Giorni d’amore
di Giuseppe De Santis
Ferraniacolor e pastosità pittoriche per una commedia socio-antropologica di forte impronta politica. Giorni d’amore di Giuseppe De Santis combina il sorriso, la fiaba agreste e il surreale con una significativa riflessione intorno a macchina-società e individuo. Con Marcello Mastroianni e Marina Vlady. In dvd per Surf Film e CG.
A Fondi, nel Basso Lazio, i due contadini Pasquale e Angelina, giovani e molto innamorati, aspettano a gloria di poter finalmente convolare a nozze. Purtroppo i due devono fare i conti con le scarse disponibilità economiche delle rispettive famiglie, nuclei agricoli che non possono permettersi un matrimonio invidiabile e decoroso come convenzione sociale vorrebbe. Dopo lunghi scontri, le famiglie propongono ai due innamorati di fare la “fuitina”: dopo di essa è infatti d’obbligo il matrimonio riparatore, che comporta spese assai minori. Sulle prime recalcitranti, Pasquale e Angelina si piegano alla finta fuga, mentre le loro famiglie simulano furibonde liti per mantenere la faccia davanti al paese… [sinossi]
Il postneorealismo segue strade individuali, differenziate. Con Giorni d’amore (1954) Giuseppe De Santis dà forma a un’opera singolare, posta all’incrocio tra istanze diverse, che resta parzialmente fedele allo spirito neorealista ma rileggendolo secondo chiavi rinnovate. Di strettamente neorealista rimane il soggetto, l’inquadramento socio-antropologico, nutrito da un interesse autoriale che si conferma anche fortemente politico. D’altra parte De Santis scopre il colore (uno splendido Ferraniacolor), il gusto pittorico, l’iper-evidenza della messinscena fittizia, il film-teatro, la commedia, il surreale. Anche, qua e là, un sospetto di bozzetto. Tuttavia, si tratta di una rilettura del bozzetto sociale fortemente consapevole di sé e irrobustita da una riflessione che si conserva sempre evidentemente legata a un discorso politico-economico, incardinato sull’evocazione di dinamiche di classe che cadono dall’alto, a rendere preordinate e prevedibili nei loro ingranaggi pure le esistenze di una sociosfera pre-industriale. La sovrastruttura culturale giunge a dominare e plasmare anche una comunità rurale del Basso Lazio, dove il mantenimento delle forme sociali è al centro costante degli interessi di tutte le figure narrate. De Santis ritorna alle proprie origini, ambientando la vicenda nel contesto di Fondi, suo luogo natale, col sostegno a soggetto e sceneggiatura di Libero de Libero (poeta e critico d’arte suo conterraneo) e per la scenografia e i costumi di Domenico Purificato, pittore originario della stessa regione.
La consistenza pittorica delle immagini di De Santis è più che evidente, e va a combinarsi a una gestione fortemente creativa della macchina da presa. Specie nell’esordio, De Santis dà consistenza visiva a una realtà di vita e lavoro nei campi che tuttavia sembra profilarsi come palcoscenico di dinamiche sociali preordinate (la composizione delle figure nell’inquadratura, con precisa distinzione tra piani diversi nella profondità del campo; i movimenti delle figure, incardinate come una vera e propria coreografia di pose e atteggiamenti che rispondono a precise interazioni e proporzioni sociali). Sono inquadrature anche sovraffollate, specie nei successivi interni, dove si accatastano, si schiacciano figure umane in ristretti spazi fisici e filmici, metonimia di un costante soffocamento delle specifiche istanze dell’individuo. L’aspetto di “teatro naturale/culturale” evocato in mezzo ai campi trova poi un’ulteriore intensificazione quando il racconto si sposta nel vicolo, ricostruito in un teatro di posa che denuncia la propria artificiosità con evidente enfasi e consapevolezza – a tratti sembra di rilevare similitudini col cinema-teatro di alcune opere di Mario Mattoli.
