La gente Resta

La gente Resta

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Ambientato a Taranto nel quartiere Tamburi che si trova a ridosso dell’Ilva, La gente Resta di Maria Tilli appare indeciso nei toni tra il film di denuncia e il documentario d’osservazione. Premio speciale della giuria nella sezione Italiana.doc al TFF 2015.

Natio borgo inquinato

Tamburi, il quartiere più inquinato d’Italia. Quello dove sorge l’Ilva di Taranto e dove da sempre vivono Cosimo, Tonino e Giuseppe, i tre fratelli Resta. Tre vite divise tra il mare e il lavoro in fabbrica, tra la paura per la salute messa a rischio dall’inquinamento e la voglia di restare lì, dove sono nati. [sinossi]

Il cinema documentaristico che viene fatto in Italia torna a volte ad essere prigioniero di vecchi fraintendimenti e di stantie semplificazioni. Quel che soprattutto ci sembra di dover imputare a certi recenti esempi di cinema del ‘reale’ – come ad esempio A sud di Pavese – è la mancanza di controllo sul materiale a disposizione, o meglio la sottovalutazione di come – sempre – un documentarista debba ragionare su alcuni punti imprescindibili: cosa far vedere e cosa no, che discorso vi è alla base del suo film, come e perché un certo elemento sia finito all’interno della sua inquadratura e se è necessario tenerlo, in che momento bisogna lasciarsi andare e registrare semplicemente quel che accade davanti ai propri occhi.
Sia pur in misura minore rispetto ad A sud di Pavese, ci sembra che cada nel tranello del mancato controllo anche La gente Resta di Maria Tilli, premio speciale della giuria alla 33esima edizione del Festival di Torino per la sezione Italiana.doc.
La regista ha scelto di raccontare la tragedia dell’Ilva di Taranto concentrandosi sugli abitanti del quartiere Tamburi che confina con questa mostruosa acciaieria, la più grande d’Europa, adottando una prospettiva inusuale e potenzialmente molto interessante: vediamo infatti davanti a noi tre fratelli, i fratelli Resta, che abitano da sempre nel quartiere e che dal momento in cui l’acciaieria è stata costruita – nel 1960 – sono stati costretti a cambiare completamente la loro esistenza. Fuori dall’Ilva a pescare le cozze, quasi certamente inquinate, o dentro l’Ilva a marcire tra macchinari e fumi tossici.

La gente Resta inizia perciò come un classico documentario d’inchiesta, anche troppo tradizionale volendo, con i tre protagonisti che parlano in voce off mentre in scena li vediamo intenti in varie operazioni, tra cui per l’appunto la pesca e la pulizia delle cozze. Ma poi, improvvisamente, lo sguardo e il ritmo deragliano e il film diventa altro: prima si palesano davanti ai nostri occhi momenti di vita quotidiana, in cui appaiono altri componenti della famiglia Resta, poi si svolge una cena in cui tutto il nucleo è ricomposto. Da un certo momento in poi, quindi, la Tilli ci vuole dunque mostrare come i suoi protagonisti si trovino costretti a continuare a vivere come se nulla fosse; del resto, giustamente, la necessità primaria dell’uomo è la sua insopprimibile tendenza alla sopravvivenza, anche se intorno a lui tutto deflagra.

Quel che non funziona però in questa costruzione è proprio lo scarto tra la prima e la seconda parte, tanto che di fronte a un incipit abbastanza rigido dal punto di vista estetico e narrativo ci si trova più in là di fronte a uno spirito da flâneur che sembra più il frutto del caso che di un’impostazione a priori.
Ed ecco che si deve tornare al discorso del controllo: Maria Tilli ci dà in questa seconda parte l’impressione di non aver voluto filtrare quanto entrava all’interno della sua inquadratura, decidendo sostanzialmente di limitarsi a registrare quanto accadeva davanti ai suoi occhi, delegando dunque il proprio ruolo ai personaggi in scena e finendo persino per perdere di vista i suoi iniziali protagonisti. Peccato, perché in fin dei conti l’Ilva e quel che gli si muove attorno rimane un continente sconosciuto, avvicinato qua e là – e solo in modo molto parziale – da qualche articolo di giornale o da qualche pseudo-inchiesta televisiva.

Info
La scheda di La gente Resta sul sito del Torino Film Festival.
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