Slender Man

Slender Man

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Al di là delle idee saccheggiate da altri film (da Nightmare a The Ring), Slender Man offre così pochi appigli alle facoltà cognitive dello spettatore, da salvarsi solo come lungo videoclip dark.

Crazy, Stupid, Horror

Durante una serata tra sole ragazze, quattro amiche si avventurano online alla ricerca di informazioni sulla leggenda di Slender Man: un uomo senza volto dalle braccia lunghissime capace di tormentare i sogni e la realtà di chiunque entri in contatto con lui. Tra le varie ricerche notturne, le ragazze si imbattono in un video che annuncia l’arrivo dell’uomo nello loro vite. [sinossi]

L’aspetto più interessante delle leggende metropolitane non è soltanto il folklore e la componente antropologica che portano con sé, ma anche il fatto di essere piccole parabole che si nutrono di elementi quotidiani e inquietanti, capaci di adattarsi e riarticolarsi in ogni epoca. Guardando solo alla nostra più recente epoca della riproducibilità digitale, ci sono stati casi come The Blair Witch Project e The Ring che hanno perfettamente traslato in logica horror il found footage e il file sharing, laddove la maggior parte, più o meno fortunati, si sono limitati ad adattare le trasformazioni della cultura popolare alle convenzioni più classiche e radicate del genere.

Slender Man vive il curioso destino di nascere come progetto di trasposizione di una leggenda metropolitana concepita su internet e di soffrire continuamente il peso del digitale nella sua realizzazione. Una leggenda che, a differenza delle altre parabole urbane moderne, ha un autore con nome, cognome e pseudonimo (Victor Surge), una webserie di culto dedicata (intitolata Marble Hornets) e adesso un film scritto dallo sceneggiatore di Elle (David Birke). Un’accumulazione di hype e attenzioni culminate con un fatto di cronaca nera avvenuto in Wisconsin nel 2014 e un lungo dibattito sulla cattiva influenza dei fenomeni virali di internet. Una serie di fattori di peso che hanno certamente influito nella realizzazione, ma che marcano in maniera anche più netta l’abisso che separa aspettative e resa finale. Perché l’aspetto più strano di questa versione di Slender Man non è tanto quello di essere un qualunque horror banale e riempitivo per una sera d’estate, quanto un mix tra stereotipi dell’horror e derive dell’immaginario capace di sorpassare a destra qualunque logica, narrativa e produttiva. Al di là delle idee saccheggiate da altri (da Nightmare a The Ring), la sceneggiatura (una delle più vuote e meno credibili mai viste anche per un prodotto di genere) offre pochissimi appigli alle facoltà cognitive dello spettatore: maledizioni che si propagano e si interrompono in modi incoerenti, personaggi che appaiono e scompaiono, colpi di scena che non hanno esito, mostri e demoni che si manifestano attraverso sogni, visioni, schermi di cellulare, foreste e pareti domestiche. Il tutto avvolto in un’atmosfera di rara cupezza, dove dominano solo toni scuri e personaggi praticamente svuotati di ogni psicologia.

Forse l’unico modo per poterlo apprezzare è non appigliarsi alla sospensione dell’incredulità (componente comunque fondamentale per un horror), ma abbandonarsi a una serie di quadri post-espressionisti e di immagini da videoclip dark-goth. Qualcosa che somiglia molto a una versione estesa del video maledetto che avvia la condanna del gruppo di ragazze (che, a sua volta, somiglia molto al video maledetto di The Ring) e che fa sconfinare progressivamente il film nella rappresentazione del delirio delle due final girls. Difficile dire se questa scelta “estetizzante” sia calcolata o sia l’extrema ratio di fronte a una storia mutilata di ogni logica e piacere narrativo. Tuttavia, riesce alla fine ad assolvere almeno il suo compito virale: spingere gli amanti del genere a cercare altri brividi e altre storie nel prossimo film.

Info
Il trailer di Slender Man.
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