Giochi di potere

Giochi di potere

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Giochi di potere, il nuovo film del danese Per Fly, prende ispirazione dalla vera storia di Michael Soussan per raccontare gli intrighi e i loschi piani dietro il programma Oil for Food, e per smascherare il concetto di “verità”, troppo strettamente legato a chi detiene il potere.

L’Onu per principianti

New York 2002, il giovane Michael viene assunto alle Nazioni Unite con un ruolo di grande rilievo: sarà coordinatore del programma Oil for Food e braccio destro del responsabile Pasha, il sottosegretario Onu che gestisce gli aiuti agli iracheni sottoposti all’embargo. Ma dietro al programma umanitario si cela un gigantesco giro di tangenti e corruzione. [sinossi]

È sempre affascinante, e accade anche in Giochi di potere, vedere George W. Bush che annuncia l’invasione dell’Iraq nel 2003 per impedire a Saddam Hussein di utilizzare le fantasmagoriche armi di distruzione di massa, che una decina di anni dopo sono state ridotte a quel che erano: una bugia costruita da Usa e Gran Bretagna per invadere il Paese e spartirsene le risorse. Ma la verità per il grande pubblico viene assemblata dall’esercizio della forza e dagli interessi che la muovono. E in fondo è questo il tormentone di Giochi di potere del danese Per Fly (L’eredità, Gli innocenti): la costruzione del vero è nelle mani di chi detiene informazione e potere, e le masse, così come le persone anche prossime alle alte sfere, tendono in prima battuta a fidarsi dell’autorevolezza di chi ha le redini del gioco, forse per una forma di difesa, di preservazione di una parvenza di sensatezza. Anche quando è evidente che qualcosa non torna, ma soprattutto – e questa è la cosa più interessante del film – anche quando siamo perfettamente consapevoli di essere di fronte a una serie di menzogne o accettiamo i termini di una spregevole realpolitik ritenendo siano tutto sommato dei modi per pervenire a risultati. Nella progressione lineare di questo racconto senza alcun sussulto, i nodi si sciolgono quando si trova la “prova madre”, quella destinata a inchiodare le menzogne, e quando il protagonista viene colpito duramente in prima persona. È quello che accade al giovane Michael – Giochi di potere è basato sul libro Backstabbing for beginners del reale protagonista della vicenda, Michael Soussan – che entrando ai vertici del sistema e guadagnandosi la fiducia del potente Pasha – ossia Benon Sevan l’ex responsabile Onu del programma Oil for Food – sarà travolto dagli eventi e avrà accesso alla prova regina.

Se da un punto di vista informativo Giochi di potere fa quello che deve, ossia ricordare allo spettatore l’enorme scandalo di corruzione e tangenti che ruotava attorno al programma di aiuti umanitari messo in campo qualche anno dopo la prima Guerra del Golfo (quella di Bush padre), dal punto di vista narrativo il film ha uno sviluppo molto tradizionale con un unico punto di forza che sta nel rapporto tra Michael (Theo James) e Pasha (Ben Kingsley), a suo modo una relazione figlio/padre non priva di ammirazione e giocata su un terreno non meramente oppositivo. Se Michael è l’eroe, Pasha è un antieroe che esercita il male, sapendolo, senza smentirlo fino in fondo e giustificandosi di fronte ai propri occhi e a quelli del suo “allievo” in una maniera insidiosa, costruendo con ciò trappole continue volte a conservare lo status quo che lo avvantaggia e a renderne Michael partecipe. Il rapporto tra i due, che in qualche modo ricorda (nella configurazione della relazione, senza averne neppure un centesimo della potenza drammatica) quello tra Charlie Sheen e Michael Douglas in Wall Street di Oliver Stone, funziona e si sviluppa in una ripetuta dinamica costruzione-disvelamento-accettazione che contraddistingue la trasmissione dei segreti tra un guru e un discepolo. Michael sa che il suo capo ha le mani sporche, la cosa non gli piace, ma fa parte di un disegno molto più grande di lui e che lui non si ritiene realmente in grado di giudicare nella sua complessità in meri termini morali (sebbene il personaggio sia retto e onesto). Purtroppo la sottotrama romantica sarà la vera spinta che condurrà alla ribellione, rendendo con ciò il filo politico e psicologico molto annacquato perché il protagonista reagisce con decisione solo quando viene colpito negli affetti. Non è certo l’unica debolezza del film e tutto sommato Giochi di potere non va oltre il tracciato della piana trasposizione cinematografica dello scandalo che mise alla berlina le Nazioni Unite e del racconto del “testimone” Soussan, che da “whistleblower” è diventato (anche) giornalista. Troppe le informazioni contenute nei dialoghi per permettere allo spettatore di aver piena cognizione degli accadimenti; poco elegante l’intrusione a singhiozzo della voce narrante in prima persona di Michael; trita, ingombrante e a tratti un po’ ridicola la storia d’amore (poi non si capisce mai perché un’attrice, in questo caso Belçim Bilgin Erdoğan, debba essere sempre perfetta nel trucco e nel parrucco anche quando esce di galera); sbrigative le diramazioni spionistiche e dispersivi i tanti rivoli del mosaico iracheno messi in scena per dire il più possibile. Il film risulta poco compatto e al tempo stesso inzeppato e compresso, ma è un onesto prodotto cronachistico, di certo non scoppiettante.

I pochi ma significativi contributi televisivi di quegli anni, usati nel film, risultano però efficaci. Come spesso accade gli inserti tratti dalla realtà dialogano (o interrompono o si integrano) con la rappresentazione filmica, ma qui marcano anche una distanza netta tra “ieri” e oggi. Non solo i brandelli televisivi servono a rimembrare il pessimo Bush jr. o Kofi Annan rimasto in sella come Segretario generale Onu anche in seguito all’affaire Oil for Food, ma fanno anche compiere un cortocircuito tra le bugie del 2003 e l’odierna “post-verità”: 15 anni sembrano un’altra epoca e un racconto come quello di Giochi di potere pare provenire più dalle spy stories degli anni Novanta che dal nostro presente. È affascinante vedere W. che annuncia l’invasione dell’Iraq, non solo per riesumare la sua impunita faccia di bronzo ma pure perché quella rappresentazione (o pagliacciata) televisiva è roba da dilettanti in tempi di turbo-web e vien da pensare che nel primo decennio del millennio si sia consumata, oltre che una disillusione tombale sull’autorevolezza delle parole dei leader, una svolta radicale sulla necessità di pervenire a una forma di verità condivisa. Non è neppure più pensabile che esista una “prova determinante” contenuta in un file per far deragliare sistemi corrotti e del resto la più becera realpolitik è ormai considerata una soluzione ai fardelli problematici della democrazia. Così, anche grazie alla realtà extra filmica, Giochi di potere pare una storia vintage come le immagini di George W. Bush, fantasma rimosso di un passato vicinissimo e già sbiadito.

Info
Il trailer di Giochi di potere.
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