.

Antonio Pane di mestiere fa il “rimpiazzo” sostituendo, anche solo per qualche ora, chi deve per qualsiasi ragione assentarsi dal posto di lavoro. Intorno a lui si muove un’umanità disperata e in crisi. La risposta di Antonio è nella sua bontà innata e nel suo radicato ottimismo… [sinossi]

Mai ci si sarebbe aspettati una débâcle così vistosa di Gianni Amelio che a Venezia 70 ha portato il suo nuovo film, L’intrepido, a sette anni da La stella che non c’è. In effetti, a guardare gli ultimi, sporadici, titoli dell’autore di Il ladro di bambini, non si poteva non notare già da tempo una sorta di ripiegamento espressivo esemplificato proprio dal dittico Le chiavi di casa e La stella che non c’è; regressione che sembrava essere stata brillantemente risolta da Il primo uomo, film del 2011 purtroppo inspiegabilmente ignorato, sia dai festival italiani sia dalla critica che, infine, dal pubblico.
Ebbene, L’intrepido rappresenta un clamoroso passo indietro, anzi forse è persino il caso di ammettere che stavolta Amelio ha diretto il suo peggior film. Le caratteristiche salienti del suo cinema, l’asciuttezza visiva, la direzione degli attori e il profondo umanesimo dei suoi personaggi: tutto ciò si sfalda davanti a uno sconclusionato esperimento di post-neorealismo fiabesco dove Albanese – decisamente impacciato e compassato – si atteggia parzialmente a Charlot e alla figura del buon samaritano, guidato com’è da una bontà innata e da un entusiasmo stucchevole e, per certi aspetti, aberrante. Il suo saltabeccare da un lavoro all’altro non porta effettivamente a nessun risultato se non a una antologia di quadretti, fini a se stessi e sempre inconclusi, lasciati in sospeso, come in cerca di un leggero tono di surreale che, evidentemente, non è nelle corde del regista.

Indeciso sul tono da tenere, L’intrepido viaggia infatti tra accenni di commedia, momenti da comica muta (la sequenza della lavanderia maldestramente mandata a doppia velocità) e melodramma familiar/sentimentale, senza mai prendere una strada precisa e accumulando situazioni sempre più vacue e inerti. Ulteriormente disturbante risulta poi il rapporto tra il protagonista e gli altri personaggi: il figlio clarinettista oppresso da una depressione che verrà superata grazie alla bonomia del padre e la ragazza collega precaria il cui disagio rimane imperscrutabile. E ai personaggi mal tratteggiati si aggiunge una recitazione approssimativa degli interpreti: i giovani Livia Rossi e Gabriele Rendina incapaci di dialogare credibilmente in scena con il già zoppicante Albanese.
Ma, soprattutto, cosa ci vuole raccontare esattamente Amelio? Senz’altro la crisi del nostro Paese cercando di usare dei codici semi-favolistici (alla Zavattini-De Sica di Miracolo a Milano), ma allora perché raccontarla con la figura di questo “intrepido”, il cui problema non è la mancanza di lavoro, quanto il numero eccessivo di lavori da dover affrontare, per un iper-attivismo che potrebbe avere anche delle antipatiche conseguenze simboliche: che Amelio ci voglia dire che basta rimboccarsi le maniche per trovare del lavoro da fare? Che basta la bontà esasperata e esasperante del singolo per migliorare il mondo? Questo spontaneismo volontaristico messo in scena ne L’intrepido non è solo fuori dalla Storia e dalla particolare e negativa congiuntura economica-culturale che sta attraversando l’Italia, ma è anche del tutto irrealizzato nella pratica filmica, annegato com’è in un inconsulto accumulo di situazioni paradossali incapaci di farsi racconto unitario e coerente.
Così, dopo Via Castellana Bandiera, con Amelio arriva a Venezia 70 un’altra grande amarezza per il nostro cinema e, in particolare, proprio per la – a tratti eccellente – storia registica dell’ex direttore del Festival di Torino, questa al momento sembra essere la peggior delusione possibile.

Info
L’intrepido al Toronto Film Festival.
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