Annie – La felicità è contagiosa

Annie – La felicità è contagiosa

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Esce nelle nostre accaldate sale Annie – La felicità è contagiosa, inconsistente remake del film di John Huston tratto da un celebre musical di Broadway, che snatura le atmosfere e riduce al lumicino le psicologie originarie dei personaggi adattandoli ai tempi dello Smartphone. Quello che rimane è un’indigesta melassa, con coreografie piatte e con una regia di stampo televisivo. Superfluo.

Annie dai troppi remake

Tenace, sicura di sé e sempre ottimista, Annie è una bambina adottata che non ha difficoltà ad ambientarsi nella congestionata New York nel 2014. Abbandonata fin da piccola dai suoi genitori con la promessa che un giorno o l’altro sarebbero tornati a prenderla, la bimba subisce il trauma dell’amara verità sulle proprie origini una volta affidata a Miss Hannigan. Ma tutto cambierà quando l’arrogante tycoon e candidato a sindaco di New York Will Stacks decide di prenderla in affidamento. Stacks crede di essere il suo angelo custode, ma la sicurezza e la gioia di vivere di Annie gli faranno vedere le cose in un altro modo. [sinossi]

Le note del pressbook di Annie annunciano rutilanti il dettaglio che recita: “nuova visione contemporanea”, ovvero un altro inessenziale rifacimento. Ma è così necessario attualizzare un classico del musical che su grande schermo è riuscito a portare sfortuna persino al sommo John Huston? In tempi bui come quelli presenti, tra remake, reboot e vagonate di prodotti targati Marvel, è difficile che la “nuova visione contemporanea” sia di per sé un merito. E non basta il goffo sottotitolo “La felicità è contagiosa”, aggiunto dai distributori italiani, a ravvivare la pretestuosa operazione. In questa nuova versione di Annie di contagioso c’è assai poco, perché gli ingredienti sono sbagliati e l’indigesta melassa potrebbe risultare letale.
All’origine del mito di Annie ci sono prima i fumetti che hanno visto la luce nel 1924, sul Daily News di New York, per merito di Harold Gray. A seguire, c’è stato il musical di Broadway del 1977 che ha garantito l’exploit e, infine, il clamoroso flop diretto da Huston nel 1982, a pochi anni dalla sua morte. Nel mezzo, ricordiamo un primo, timido remake per la televisione diretto da Rob Marshall nel 1999 e, nel 1995, un sequel per il piccolo schermo intitolato Le nuove avventure di Annie.

Da nostalgici duri e puri, ricordiamo con affetto la pellicola di Huston, ambientata negli anni ’30, che almeno viveva di un’accurata ricostruzione scenografica, e di quel certo fascino del retrò completamente smarritosi fra le pieghe di questa nuova trasposizione traslata nella New York di oggi, a causa anche della maldestra regia di Will Gluck. Attualizzare una storia che gode di una propria allure significa esporsi al rischio di snaturare forma e contenuto. Gluck c’è cascato in pieno, propinandoci innanzi tutto uno scenario della Grande Mela appiattito sulle misure della più scolorita tv series d’antan. Non parliamo poi del rinnovato arrangiamento delle canzoni, che garantirono il successo sulle scene e sorressero la pellicola di Huston: stucchevole risulta l’aggiunta di percussioni, bassi, chitarre e tastiere, di (cattivo) gusto pop, capace solo di travisare l’originaria partitura e di far smarrire il retrogusto della vicenda, così legata ai tempi e ai costumi di quando fu concepita. E se la storia della pepata orfanella risulta qui snaturata e oltremodo zuccherosa (con tutte le inutili modifiche in sede di sceneggiatura perpetrate dal regista Gluck con Aline Brosh McKenna), a risaltare è l’assoluta assenza d’ironia, elemento fondante in Huston e nei baloon (e non basta l’idea di ambientare un breve passaggio della storia in una sala cinematografica!).

In questo remake, Annie, che conoscevamo con i capelli rossi e ricci alla Shirley Temple, è affidata alle cure (si fa per dire) di una Miss Hannigan interpretata da Cameron Diaz, che qui si disimpegna in una delle sue interpretazioni peggiori: smorfiosa oltre misura, risulta semplicemente antipatica anche quando il suo personaggio si converte, come gli altri, alle soglie del finale buonista. Sparisce così (chissà perché) il ben più marcato personaggio del vecchio film, la Hannigan severa direttrice dell’orfanotrofio. Altra incongrua scelta risulta quella della piccola protagonista, Quvenzhané Wallis (attrice che si è rivelata nello struggente e visionario Re della terra selvaggia): che Annie diventi nera, in onore a Obama e al “politically correct”, potrebbe pure starci, se questo mutamento desse motivazioni nuove e una nerbatura alla trama: e invece risulta solamente una scelta ruffiana. Altro personaggio la cui psicologia appare stravolta è quello del facoltoso industriale arricchitosi ai tempi della Grande Depressione (Albert Finney nel vecchio film) che in Gluck diventa Will Stacks (Jamie Foxx), proprietario di una compagnia telefonica che si candida a sindaco di New York. Insomma, siamo al mélo ritrovato ai tempi dello Smartphone, dove tutto corre veloce, sentimenti compresi, dove tutto appare talmente liofilizzato da risultare stomachevole, in un film dove una delle poche curiosità è quella di rintracciare, tra i camei, Michael J. Fox che fa se stesso, sostenendo il ruolo del candidato bianco rivale di Stacks. Oppure quella, assai più avvilente, di riconoscere Rihanna, Mila Kunis e Ashton Kutcher nel finto film che viene proiettato nella già citata sala cinematografica. Il resto è pura delusione, confermata dalla banalità delle coreografie. E dispiace vedere coinvolti in questo mezzo disastro la brava Rose Byrne e il simpatico Bobby Cannavale.
Non ci resta che citare qualche curiosità provinciale: tutti i venerdì sera, la vispa Annie si piazza di fronte a un ristorante nella speranza di ritrovare i genitori perduti. Guarda caso il locale si chiama “Domani” (“Tomorrow” è l’evergreen della colonna sonora originale), e il proprietario, che esibisce un accento siculo (almeno nel doppiaggio italiano) regala alla piccola una confezione di cannoli siciliani.
Altra piccola curiosità: Annie – La felicità è contagiosa vede coinvolti, tra i produttori, Will Smith e Jada Pinkett Smith. E dubitiamo che questo sia un merito da aggiungere ai loro lunghi e fruttuosi curricula.

Info
Il trailer di Annie.
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