Del resto, De Santis annuncia che ci avviamo a vedere uno spettacolo nello spettacolo fin dai titoli di testa, dove una manovella a rullo introduce a un’effettiva cornice di finzione che si chiude coerentemente sui titoli di coda. Giorni d’amore, dice De Santis tramite l’incipit, è doppio spettacolo, radiografia finzionale che dà conto di dinamiche sociali altrettanto incardinate su ruoli prestabiliti da incarnare, rispettare, promuovere e demandare per la conservazione della macchina-società. Non a caso l’intero racconto (al quale in sede di soggetto e sceneggiatura collaborò tra gli altri Elio Petri, che si occupò del lavoro d’inchiesta sul campo) è tanto semplice quanto amplificato nella sua insistenza, spinta fino e oltre i confini del surreale. Tutto verte infatti intorno alle difficoltà di due contadini, Pasquale e Angelina, di convolare a nozze. Sinceramente innamorati, i due si vedono costretti a rimandare continuamente il matrimonio poiché le due rispettive famiglie non dispongono del denaro necessario per una conformistica e decorosa cerimonia seguita da ampi festeggiamenti.
In una cornice di commedia agreste dalle sorridenti apparenze, di fatto Giorni d’amore si apre con una prima mezz’ora in cui tutti i personaggi non fanno altro che parlare di denaro, snocciolando conti, spese da sostenere, battaglie con la matematica per tentare di tirare al massimo risparmio. In tal modo De Santis dà una prima evidenza a una macchina-società che, incarnata nel fondamentale e “moderno” motore del denaro, giunge a dirigere dall’alto le esistenze dei singoli pure in contesti pre-industriali. L’abbraccio mortale avviene tra macchina-società e consuetudini ancestrali: anche presso le masse contadine il matrimonio dev’essere un evento decoroso, ostentazione di benessere e ricchezza, magari fonte d’invidia per i vicini e per gli invitati. Anzi, presso di loro tale desiderio assume forme ancor più idealizzate, dal momento che per la loro quotidiana esistenza il matrimonio si configura non soltanto come un conseguimento, ma come una delle poche vere occasioni di grande festa, distensione, dionisiaca sospensione dalle attività del lavoro.
Dopo un esordio tutto affidato al tema ossessivo del denaro, De Santis sfonda poi verso il conclamato paradosso, aprendo un filone espressivo che non disdegna le risorse del surreale. Per risparmiare sul matrimonio fino a ridurre i costi praticamente a zero, le due famiglie giungono infatti a suggerire ai due sposi di fare la “fuitina”. Un matrimonio riparatore con sposa disonorata annulla infatti qualsiasi spesa: si celebra senza festeggiamenti e senza neanche il bisogno del costoso abito bianco. Il conclamato paradosso dà vita a una lunga parentesi centrale in cui le due famiglie fingono di litigare a seguito del disonore compiuto da Pasquale, in cui il discorso di De Santis sul teatro sociale assume i suoi tratti più superficialmente divertenti e più espressivamente significativi. Tra le due finestre delle rispettive famiglie, una dirimpetto all’altra, si snoda infatti una gustosa sequenza in cui i personaggi mostrano tutta la loro evidente difficoltà ad assumere i ruoli previsti da un teatro sociale al quale non sono in grado di adeguarsi. Guidati inconsapevolmente da automatizzate strutture socio-antropologiche, i contadini desantisiani di Fondi possono recitare senza saperlo, eseguire incoscienti patterns, ma incontrano insanabili difficoltà nel recitare davvero, quando sono chiamati a un cosciente teatro di forme.
