Corpo a corpo

Corpo a corpo

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La vicenda di Paolo Scaroni, ultràs bresciano ridotto in coma nel 2005 alla stazione di Verona dopo uno scontro con la polizia. Corpo a corpo di Francesco Corona sceglie la vita della riflessione lirica ed estetizzante, scartando dal dato bruto della realtà. Nel concorso italiano del Festival dei Popoli 2018.

La parete di roccia

Paolo Scaroni, ultràs bresciano reduce da uno scontro con la polizia alla stazione di Verona, ha passato alcuni mesi in coma e si risveglia segnato nel corpo e nella mente. Il film lo segue nei suoi tentativi di rientrare nel proprio corpo e riacquisire una totale autosufficienza… [sinossi]

La violenza istituzionale può privarti del corpo. Tenerti in vita, ma lasciarti privo dello strumento essenziale alla messa in relazione di se stessi col mondo e con gli altri. Costruire letture, interpretazioni, interagire con l’esistente, esaltati dalla pia illusione di poterlo dominare con la sola ed esclusiva forza delle proprie risorse fisiche. Nei giorni in cui il caso di Stefano Cucchi riscuote un sacrosanto ravvivato interesse grazie a nuove svolte nelle indagini e anche grazie a un film eccellente (Sulla mia pelle, 2018, Alessio Cremonini), al Festival dei Popoli di Firenze passa un piccolo film, Corpo a corpo di Francesco Corona, che torna a rievocare un caso del 2005 con somiglianze con la vicenda di Cucchi, e che a sua volta attende ancora la piena dichiarazione di verità e responsabilità.
Nella vicenda di Paolo Scaroni l’ambito si sposta dal consumo di droga al complesso fenomeno degli ultràs; Scaroni, bresciano, fu infatti caricato di botte e manganellate alla stazione di Verona dopo una partita di calcio e il ragazzo finì in coma, risvegliandosi successivamente minato nel corpo e nella mente.

Corpo a corpo sceglie la via del documentario, ma curiosamente si possono rilevare anche somiglianze col film di Cremonini. In entrambi i casi, infatti, che sia fiction o documentario, si riscontra una decisa presa di distanza dall’entrare nel vivo della verità processuale. Per Cremonini e Corona resta prioritaria infatti l’indagine e la storia di un corpo, seguito là nel suo lento profilarsi come simulacro sacrificale di una violenza di stato, qui nella sua faticosa riscoperta del reale. Scaroni viene infatti pedinato nei suoi trattamenti di fisioterapia, nella presa di coscienza di non esser più in grado di dedicarsi alla terra, attività di famiglia, nel suo doloroso confronto con una parete di arrampicata, sport al quale era molto legato e ora per lui impossibile.
Nel film emerge una sola, evidente sequenza (in mezzo ad altre più allusive) che apre un vero squarcio sui fatti nudi e crudi dell’aggressione; in prefinale, quell’incontro con un’amica che è occasione di memoria, testimonianza e confronto. È una sequenza lungamente attesa, che scioglie le premesse ambiguità di operazioni di questo genere. Optando infatti per un approccio narrativo che astrae dal dato bruto della realtà, Corona si pone anche nel territorio scivoloso di dare veste a una vicenda di cui necessariamente si deve conoscere qualcosa prima della visione per poterne comprendere tutto il peso sociale ed esistenziale. Per cui l’incontro con l’amica è un tassello a suo modo necessario e al contempo stridente, poiché apre una pagina un po’ didascalica se messa a confronto col resto del film, che abbina perlopiù le tecniche del pedinamento a una robusta struttura di astrazione filmica.

Per la maggior parte Corpo a corpo non è un documentario di immagini brute, bensì profondamente meditato, che persegue una sua precisa idea estetica e preordinata. Questo vale sia per l’immagine che per il suono, entrambi spesso sospinti verso l’enfasi emotiva ed estetizzante – un esempio fra i tanti, l’immagine dell’amica in treno, ripresa non in un primo piano diretto bensì catturata nel suo riflesso nel vetro del finestrino. Così come allusione e riflessione permeano i frequenti raccordi espressivi nel tema ricorrente del corpo come elemento di consistenza fisica del vivere, rifranto dalla fatica di Paolo Scaroni in figure di animali in ambientazione agreste. Scegliendo chiavi espressive diametralmente opposte all’altrettanto omologo È stato morto un ragazzo (2010) di Filippo Vendemmiati, dedicato alla precisa ricostruzione della verità processuale nel caso di Federico Aldrovandi, la denuncia di Francesco Corona cerca insomma vie traslate, indirette e “astratte”, benché il racconto si prodighi per dare piena evidenza a un’immagine concreta e terracea della vita – l’attività nei campi e come allevatori, i relativi riti, pure il “sacro della cena”, calato in un contesto espressivo primordiale ed enfaticamente ritualizzato da precise scelte stilistiche. In un tracciato espressivo che si muove per leit-motiv narrativi all’interno di un quadro generalmente frammentato, emerge sul finale anche una struttura a suo modo edificante, in cui si dà conto della forza di volontà e pertinacia dell’uomo nei confronti dei propri limiti, oggettivi o sopravvenuti.

Il finale infatti ci consegna Paolo Scaroni che, cercando di tenere sotto controllo una gamba che inizia pericolosamente a tremare, riesce finalmente a vincere la paura della parete di roccia, e malgrado le sue condizioni fisiche lancia un poderoso guanto di sfida ai rovesci della vita e soprattutto alle precise responsabilità di chi l’ha ridotto in questo modo. Forza di volontà che si lega a doppio filo alla determinazione nel vedersi riconosciute verità e giustizia – oltre al risarcimento già ottenuto in ambito di giustizia civile a 11 anni dai fatti, è notizia di questi ultimi giorni che a breve si riaprirà anche il corso del processo penale in appello. Corona dunque compie un’opera meritoria, condotta prima di ogni altra cosa sulle linee di un sobrio interesse per la sostanza umana dei suoi protagonisti. Sullo sfondo resta anche un quadro appena abbozzato del fenomeno ultràs, inquadrato rapidamente nei suoi riti, parole d’ordine, nella solida compattezza di una convinta causa collettiva da portare avanti con connotati sociali se non implicitamente politici. Tramite una veristica adesione ai dialetti (per alcuni tratti Corona sembra più affascinato dal suono delle parole che dal loro significato, spesso difficilmente decifrabile), passa infatti anche l’immagine di un universo ultràs radicalmente, fieramente (e, diciamolo pure, un po’ retoricamente) proletario, alle prese con una rivendicazione identitaria che spesso scarta dall’oggetto di tanta passione -il calcio- verso un orizzonte di generalizzata opposizione ai poteri.
Corpo a corpo decide di fermarsi un attimo prima. Un attimo prima del percorso processuale, un attimo prima della comprensione di un fenomeno, registrandone solo le manifestazioni visive e sonore. Al centro, il corpo del singolo: centro propulsore di vita, che lo Stato, materificazione collettiva di più corpi, se fuori controllo può decidere di escludere da se stesso. Un arbitrio insensato. Eppure, spesso comunemente ridotto a mero danno collaterale, una variabile impazzita e sfortunata necessaria alla preservazione dello status quo.

Info
Il trailer di Corpo a corpo.
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