Still Alice

Intenso e struggente, anche se evasivo quando si tratta di mostrare le più dure conseguenze della malattia, Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland ha nella coinvolgente performance di una Julianne Moore in stato di grazia il vero motore portante. Al Festival di Roma nella sezione Gala.

Io sono te

Alice Howland è una donna alla soglia dei cinquant’anni, orgogliosa degli obiettivi raggiunti. È un’affermata insegnante di linguistica alla Columbia University e ha una solida famiglia, composta dal marito chimico e da tre figli, Anna, Tom e Lydia, tutti e tre realizzati. Ma improvvisamente la sua vita cambia quando le viene diagnosticata una forma presenile di Alzheimer. Diventa una donna fragile e indifesa, anche agli occhi della famiglia che l’ha sempre vita come un pilastro… [Sinossi]

La malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo di Alzheimer, è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile, ossia oltre i 65 anni. Ma esistono casi in cui la malattia si manifesta precocemente, o addirittura casi più rari in cui questa ha eredità e trasmissione genetica. La protagonista di Still Alice fa parte di questi rari casi e il film diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland, a sua volta adattamento cinematografico del romanzo “Perdersi” scritto nel 2007 dalla neuroscienziata Lisa Genova, ne racconta la storia. La storia di una donna che alla soglia dei cinquant’anni, all’apice della carriera e con una famiglia perfetta, vede cancellare uno per uno i ricordi, le emozioni e le competenze raccolte nell’arco di una vita. Il tutto si riversa in un plot che mostra e descrive l’impatto che la perdita della memoria ha sull’esistenza e sulla carriera di una persona. Anche se evasivo quando si tratta di mostrare le più dure conseguenze del morbo, il film offre un’analisi del comportamento delle famiglie poste di fronte alla malattia e la mente non può non tornare, con le abissali distanze del caso, al capolavoro di Ozu del 1953, Tokyo Story.

I registi del pluripremiato Quinceañera firmano un dramma intimo e familiare che sfiora – per poi spezzarle – le corde del cuore dello spettatore di turno. Per farlo si aggrappano con le unghie e con i denti alla performance davanti la macchina da presa di una Julianne Moore in stato di grazia, che si carica sulle spalle il peso dell’intera operazione. In tal senso, Still Alice rientra di diritto in quella categoria di film che per non perdere quota deve giocoforza affidarsi alla bravura del cast, in particolare alla solida interpretazione di un’attrice come la Moore, senza alcun dubbio tra le più versatili e carismatiche del panorama internazionale odierno, capace di spaziare senza problemi nel ventaglio dei generi, tanto in blockbuster quanto in progetti indipendenti, dal piccolo al grande schermo (Lontano dal Paradiso e The Hours su tutte). Di conseguenza, non si può prescindere dalla sua presenza. Un rapporto di dipendenza, questo, che a conti fatti può anche rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché non consente a coloro che si confrontano con il film di stabilire con esattezza quali sono i veri meriti di chi lo ha scritto e diretto. L’attrice statunitense in questo caso è il perno e il baricentro su e intorno al quale Glatzer e Westmoreland costruiscono e solidificano l’architettura narrativa, drammaturgica e dialogica dell’opera. La Moore è straordinaria nel restituire sullo schermo la lenta, atroce, inesorabile cancellazione dell’identità e allo stesso tempo l’orgoglioso e dignitoso tentativo di aggrapparsi a se stessi, per non perdersi e non perdere tutto.

Viene da chiedersi allora, quale sarebbe stato il destino della pellicola senza di lei? Per quanto ci riguarda non lo stesso, perché la Moore regala una prova di rara intensità e partecipazione emotiva che aumenta in maniera esponenziale lo spessore del suo personaggio, valorizzando la scrittura e le diverse sfumature che la percorrono. L’attrice americana si cala catarticamente nel difficile ruolo di Alice, mettendosi completamente al servizio del personaggio e del film nel suo complesso. Per questo non escludiamo una probabile candidatura alla prossima notte degli Oscar. La sua interpretazione innesca una reazione a catena che si riflette con effetti benefici sul resto del cast, a cominciare da un Alec Baldwin (nel ruolo del marito) e da una Kristen Stewart (la figlia Lydia) mai così efficaci. Ed è proprio la qualità della recitazione, che va di pari passo con l’ottima direzione degli attori da parte della coppia di registi, il valore aggiunto che emerge dalla visione.

Info
Il trailer di Still Alice.
Still Alice sul canale Film su YouTube.
Il sito del Festival del Film di Roma.
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