Suburbicon

Suburbicon

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Scritto a otto mani dai fratelli Coen, da Clooney e dal fidato Heslov, Suburbicon è un divertissement brillante, capace di intrattenere con secchiate di humor nero e sana violenza, e di veicolare ideali pienamente condivisibili. Ipocrisia wasp demolita pezzo per pezzo. Clooney e soci giocano col sogno della villetta con giardino e lo spauracchio dell’integrazione, sparigliando chiaramente le carte. Come ci ha insegnato Lynch, gli incubi possono trovare terreno fertile (anche) nei giardini ben curati. Ieri come oggi.

A sangue freddo

Suburbicon è una pacifica e idilliaca comunità periferica caratterizzata da case a buon mercato e giardini ben curati. Il luogo perfetto dove crescere una famiglia. È esattamente quello che stanno facendo i Lodge nell’estate del 1959. Tuttavia, l’apparente tranquillità cela una verità inquietante, quando il marito e padre Gardner Lodge è costretto a farsi strada nel lato oscuro della città fatto di tradimento, inganno e violenza. Questa è la storia di persone imperfette e delle loro scelte sbagliate. Questa è Suburbicon… [sinossi]
I’m not racist, I just don’t want colored people as my neighbors.
da Crisis in Levittown (1957) di Lee Bobker e Lester Becker.

Kansas, autunno 1959. Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock, due sbandati, uccidono quattro componenti della famiglia Clutter, placidi agricoltori benestanti. Questo fatto di cronaca nera si tramuterà in un celeberrimo e alquanto discusso romanzo – A sangue freddo di Truman Capote – e resterà una delle chiavi di lettura della fine di un’epoca, di un’illusione collettiva. Il sogno che si tinge di nero; le case e villette con giardino che perdono tragicamente la loro verginità, imbrattandosi di sangue; la campagna che scopre quella violenza che si pensava solo urbana. Le pagina di Capote sono l’humus di un immaginario e di una narrazione degli Stati Uniti riconducibile al cinema dei Coen; al cinema di Clooney. Riecheggia quel cambiamento di prospettiva in Non è un paese per vecchi, e riecheggia anche in Suburbicon, ma beffardamente capovolto. Coenianamente capovolto.

La sceneggiatura dei Coen era pronta negli anni Ottanta, ma le dinamiche della fabbrica dei sogni (e degli incubi) è spesso imprevedibile e i cassetti si chiudono per anni e decenni, per poi riaprirsi all’improvviso. Buon per Clooney, che recupera terreno dopo Monuments Men, tornando al fertile cinismo di Confessioni di una mente pericolosa, all’afflato democratico de Le idi di marzo. Apertamente politico, ma non stucchevole o fastidiosamente didascalico, Suburbicon è un divertissement brillante, un giocattolo che scorre su diversi binari: comicità nerissima (notevole il duetto Julianne Moore/Oscar Isaac) e suspense d’antan (la sequenza nella stanza di Nicky e poi nello sgabuzzino) incastonate in un meccanismo narrativo prevedibile ma sagacemente oliato, e il parallelo sguardo ai difficoltosi passi dell’integrazione razziale, uno scrutare quasi lynchiano tra l’erba perfettamente tagliata, in cerca di qualche brandello di carne, di vermi all’opera.

Cast lussuoso, dai protagonisti di grido a solidissimi comprimari come Glenn Fleshler, e ipocrisia wasp demolita pezzo per pezzo. Clooney e soci giocano col sogno americano, con le geometrie impeccabili delle villette a schiera. Giocano coi colori pastellosi e caramellosi, con la meravigliosa utopia di George Bailey, con le illusioni à la Pleasantville, partendo però dalla più terrena e redditizia impresa di William Levitt, con le sue Levittown spuntate come funghi nel fertile terreno del nord-est. Pennsylvania, Maryland, New York, e poi persino Porto Rico.
Realizzato nel 1957 da Lee Bobker e Lester Becker, il documentario Crisis in Levittown è lo specchio di un razzismo naturale, intrinseco. Lo specchio di uno stile di vita. Lo specchio di ieri e di oggi. La radice culturale del successo di Trump, dei rigurgiti destroidi e di tutti quei muri che dividono aree geografiche, città, quartieri. Suburbicon è Levittown e Capote, è il rovesciamento del pregiudizio, lo svelamento dell’orrorifica ipocrisia. La fine del sogno. Il filo conduttore che lega Scappa – Get Out a Society – The Horror e La fabbica delle mogli non vuole rompersi, ci insegue e perseguita. E così è fin troppo facile riconoscere le dinamiche di Suburbicon, di Crisis in Levittown, dei muri e delle ruspe. Dei Trump di ieri e di oggi. Dei Trump di quartiere.

Autore di un cinema apertamente democratico, sempre ottimamente confezionato, e sostenuto da colleghi di talento, Clooney si conferma un cineasta (nelle sue molteplici declinazioni di regista, sceneggiatore e attore) solido, figlio sia della Hollywood classica che della New Hollywood. Intrattenimento e politica. What else?

Info
Il trailer originale di Suburbicon.
La scheda di Suburbicon sul sito di Venezia 2017.
Lo streaming di Crisis in Levittown.
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