The Island Girl

The Island Girl

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Presentato alle Giornate del cinema muto 2017, nell’ambito della rassegna sui film muti postsincronizzati giapponesi, The Island Girl è un film dimenticato di un regista altrettanto dimenticato, Hotei Nomura, eppure un potente melodramma ‘insulare’, una storia di realismo sociale con una visione al femminile.

Le luci dell’isola

Una povera fanciulla che abita in un’isoletta giapponese è amata dal marinaio Ichiro e dallo studente di Tokyo Okawa. Il primo è probabilmente l’autore di un tentato furto all’ufficio postale, e dopo essersi nuovamente imbarcato, viene colto da un malore al largo che lo porta all’improvvisa morte. [sinossi]

Un film dimenticato, The Island Girl (Shima no musume), del 1933, per un regista altrettanto dimenticato, Hotei Nomura, anche perché morto prematuramente proprio l’anno successivo, padre di quel Yoshitaro Nomura, autore di thriller sui generis, come Castle of Sand, che hanno avuto uscite anche in Italia, per la Rarovideo o a Fuori orario.
The Island Girl rientra nei cosiddetti ‘saundo-ban’, cui è dedicata la rassegna giapponese di questa edizione delle Giornate del Cinema Muto. Film che si collocano come anello di congiunzione tra il muto e il sonoro in Giappone, in quanto girati come film muti con gli intertitoli cui poi è stata aggiunta una partitura musicale postsincronizzata. Rappresentarono il cavallo di Troia per uscire dalla dittatura del benshi, la figura di cantastorie che accompagnava le proiezioni dei muti in Giappone, figura popolarissima che ha rallentato l’avvento del sonoro mentre per molti registi era importante svincolarsi da questo tipo di intrattenimento per non perdere il controllo sul film.

The Island Girl risulta quindi come un ibrido muto-sonoro, con una colonna musicale che agisce come contrappunto, e con l’aggiunta di alcuni effetti sonori. I saundo-ban rappresentavano una pratica del tutto simile a quella dei musicarelli italiani, nascevano infatti per sfruttare e veicolare il successo di una canzone popolare che fungeva così da canzone-titolo, attorno cui sviluppare un film. Cosa che succedeva in realtà già nel muto con il benshi che intonava la canzone durante la proiezione, com’è il caso di La marcia di Tokyo, film del 1929 di Kenji Mizoguchi. Ed è curioso come, tanto per questo film che per The Island Girl, come i successi musicali che trionfavano nei locali dei quartieri à la page della capitale come Ginza o Yoshicho, abbiano poi dato luogo a opere di crudo realismo sociale.
Nel caso di “Island Girl” la canzone di partenza, che è stata sfruttata anche in altri tre film, era un grande successo di Katsutaro (1904-1974), cantante molto popolare che si esibiva come geisha. Vestita da geisha è anche la protagonista del film, una ragazza povera come le persone che le stanno attorno per cui si pone il problema del riscatto da quella umile esistenza. Siamo dalle parti dei film di tendenza, delle opere che ereditavano le istanze sociali proprie del teatro e della letteratura shinpa. E ancora siamo dalle parti di Mizoguchi anche se Hotei Nomura apparteneva a una diversa scuderia, quella della Shochiku. Le storie di donne sfruttate che il Maestro già raccontava in quegli anni in opere come il già citato La marcia di Tokyo o Il filo bianco della cascata.

The Island Girl sfrutta un’ambientazione insulare, una piccola isola delle innumerevoli dell’arcipelago nipponico, con un sapore letterario che richiama la novella di Yasunari Kawabata La danzatrice di Izu e che è comune ai film di Ozu Storia di erbe fluttuanti ed Erbe fluttuanti.
E già la prima inquadratura della nave, oscillante, ondeggiante, prelude alla dimensione di derive e approdi propria del film, fatto di un andirivieni continuo da e per l’isola dove vive la protagonista. Andirivieni che è anche esistenziale. The Island Girl è costruito su due storie che si incontrano, con in comune proprio la ragazza che, curiosamente senza nessun giudizio morale, frequenta contemporaneamente due uomini. Una vacuità narrativa che per esempio dimentica tranquillamente il secondo ragazzo. La tragedia è in agguato e fa parte dell’asperità geografica di quel mondo che poi è quella dell’intero Giappone.
Si racconta infatti di un uomo di quell’isola che è morto inghiottito nel cratere di un vulcano attivo. L’ambiente dell’isola, con le sue luci, con la spiaggia, gli scogli, è visto come un qualcosa di lontano dalla grande città, che genera un’attrazione gravitazionale verso cui i personaggi fanno resistenza, un mondo di innocenza non ancora perduta. “Tokyo è volgare”, dice la ragazza. Tra i due pretendenti la figura più tragica è quella di Ichiro, che è probabilmente – anche se non viene mai confermato del tutto – l’autore del tentato furto all’ufficio postale. Morirà in nave a seguito di un malore. Una morte tenuta fuori campo, a noi come alla ragazza che lo viene a sapere dagli altri marinai che hanno celebrato il funerale in mare dove è stato gettato il suo corpo. Non rimane neanche un luogo di sepoltura dove onorare il defunto. Non resta che, nella struggente conclusione del film, versare il suo sakè preferito nell’acqua, dagli scogli in nome di quella vita sospesa tra terra e mare.

Info
La scheda di The Island Girl sul sito delle Giornate del Cinema Muto.
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