St. Vincent

St. Vincent

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St. Vincent rientra in quel tipo di cinema indipendente dalle storie molto esili messe sulle spalle di grandi attori: una commedia per famiglie le cui “buone azioni”sono tutte merito del “santo” Bill Murray.

San Bill, protettore della commedia

Vincent è uno scorbutico sessantenne con tutti i vizi del mondo e una spiccata tendenza a non amare il suo prossimo. Quando una madre single si trasferisce vicino casa sua, Vincent si ritrova per caso babysitter a ore del figlio dodicenne. Attraverso una scuola di vita fatta di cibo malsano, gioco d’azzardo e tecniche di pestaggio, il ragazzo imparerà che i santi si nascondono nelle anime meno virtuose. [sinossi]

In quella produzione ai margini dell’industria hollywoodiana (ma non per questo meno serializzata) che chiamiamo “cinema indie americano” vige un rapporto di forza fra attori e sceneggiatura: più il film porta nel suo cast un nome di peso, noto e riconosciuto al grande pubblico, e più il film è probabile conterrà storie semplici con pochi personaggi per dimostrare la grandezza dell’attore o dell’attrice protagonista. Spesso si tratta di mostri sacri che, vuoi per noia o per narcisismo, riempiono queste bolle di storie fino a dominarle completamente e a decretare, a seconda della performance, la riuscita o meno del film.
St. Vincent rientra a pieno in questa tipologia di film che non ci provano nemmeno a essere qualcosa di più di “una grande interpretazione di…”. Massimo risultato con minimo sforzo, dunque, almeno per il regista esordiente Theodor Melfi, il cui merito principale è quello di aver fatto scelto ottime scelte di casting. A partire da Melissa McCarthy e Naomi Watts, che rovesciano i loro personaggi canonici calandosi rispettivamente in una madre single sensibile e in una prostituta russa incinta. Ma arrivando soprattutto a coinvolgere Bill Murray, icona piaciona e gigiona quanto basta per sorreggere sulle spalle e sugli zigomi un film che è davvero poco più di una commedia per ragazzi (quei pochi che forse, per età anagrafica, non conoscono Peter Venkman e i Ghostbusters o Ricomincio da capo). Un incrocio svogliato fra l’impianto da commedia finto-cinica tipo Babbo bastardo e la parabola intergenerazionale di Up della Disney-Pixar, perfettamente adatto a una visione natalizia anche se ambientato in una New York estiva.

Il valore aggiunto, appunto, sta tutto in un popolarissimo attore capace di cogliere il pubblico più trasversale: quello che lo ama dai tempi del Saturday Night Live e quello che ne ha ammirato la successiva svolta autoriale con l’adozione da parte di Wes Anderson e Jim Jarmusch. E, non più nascosto dall’animazione del gatto Garfield o dal trucco di Roosevelt in A Royal Weekend, Murray stavolta può concedersiun ritorno alla maschera di comico burbero e burrascoso tanto amato dal primo tipo di pubblico senza scontentare il secondo tipo, abituato alla sua nuova immagine di alfiere del cinema indie. È in questo equilibrio furbo ma perfetto fra un protagonista vecchio brontolone e cattivo maestro, giullare triste e simpatico edonista, che il film trova una ragione per farsi guardare, oltre che uno slancio per rialzarsi dopo alcune cadute nel patetico o nella faciloneria. A dimostrazione che, proprio come con i santi, affidarsi alle vite e alle carriere di alcuni attori può davvero rivelarsi un miracolo.

Info
La scheda di St. Vincent sul sito della Eagle Pictures
Il trailer di St. Vincent su Youtube
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