Tom à la ferme

Tom à la ferme

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Il nuovo film scritto, diretto e interpretato dal giovane e talentuoso Xavier Dolan, Tom à la ferme, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2013.

Un giovane pubblicitario arriva in piena campagna per un funerale e scopre che laggiù nessuno conosce il suo nome né la natura della sua relazione con il defunto. Quando il fratello maggiore di quest’ultimo impone un macabro gioco di ruolo per proteggere la madre e l’onore della famiglia, si instaura tra di loro una relazione perversa che potrà risolversi solo con l’affiorare della verità, qualunque sia il prezzo da pagare. Ha un bel mentire chi viene da lontano… [sinossi]

Ventiquattro anni e quattro lungometraggi da regista sulle spalle. Sarebbe buona norma non considerare all’interno di un percorso critico l’età di un autore come fattore rilevante per la lettura critica di un’opera, ma appare davvero difficile non lasciarsi condizionare da questo dato nell’approcciarsi al cinema di Xavier Dolan, vero e proprio enfant prodige del cinema canadese – di lingua francese, visto che è nato e cresciuto in Québec. Da quando ha esordito ventenne dietro la macchina da presa con J’ai tué ma mère, Dolan è riuscito nel gravoso compito di scavare un solco nell’immaginario cinematografico internazionale. Idolatrato e detestato in pari modo dall’universo critico, il cinema di Dolan si era contraddistinto finora per una messa in scena debordante, marchiata a fuoco da una deflagrante fascinazione per la cultura pop (la pioggia di marshmallow in Les Amours imaginaires, gli improvvisi cambi di registro del fluviale Laurence Anyways) che componeva, in un certo qual modo, un sorta di ideale trilogia sulla maturazione affettiva e sulla disperata, folle, gioiosa e crudele ricerca di se stessi.

Fin dalle prime inquadrature, invece, Tom à la ferme – in corsa per la conquista del Leone d’Oro alla settantesima edizione della Mostra di Venezia, prima accoglienza nel concorso ufficiale per un film di Dolan – segna uno scarto sensibile rispetto ai titoli che l’hanno preceduto. Tratto dall’omonima pièce teatrale che il drammaturgo canadese Michel Marc Bouchard ha portato in scena nel 2011, Tom à la ferme abbandona gli onirismi e i voli pindarici a cui Dolan aveva abituato il proprio pubblico spostando l’attenzione su una riflessione sulla dicotomia dolore/piacere. Storia di (p)ossessione e sottomissione, Tom à la ferme è il racconto di un’eterna insopprimibile bugia: quella di Tom, costretto a celare la propria relazione con il suo compagno defunto alla madre di quest’ultimo, che l’ha accolto nella fattoria; quella di Francis, il fratello del morto, che architetta un piano ai limiti del diabolico per tenere la madre all’oscuro di tutto; perfino quella della stessa Agathe, genitrice inconsolabile, che finge di non accorgersi di tutti i segreti che le vengono costruiti intorno.

L’instabilità emotiva che domina il personaggio di Tom (interpretato da un eccellente Dolan, che torna a recitare in un ruolo da protagonista dopo essersi dedicato solo alla regia in Laurence Anyways, eccezion fatta per un cameo) si riflette però anche nelle scelte registiche: attraversato da un fremito di eccitazione che è sintomo principale e salvifico della giovane età del suo demiurgo, Tom à la ferme appare fin troppo fragile nella sua ricerca pervicace del minimalismo narrativo. Dolan adotta un registro narrativo intimo, lavorando con risultati alterni sul non-luogo rappresentato dalla fattoria e sul non-detto che pervade i rapporti tra i vari personaggi: non è probabilmente un caso che le sequenze più ispirate prendano corpo sullo schermo allorquando la macchina da presa decide di staccarsi dalla fattoria, come evidenzia in maniera quasi incontrovertibile il dialogo tra Tom e il barman, in attesa che Francis si diverta in macchina con la finta-ragazza del fratello (creata ad hoc per non insospettire la madre sui gusti sessuali del figlio). Nel trattare temi diversi e ugualmente irti di insidie come la contrapposizione insanabile tra società metropolitana e rurale, la fascinazione per la sottomissione e il dolore, l’indispensabile capacità di fingere e la crisi affettiva, Dolan non mostra sempre la stessa ispirazione, portando a termine un’opera ricca di fascino ma a tratti inconcludente, troppo avvezza a sgretolarsi su se stessa per convincere fino in fondo.

Ma poi l’occhio scorre una volta di più sulla data di nascita di questo piccolo prodigio del cinema contemporaneo (oltre ai ruoli di interprete e regista, Dolan monta, sceneggia, cura i costumi, prepara perfino i sottotitoli per l’edizione inglese del film, dando così sfogo a tutto il suo ego), che recita 20 marzo 1989. E allora è impossibile non trovare squarci di luce anche nella foschia più densa…

Info
La pagina facebook di Tom à la Ferme.
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