Ode to My Father

Ode to My Father

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Dopo il disaster movie Haeundae, il regista sudcoreano Yoon Je-kyoon torna a mescolare retorica e blockbuster con Ode to My Father, melodramma che parte dalla Guerra di Corea e ci trascina senza pudore all’interno della televisione del dolore. Presentato al Far East Film Festival di Udine.

La meglio gioventù

Di fronte all’esercito cinese una moltitudine di profughi fugge in Corea del Sud sulle navi americane. Tra questi la famiglia di Deok-soo che smarrisce nella folla la sorellina e il padre. Il senso di colpa lo affliggerà per tutta la vita obbligandolo a sacrificarsi per la famiglia fino a condurlo in una miniera tedesca e in Vietnam… [sinossi]

L’industria cinematografica sudcoreana non lesina soldi ed energie quando si tratta di raccontare pagine importanti della recente storia del proprio paese, rivelando spesso un’ammirevole capacità di affrontare temi spinosi e ferite ancora aperte. Pellicole come National Security (2012), The Front Line (2011), The Road Taken (2003) e Peppermint Candy (1999) possiedono infatti uno sguardo lucido e rigoroso e non cercano scorciatoie emotive, evitando di impantanarsi nelle sabbie mobili del melodramma. Un cinema politico, anche nelle sue diramazioni più commerciali, come il solido The Attorney (2013), passato con successo al Far East 2014.

Discorso diametralmente opposto, o quasi, quando la logica ipertrofica dei blockbuster finisce per sopraffare l’affresco storico, la narrazione, i personaggi. A un passo dai disastrosi abissi dell’ipermelodramma si fermano film bellici come Brothers of War – Sotto due bandiere (2004) e – tra mille riserve – My Way (2011), mentre Ode to My Father di Yoon Je-kyoon affonda volontariamente e senza remore le proprie radici nel cinema e nella televisione del dolore. Un po’ paradossalmente, è proprio questo intreccio metalinguistico tra piccolo e grande schermo il momento più interessante di Ode to My Father: consumato dai sensi di colpa, Deok-soo ritrova la speranza di ricongiungersi col padre e la sorella grazie a una trasmissione televisiva, una sorta di Chi l’ha visto? di dimensioni mastodontiche. Yoon Je-kyoon abbraccia per tutta la durata della pellicola le stesse logiche ricattatorie e sensazionalistiche del piccolo schermo, delle lacrime, delle tragedie di padri e di figli dispersi e separati per anni o decenni. Dall’evacuazione di Hungnam del 1950, passando per le miniere tedesche e il Vietnam, la scrittura di Park Su-jin e la messa in scena di Yoon Je-kyoon accumulano ed enfatizzano, calcando la mano con l’immancabile colonna sonora e le interpretazioni sopra le righe di Hwang Jung-min (Deok-soo), Yunjin Kim (Young-ja) e Oh Dal-su (Dal-goo).

L’odissea di Deok-soo, bambino, uomo e poi anziano consumato dal rimorso e perennemente fuori posto, trova anche momenti di comicità (il corteggiamento di Young-ja, alcuni siparietti con Dal-goo). Ma anche nei passaggi più leggiadri a prevalere è la finzione, l’eccesso. Una finzione rimarcata dai costumi e dal trucco, soprattutto nelle sequenze con i protagonisti oramai anziani.
Ode to My Father vive sulla contrapposizione di emozioni anabolizzate, sul confronto forzato e didascalico tra la generazione dei padri, costretti a grandi sacrifici per (ri)costruire la Corea del Sud, e i figli irriconoscenti, viziati. La sofferenza di Deok-soo trova terreno fertile persino in questa retorica storico-generazionale.

Dopo il disaster movie Haeundae, Yoon Je-kyoon torna a mescolare retorica e blockbuster. Sembrano davvero lontani i tempi delle commedie My Boss, My Hero (2001), Sex Is Zero (2002) e Miracle on 1st Street (2007). Presentato al Far East Film Festival 2015, Ode to My Father ha comunque incontrato i favori del pubblico, scalando i vertici del box office.

Info
Ode to My Father sul sito del Far East 2015.
Il trailer originale di Ode to My Father.
La scheda di Ode to My Father su KoreanFilm.
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