Ho ucciso Napoleone

Ho ucciso Napoleone

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Dopo il promettente anche se incerto esordio con Amiche da morire, Giorgia Farina si conferma regista da tenere d’occhio grazie a Ho ucciso Napoleone, commedia nera che si regge su una articolata narrazione e su un cast di attori capaci di mettere da parte i loro cliché recitativi, a partire da Micaela Ramazzotti.

Nel giro di ventiquattr’ore la vita di Anita, single e brillante manager in carriera, viene spazzata via da un uragano di guai. Il lavoro, l’amore, il futuro, tutto in macerie nel giro di un giorno. Anita si ritrova seduta sull’altalena di un parco giochi licenziata in tronco e incinta del suo capo… [sinossi]

Nell’ambito della commedia italiana non esiste per fortuna solo la finta alternativa tra il seguire poco o per nulla gli insegnamenti di Monicelli, Risi, ecc. Esistono anche altre possibilità, come ad esempio quella di intraprendere un percorso totalmente eccentrico rispetto alla nostra tradizione, senza per questo perdere il radicamento con la realtà italiana. Lo dimostra Giorgia Farina con il suo Ho ucciso Napoleone, commedia nera che guarda a certi modelli britannici e statunitensi e che – carattere assolutamente inusuale nel nostro cinema – costruisce una articolata narrazione, piena di colpi di scena e di spiazzamenti.
Se l’esordio della Farina, Amiche da morire, sembrava già essere connotato da caratteristiche tutt’altro che disprezzabili – passando dalla vivacità delle situazioni alla cattiveria dei personaggi -, il suo secondo film conferma e migliora quel che già si era potuto apprezzare. In Ho ucciso Napoleone infatti viene meno la tendenza alle cadute di tono (che in Amiche da morire si poteva verificare in alcune scene buttate via troppo in fretta), si registra un perfetto concatenamento del plot in cui tutto – ogni dettaglio – è al servizio dell’insieme (e, in sede di sceneggiatura, la regista è passata dalla collaborazione con Bonifacci a quella con Federica Pontremoli) e, ancora, si può finalmente lodare la capacità di mettere in scena gli attori dandogli dei ruoli al di fuori del canone che solitamente viene assegnato loro come una condanna. L’esempio più eclatante in tal senso è Micaela Ramazzotti, protagonista assoluta di Ho ucciso Napoleone, che mette da parte i panni della coatta simpatica e svampita per incarnare al contrario un personaggio freddo e cinico.
Ma, forse, più ancora dei ruoli, è il lavoro di make-up a dare un segno preciso: con i capelli scuri e raccolti, con una mise che esalta la durezza e la spigolosità del volto, la Ramazzotti appare davvero come mai vista prima. E lo stesso probabilmente si può dire di Elena Sofia Ricci che, pur in un ruolo secondario, abbandona per una volta la sua aria perennemente aristocratica e indossa uno zuccotto da battaglia, utile a mimetizzarsi nel giardinetto in cui smercia medicinali.

La vicenda di Anita, il personaggio della Ramazzotti, ha una parabola di per sé semplice, quanto abilmente praticata nel cinema anglosassone: l’eroe rigido e frigido, tutto d’un pezzo, che si trova – davanti alle circostanze della vita – a cambiare prospettiva e ad ammorbidirsi. Ma – e forse è qui che si coglie la più preziosa qualità di Ho ucciso Napoleone – Giorgia Farina affronta e racconta questo percorso senza lasciarsi tentare dal buonismo e dal ritrattino edulcorato. Anzi, la cattiveria dilaga e si propaga anche là dove meno ce lo si sarebbe aspettato. Come in Amiche da morire del resto, Ho ucciso Napoleone è una commedia decisamente al femminile, ma senza facili schematizzazioni e senza pietismi. Lo diventa, piuttosto, solo e soltanto grazie alla forza della scrittura e alla naturale evoluzione del racconto che fa sì che la Ramazzotti, da donna dura e solitaria, si ritrovi mamma e casalinga, sostanzialmente prigioniera dell’uomo, e dunque costretta a reagire.
E se qualche cedimento lo si può forse riscontrare nella caratterizzazione della famiglia disfunzionale di lei (in cui però l’eccentricità alla Ozpetek viene consapevolmente estremizzata) o nell’innata bontà del “coro” di donne capitanato dalla già citata Elena Sofia Ricci, non si può negare una forza e una vitalità che prende corpo anche in alcune scelte stilistiche tese ad esasperare e a sottolineare i codici del grottesco (un filtro di lettura del reale che sembrava essere sparito dal panorama del nostro cinema e che ora, finalmente, si riaffaccia sia pur timidamente). E, in un racconto che si dipana con arguzia e intelligenza, non manca anche una sensata e ‘pensata’ simbologia di location e décor: la vernice rossa che cade addosso alla Ramazzotti nel momento della sua discesa agli inferi ne è un esempio; ma un altro – forse ancor più riuscito – è quello della resa dei conti sulle rocce di una montagna, in cui si fronteggiano Libero De Rienzo e Adriano Giannini, perfetti – tra l’altro – nei ruoli di ‘spalle’ della Ramazzotti.
Insomma, gli elementi ci sono tutti, non certo per gridare al capolavoro, ma quantomeno per apprezzare con convinzione la via personale seguita dalla Farina, quella di una commedia che sappia essere contemporaneamente popolare e sofisticata, immediata ma non logora, articolata e diretta, divertente e a suo modo coraggiosa.

Info
Il trailer di Ho ucciso Napoleone.
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