Morto Stalin, se ne fa un altro

Morto Stalin, se ne fa un altro

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Per la regia dello scozzese di origini italiane Armando Iannucci, Morto Stalin, se ne fa un altro è una farsa ambientata nel corso degli ultimi giorni del dittatore georgiano. Sfacciata, esageratamente sopra le righe e in fin dei conti futile e fastidiosa. In concorso al Torino Film Festival.

Verrà la morte e avrà gli occhi di Stalin

Il 1953 sembra un anno come tanti per Stalin: sicuro del suo potere, continua a ordinare omicidi e deportazioni di dissidenti, a oscurare la libertà di espressione e a tenere in riga la corte di personaggi che gli ruota intorno. Quando, una mattina, viene trovato riverso sul pavimento, proprio tra questi ultimi scoppia il panico… E ovviamente anche la corsa per la sua successione. Chi la spunterà tra Chruščёv, più simile a un mafioso che a un politico, la mina vagante Molotov, il mite Žukov o il malvagio Berija? [sinossi]

Si deve poter superare uno scoglio di non poco conto nel corso della visione – e soprattutto dei primi minuti – di Morto Stalin, se ne fa un altro (The Death of Stalin è il titolo originale), film di produzione franco-inglese diretto dallo scozzese di origini italiane Armando Iannucci e presentato in concorso al Torino Film Festival. Il fatto che si possa aver la voglia di ridere su una delle pagine più nere della storia del Novecento (e dell’umanità tutta), il fatto che le purghe staliniane possano travestirsi da operetta buffa buona ad accumulare un buon numero di gag e di trovate.
Saremo forse troppo old school – e non è forse il caso di tirare fuori ancora una volta la storia del carrello di Kapò – però di fronte alla facilità di sguardo e alla superficialità di tono con cui si mettono in scena omicidi che sono realmente avvenuti vien da interrogarsi ancora una volta sui limiti della macchina cinematografica, sui suoi confini morali e sul rischio di abbracciare indiscriminatamente l’osceno.
Se infatti Sorrentino ne Il divo faceva dei fermo immagine molto tarantiniani per presentare la ‘gang’ andreottiana (da Cirino Pomicino in giù, o meglio in su), e la cosa poteva risultare un po’ fastidiosa ma comunque divertente quale distorsione del mito (un mito, tra l’altro, non apertamente criminale e omicida come quello di Stalin), appare al contrario davvero indigesto assistere a una trovata molto simile proprio all’inizio di Morto Stalin, se ne fa un altro, dove il fermo immagine fatto per presentare i personaggi arriva addirittura mentre due di questi giocano a panzate tra di loro. Qui allora si palesa l’osceno, nel momento in cui – subito dopo che è stata redatta una ennesima lista di condannati a morte – i fautori di queste condanne bevono e fanno bisbocce e il regista asseconda le loro gesta. Li asseconda mettendoli in ridicolo, certo, ma si compiace di quel ridicolo ed evita di farci percepire come quel ridicolo abbia provocato immani tragedie. Paradossalmente, allora l’unica scena in cui davvero si lambisce il tragico l’abbiamo verso la fine di Morto Stalin, se ne fa un altro, quando a morire è il braccio armato dei crimini staliniani, quel Berija le cui ceneri vengono portate via dal vento. È questo l’unico momento fortemente drammatico di tutto il film, mentre invece dei mille prigionieri freddati in un secondo non ci si dà pena.

Superato con molta fatica questo scoglio, è poi inevitabile apprezzare il ritmo, la verve visiva e l’ottima vena degli attori in scena (a partire da Steve Buscemi nei panni nientemeno che di Chruščёv), sollevando giusto qualche dubbio su una narrazione che ai due terzi arranca visibilmente e sulla prevedibilità di non poche gag (che vanno sempre, ripetutamente e ossessivamente, nella direzione della ridicolizzazione e della demenzialità). Apprezzabile, d’altronde, anche la scena della situazione della lunga degenza di Stalin, mezzo morto a terra, dove si coglie tutta la vigliaccheria dei suoi accoliti: il re è nudo e si è anche pisciato sotto.
Ma per l’appunto non si può fare a meno di domandarsi cosa ne possa pensare un russo di un film del genere – e, non è un caso, i russi non sono in nessun modo coinvolti nella realizzazione di questo film (d’altronde, anche Olga Kurylenko, che interpreta una pianista, è ucraina) – e non si può fare a meno di chiedersi come reagirebbero gli americani se qualcuno decidesse di mettere in burletta l’undici settembre o come reagiremmo noi italiani se qualcuno facesse la stessa cosa con le Fosse Ardeatine. Lo stesso Guzzanti i fascisti li ha mandati su Marte. O, ancora, Lubitsch in Vogliamo vivere! mette in ridicolo il Führer, ma lo fa senza mai dimenticare il dramma. E poi, in più, quel dramma era il suo dramma, di ebreo tedesco. E allora forse bisogna avere un po’ più di rispetto per le tragedie altrui.

Info
La pagina dedicata a The Death of Stalin sul sito del Torino Film Festival.
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