Papa Francesco – Un uomo di parola

Papa Francesco – Un uomo di parola

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Il globetrotter del cinema contemporaneo, Wim Wenders, segue stavolta il papa nelle sue peregrinazioni: il documentario Papa Francesco – Un uomo di parola è un inchino lungo 96 minuti, senza asperità, senza questioni, senza interrogativi. Uno spropositato mega-spot della Santa Sede presentato fuori concorso a Cannes 71.

Wenders, giullare di dio

Il nuovo documentario di Wim Wenders più che una biografia o un documentario è un viaggio iniziatico nell’universo della santità del papa. [estratto dalla sinossi ufficiale]

Come dimostra anche il suo nuovo film, Papa Francesco – Un uomo di parola, presentato con troppa leggerezza fuori concorso al Festival di Cannes, Wim Wenders ormai non è più semplicemente un regista, è un marchio, una firma da apporre ai progetti più disparati in qualunque posto del mondo si debba andare, basta che abbiano solidità economica e una certa visibilità internazionale. Il suo è un fenomeno – sia detto senza sarcasmo – da studiare: come in architettura proliferano le figure delle cosiddette archi-star, così Wenders pare essersi trasformato nel loro corrispettivo cinematografico, probabilmente sin dai tempi di Buena Vista Social Club (1999), anche se in pochi se ne accorsero sul momento. Non conta più l’ispirazione o la voglia di raccontare qualcosa, non c’entra più nulla l’autorialità o, addirittura, la coerenza poetica. E non conta nemmeno la commerciabilità del prodotto: altrimenti magari Wenders si sarebbe messo a fare film Marvel (sempre che la Marvel avesse acconsentito, ed è lecito dubitarne). Importa per l’appunto solo la risonanza globale del nome, la sua spendibilità su un mercato non puramente commerciale quanto superficialmente culturale. Il problema vero è che, oltre alla firma, non c’è più nulla.

Ecco così arrivare Papa Francesco – Un uomo di parola, l’ennesima testimonianza in tal senso, l’ennesimo passo falso di un cineasta che è stato grandissimo e che ormai ogni volta ci fa arrossire d’imbarazzo di fronte alle sue svogliatissime regie. Già la stessa dinamica dell’intervista frontale e in primo piano largo di Papa Francesco appare una scelta elementare, quanto fuori luogo. La parola di Bergoglio ci sembra infatti inscindibile dalla sua fisicità, dal suo gesticolare, dalla prossemica del corpo, elementi che non possono ovviamente emergere se si vede solo il suo volto. E poi, l’aver deciso di inondare di luce artificiale le piante e gli alberi che si trovano alle spalle del papa, intervistato nei giardini vaticani, più che restituire un’aura mistica dà un fastidioso senso di laccatezza, di forzata pulizia visiva, che tra l’altro è in netto contrasto con le parole di Francesco I. Infatti, tutto impegnato a richiamarsi all’esempio di San Francesco d’Assisi, a visitare zone disagiate del mondo – dalle favelas brasiliane ai campi rom alla periferia di Roma, passando per Scampia -, il papa non riceve un buon servizio da Wenders, che al contrario lo riprende sempre con una regia statica e azzimata.
Per di più, forse per rispetto della figura del pontefice, Wenders ha operato una scelta completamente differente rispetto al recente Il sale della Terra: ha scelto di non mostrarsi mai in scena, lasciando libero Sua Santità di monologare liberamente intorno ai suoi soliti (e giustissimi) temi, denunce sulla povertà, la fame nel mondo, la mancanza di lavoro, a favore della tolleranza religiosa e della migrazione, che però i potenti della terra – come pure i semplici cittadini, vedi alla voce migranti – continuano bellamente a ignorare.
Ma per Wenders l’impotenza del Santo Padre di fronte a un mondo che va a rotoli non fa problema, anzi. Ingenuamente fiducioso nelle virtù palliative della parola di Bergoglio – come ci dice il titolo stesso del film -, l’autore di Nel corso del tempo non prova a interloquire, a fare delle domande scomode, a sottolineare verità inconfessabili (come i conflitti di potere che animano i sotterranei del Vaticano), e così facendo sembra volerci dire che, visto che c’è un papa tanto buono, le cose per il pianeta non possono che andare per il verso giusto. E, invece, come ci dice la cronaca odierna – più di 40 palestinesi uccisi perché protestavano per l’apertura dell’ambasciata USA a Gerusalemme -, le cose vanno tutt’altro che bene. E infatti la scelta di Wenders di mostrare nel pre-finale l’atto di piantare un ulivo da parte di Abu Mazen e di Simon Peres (che nel frattempo è morto) sotto gli occhi gaudenti del papa sembra una crudele beffa, come a farci credere che lì la pace sia infine arrivata.

Da un lato dunque Papa Francesco – Un uomo di parola procede con l’intervista-monologo di cui s’è detto, dall’altro segue Bergoglio nelle sue peregrinazioni in giro per il mondo, dall’altro ancora concede allo spettatore un mini-focus su quei due-tre argomenti scomodi (il tema dell’omosessualità e quello della pedofilia) utilizzando però dichiarazioni e riprese già note (evidentemente Wenders non ha avuto il coraggio di porli all’attenzione del papa), e infine – forse in assoluto i momenti più brutti del film – incornicia il racconto con una ricostruzione d’epoca di San Francesco d’Assisi. E allora, interpretato da un attore, ripreso in bianco e nero e con l’aggiunta di un maldestro effetto di sfarfallio della pellicola (come se fosse un film muto), vediamo il santo muoversi nella basilica a lui dedicata ad Assisi e poi, persino, affacciarsi nel presente per un dispiego di ecumenica retorica che rischia di incorrere nel ridicolo involontario. Papa Francesco – Un uomo di parola, così, più che fare un servizio al papa, il cui turbamento esistenziale per i suoi appelli inascoltati è palese, lo fa alla Santa Sede, che in tal modo spera di rimettersi al passo della sua guida spirituale. Perché, come diceva Gaber, stavolta con sarcasmo: «La chiesa si rinnova per la nuova società, la chiesa si rinnova per salvar l’umanità».

Info
La scheda di Papa Francesco – Un uomo di parola sul sito del Festival di Cannes.
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