In mezzo a questo buffo guazzabuglio di ruoli coscienti e incoscienti, si ergono le figure dei due protagonisti Pasquale e Angelina, ingenui e idealisti a varie gradazioni di plasmazione sociale, due figure quasi angelicate che si dibattono in mezzo a mille condizionamenti materiali e psicologici per eseguire il pattern del matrimonio, uno dei più antichi e scontati. Se nelle lunghe sequenze dedicate alle famiglie, De Santis ricorre alla messinscena coreografata e allo sfondamento nel surreale dell’automatizzazione comportamentale, di contro le lunghe sezioni di racconto dedicate alla fuga obbligata dei due innamorati danno luogo a un’effettiva sospensione narrativa. I tempi restano lunghi ma si allentano i ritmi, i due protagonisti cercano di ritagliarsi un effettivo spazio di espressione individuale, di confronto, di conoscenza reciproca che si tenga lontano dalle ingerenze sovraindividuali. Pagine che costeggiano la fiaba antico-moderna, collocata coerentemente in un’ambientazione che fa evidente tesoro delle risorse della fotografia a colori. È lì del resto che si aprono anche le due parentesi più libere e surreali del film. Nella fuga, allentando il racconto secondo linee divaganti e ritmi dilatati, c’è posto anche per un incontro tra Pasquale e Angelina con un gruppo di zingari, espressione di un modello di vita libero e lontano da quei percorsi obbligati che pure nel mondo rurale dei protagonisti esercitano una costante pressione sull’individuo. Ancor più efficace risulta il brano dedicato al tentativo d’amplesso nella capanna, dove De Santis ricorre a un serratissimo montaggio tra inquadrature dei protagonisti e lo sguardo di minacciosi animali, che sembrano giudicare tacitamente quel che sta accadendo e spingono Angelina, sollecitata nei suoi fantasmi psico-comportamentali, a rinunciare al sesso. «Come son passati presto ‘sti giorni», conclude Angelina nel finale, dopo la celebrazione del tanto sospirato matrimonio. È una battuta molto significativa, che sembra legarsi strettamente al titolo Giorni d’amore. Quella fuga assurda e premeditata con l’accordo delle due famiglie costituisce di fatto l’unica parentesi giocosa di un’esistenza scandita dai tempi del lavoro, l’unico spazio di effettivo amore, in cui Pasquale e Angelina possono dedicarsi alla conoscenza di sé, al libero gioco dei corpi (la sequenza in riva al mare in prefinale), alla fantasia e all’espressione individuale. Giorni di sospensione, incorniciati prima e dopo dalla prevedibilità del modello sociale. Predeterminato, attivato prima dell’individuo, sopra all’individuo. Dentro l’individuo.
Extra:
Trailer originale, consegna Nastro d’Argento a Marcello Mastroianni, galleria fotografica, locandina originale, biofilmografia di Marcello Mastroianni.
Info
La scheda di Giorni d’amore sul sito di CG Entertainment.
- Genere: commedia
- Titolo originale: Giorni d'amore
- Paese/Anno: Francia, Italia | 1954
- Regia: Giuseppe De Santis
- Sceneggiatura: Elio Petri, Gianni Puccini, Giuseppe De Santis, Libero De Libero
- Fotografia: Otello Martelli
- Montaggio: Gabriele Varriale
- Interpreti: Angelina Chiusano, Angelina Longobardi, Carmelina Misuraca, Cosimo Poerio, Dora Scarpetta, Edelweiss, Fernando Jacovolta, Floriana Joannucci, Fortunato Moschetti, Franco Avallone, Gabriele Tinti, Gildo Bocci, Giovanna Saccarini, Giovanni Silvestri, Giulio Calì, Licia Fratta, Lucien Gallas, Marcello Mastroianni, Maria Pia Giordani, Marina Vlady, Olga Baïdar-Poliakoff, Paolo Russo, Piero Giagnoni, Pietro Tordi, Pina Gallini, Raffaele Avallone, Renato Chiantoni, Santina Tucci, Saverio Crajola, Sergio Crosia, Ughetto Bertucci, Vittorio Donati
- Colonna sonora: Mario Nascimbene
- Produzione: Excelsa Film, Omnium International du Film
- Distribuzione: CG Entertainment, Surf Film
- Durata: 98'